In quale Dio crediamo?
di Adriana Zarri
Edizioni La Piccola Editrice
L'assolutamente relativo
Ritengo un'assoluta urgenza fermare la nostra riflessione all'immagine che ci siamo fatti di Dio e meditare come, da quell'immagine di Dio, dipenda la nostra immagine dell'uomo e del nostro rapporto con lui, l'immagine del mondo e il nostro rapporto con le cose (ma esistono le "cose" e non invece le creature sorelle?).
Un Dio filosofico
Cominciamo col dire che abbiamo di Dio una falsa e povera immagine; e ci è difficile obbedire al primo comandamento ("amerai Dio con tutto il cuore") perché ci sta di fronte un Dio assai poco amabile. Temibile piuttosto, onnipotente, sapiente architetto, sommo regolatore ed anche grande punitore.
Non è amabile un Dio cosiffatto. E infatti non lo amiamo. Lo temiamo, lo rispettiamo, lo ammiriamo; ma l'amore – l'amore appassionato e passionale di cui parla la Bibbia – è un'altra cosa; e noi difficilmente riusciamo a riferirlo a lui.
Siamo perciò nella situazione gravissima e drammatica di non riuscire (direi quasi di non potere) assolvere al primo comandamento cristiano.
A questo punto c'è da chiederci se siamo cristiani, o addirittura se possiamo essere cristiani, finché permane in noi un'idea di Dio che ci rende tanto arduo — addirittura quasi impossibile – quel primo comandamento dell'amore. (E infatti noi amiamo Dio e siamo cristiani nella misura in cui quell'idea si dissolve e ad essa ne subentra una più consona alla realtà del Dio-amore: Deus charitas est.
Cerchiamo quindi di darci un'immagine più adeguata di Dio; e dico "adeguata, approssimata" non certo esatta ed esauriente: Dio non si può esaurire o definire con un linguaggio teoricamente esatto.
A quei teologi che esigono questo linguaggio "esatto", rispondo che anch'io, volendo, forse saprei usarlo, però non penso che possa dirsi esatto perché credo nella trascendenza di Dio. Il linguaggio tecnico, il linguaggio di scuola, può aiutarci ad intenderci tra noi (ed è già un risultato), non può aiutarci molto ad intendere Dio. Si tratta sempre di un'approssimazione.
Allora preferisco privilegiare il linguaggio intuitivo, artistico e mistico, come più adatto ad adombrare l'incomunicabile mistero di Dio: più adatto di quello concettuale e teologico.
Siccome tuttavia anche quest'ultimo è utile e, qualche volta, necessario, il mio parlare sarà una povera e confusa commistione, brancolante verso un mistero imprendibile che pure la teologia si sforza, per quel che può, di catturare. Il linguaggio, invece, dei cultori dell'esattezza tecnica, è lucido, illusoriamente preciso ma, nella sua freddezza e presunzione, probabilmente, con altri fattori, responsabile di quell'immagine scostante di cui s'è detto.
Il nostro primo approccio col concetto e l'immagine di Dio è stato quello del catechismo di Pio X che iniziava con la domanda "chi è Dio?". E la risposta era: "Dio è l'essere perfettisismo, creatore e signore del cielo e della terra":
Non dico che la definizione fosse sbagliata: dico che era del tutto insufficiente. Era illuminista, non cristiana, non già nel senso che fosse contraria alla fede: nel senso che non la esauriva, anzi nemmeno la sfiorava.
La rivelazione le era estranea. Se infatti la riferisco a Giove va bene, se ad altri dèi va altrettanto bene.
Almeno in area occidentale è su misura di tutti perché è la definizione teosofica di Dio, così come è concepito dalla filosofia dell'occidente. È la divinità: non è ancora il Dio cristiano.
Adriana Zarri (1919 – 2010) è nata a San Lazzaro di Savena (BO). Teologa, saggista, autrice di romanzi, ha collaborato con diversi periodici (lunga la collaborazione con Il Manifesto) e, nell’ultimo periodo della sua vita, ha vissuto in forma monastica in un eremo del Canavese.