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Lo so, il paese è in crisi, il governo latita, la gente vive male, ha paura, sente arrivare al galoppo il peggio e non sa come affrontarlo, come reagire. E poi i grillini e i berlusconiani, il PD e i magistrati, l’euro e le banche, e piove, piove, piove sui nostri vestiti inzuppati. Però io non voglio scrivere di tutto questo, ci sono persone che ne sanno mille volte più di me, opinionisti, polemisti, interventisti ben attrezzati, loro prendono i numeri e ce li spiegano, vedono le nuvole che si fanno sempre più nere e ci fanno il meteo sociale ed economico giorno dopo giorno. Da ogni dove si alzano geremiadi, in ogni bar c’è l’esperto di politica che accende le discussioni, le spegne e poi va via. Il mondo è malato gravemente, forse lo è sempre stato, la violenza si alterna all’amarezza, le catastrofi si inseguono sulla strada che porta all’infinito, ci sembra che nulla abbia più un senso, solo la lotta per la sopravvivenza, la gomitata a chi ci vuole sopravanzare, lo sgambetto a chi tenta di distanziarci. E poi solo la ciotola con il riso, solo un bicchiere d’acqua. Però qualcosa di buono accade sempre, qualche anima buona ancora guarda il modo misterioso in cui le cose si accostano, vede il filo invisibile e d’oro che tiene unito l’universo. Qualcuno ci parla addirittura di tenerezza. Ed è iniziata la primavera, ventosa, bagnata, ma già profumata da un refolo di speranza. E pochi giorni fa c’è stata la giornata mondiale della poesia: chi se ne frega, dirà l’uomo in fila con le bollette da pagare in mano, e invece io dico che la poesia è tutto. E non intendo solo gli endecasillabi e i settenari dei poeti più o meno illustri. Intendo l’atteggiamento verso la vita, quella capacità segreta di cogliere i nessi, i rimandi, le ombre, le luci, l’umido nel deserto, il contatto amoroso tra gli spigoli e il filo spinato. Oggi prevale una narrativa che è solo estensione del giornalismo. Niente di male, d’accordo, ma così abbiamo perso il valore sacro della poesia, la sua potenza creativa, la sua forza di consolazione. Le parole dei libri ormai sono le parole stanche del mondo: le parole della poesia sono altre, semplici e fresche e sapienti, sono le nostre parole eppure ci sembrano ogni volta nuove, come se chi le pronuncia arrivasse da una terra lontana, dove tutto è più chiaro e più giusto.
Oggi voglio farvi leggere un sonetto sulla primavera di Beppe Salvia: era mio amico ed è morto troppo giovane. I giornali non si sono mai occupati di lui, ma non importa, io so che la sua poesia è stata grande e che è ancora qui, e ci parla.
E’ quasi primavera, io dipingo
già fuori sul terrazzo, tra odori
di mari lontani e queste vicine
piante di odori, La salvia la menta
il basilico e i sedani dipingo
su tele bianche con pochi colori.
Il verde perché son verdi le piante,
e bianco il bianco nulla della tela,
e il rosso dei tramonti sulla vela
del cielo che apre un teatro vero
a questi miei pensieri. Io dipingo
la sera quando i tormenti più vivi
accendono il cielo e bruciano il cuore,
e all’alba quando già nulla è la vita.