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8 maggio 2011 7 08 /05 /maggio /2011 04:52
 
  Colloqui col padre
  
 IO, SACERDOTE IN CRISI,
abbandonato da tutti
    
   Famiglia Cristiana n.40 del 10-10-1999 - Home Page

Lo sfogo di un giovane prete che, in difficoltà vocazionale, ha deciso di rinunciare al ministero. La sofferenza attuale e le incertezze sul futuro.

 

Antonio
  

Reverendo padre, mi chiamo Antonio, ho 31 anni, sono sacerdote. Più di un anno fa mi trasferii presso una comunità che si occupa di sacerdoti in difficoltà e lì, dopo un lungo periodo di riflessione e discernimento, anche con l’aiuto di uno psicologo, ho maturato la decisione di lasciare il ministero. Oltre alla mia responsabilità personale, anche la Chiesa ha contribuito alla mia defezione con un tipo di formazione antiquato e frustrante, che non mi ha aiutato a capire e a valutare in modo maturo la rinuncia al matrimonio, né mi ha dato le garanzie e i sussidi necessari per restare fedele all’impegno preso con l’ordinazione. La mia carenza affettiva e le mie frustrazioni da seminario sono emerse con maggior forza nel periodo in cui ho constatato di essere considerato dalla "Madre Chiesa" solo come strumento di rimpiazzo. Il mio dovere era solo quello di tappare i buchi della diocesi, senza dimostrare alcuna attenzione alla mia persona, sottovalutando le mie difficoltà e le mie aspirazioni, disattendendo le mie ripetute richieste d’aiuto, e quando poi mi sono innamorato di una Gaia sono entrato in crisi. Voglio capire insieme a lei il significato di questa mia sofferenza. Se questo mio sacrificio servirà ad evitare le stesse pene a tanti altri, allora tutto ciò avrà avuto un senso. Ritengo che il celibato per i presbiteri sia confacente al ministero sacerdotale e da tenere in grande considerazione; è necessario per i vescovi ma non indispensabile per i presbiteri. Rimane comunque l’obbligo morale di agire nell’ordine della carità verso quelli come me, che richiedono la dispensa. Ora sono costretto a vivere in esilio come un rinnegato e uno scomunicato, abbandonato e dimenticato da tutti i miei confratelli sacerdoti che, pur conoscendo le mie difficoltà, non si sono degnati nemmeno di farmi una telefonata per sapere come stavo o se fossi ancora vivo, mi evitano come fossi un appestato. Ho dovuto sradicarmi dalla famiglia, dagli amici, dal mio ambiente, ritrovandomi senza lavoro, senza più sostentamento, senza casa, senza un futuro, ospite temporaneamente di questa comunità che si occupa di sacerdoti in difficoltà, ma non garantisce nulla per il mio futuro. In questo periodo ho maturato l’idea che il seminario minore (io sono entrato a 11 anni) non sia stato una scelta felice per la Chiesa, perché tutti i ragazzi hanno bisogno prima di tutto del calore e dell’affetto della propria famiglia. La Chiesa mi dice che io resterò sempre un sacerdote, perché l’ordinazione vale per tutta la vita (ma ora ho qualche dubbio sulla sua validità). Il verdetto della Chiesa è però senza appello: mi ha sospeso dall’esercizio del ministero, mi ritiene uno scomunicato fino a quando non mi sarà concessa la dispensa (non prima di dieci anni). Non mi ha concesso l’insegnamento della religione perché per la comunità può essere controproducente; non mi ha concesso di lavorare nelle sue istituzioni (come la Caritas), perché non ho conoscenze di un certo livello. Io credo fermamente nel Dio giusto e buono che non giudica secondo le apparenze. Voglio continuare ad avere la speranza che nella Chiesa esista ancora un po’ di carità per quelli come me, che non hanno mai smesso di dimostrarsi suoi figli e vogliono continuare a lavorare nella sua vigna, anche se non da sacerdoti.

La storia che ci racconta Antonio è drammatica e colma di sofferenza: dopo essere entrato in seminario a 11 anni, percorre tutto il cammino formativo fino all’ordinazione sacerdotale; gli impegni e le fatiche del ministero, il sentirsi trattato come una semplice pedina, fanno emergere le carenze affettive e le frustrazioni mai risolte durante gli anni di seminario. L’unica persona che lo capisce e gli dimostra un po’ d’affetto è una ragazza, di cui s’innamora. Ecco allora la crisi e la decisione di lasciare il sacerdozio.

Verrebbe da chiedersi se queste motivazioni siano sufficienti per operare una scelta così radicale, se l’emotività e il sentirsi solo e incompreso non abbiano giocato un brutto scherzo ad Antonio, se egli non troverà altre difficoltà, oltre a quelle materiali, nel condurre la sua nuova vita. Tuttavia, sapendo che è stato seguito da uno psicologo e aiutato in una comunità, dobbiamo pensare che egli abbia fatto un autentico discernimento di vita.

Se ne parliamo, è perché la storia di Antonio si inserisce in un contesto più ampio. Secondo le statistiche sono 52.662 i sacerdoti che, dal 1964 al 1996, hanno abbandonato il loro ministero; di questi, 30.217 appartengono al clero diocesano. Alla fine del 1998 i sacerdoti in Italia erano 54.975 (35.452 i diocesani, 19.523 i religiosi), mentre i seminaristi (studenti di teologia) nel 1997 erano circa 3.381. Aride cifre, dietro le quali si nascondono vicende umane assai diverse: la generosità del dono di sé stessi a Dio e alla Chiesa, la gioia e la fatica della fedeltà quotidiana, drammi personali e grandi sofferenze. Tutto questo non riguarda soltanto i vescovi e il clero in generale, ma tutta la comunità cristiana, chiamata a riflettere, a comprendere, ad aiutare e ad accompagnare con la preghiera e con il sostegno concreto le vocazioni sacerdotali.

È bene, dunque, non lasciar cadere l’invito alla riflessione di Antonio. I problemi che espone sono molti e complessi: si va dalla formazione nei seminari al celibato ecclesiastico, dalle difficoltà in cui si vengono a trovare i preti nei primi anni dopo l’ordinazione all’inserimento nella comunità ecclesiale di chi ha lasciato il sacerdozio. Per quanto riguarda i primi due aspetti, mi limito ad un breve accenno. Certamente gli anni di formazione sono importanti per aiutare le persone a scegliere in modo libero e responsabile. Questa scelta non può essere fatta a 11 anni, ma matura un po’ alla volta; d’altra parte è vero che i ragazzi hanno bisogno del calore e dell’affetto dei genitori. Per questo le diocesi e le congregazioni religiose si stanno orientando sempre più sui giovani. Il celibato ecclesiastico è un argomento molto discusso: è vero che si tratta di una legge della Chiesa, di quella latina in particolare, ma è anche vero che ci sono molti motivi teologici e di opportunità a suo favore. Il problema però si pone in modo forte soprattutto al di fuori dell’Europa.

Vorrei soffermarmi maggiormente sugli altri due temi. Prima di tutto sulle difficoltà dei sacerdoti novelli, spesso sballottati di qua e di là perché le necessità pastorali sono tante e urgenti. In breve tempo molti si sentono solamente dei numeri, degli impiegati, abbandonati a sé stessi. Lo stress causato dal superlavoro e dal sentirsi incompresi spinge a cercare l’aiuto e il conforto di qualcuno: spesso si tratta di una donna, vista la particolare sensibilità della natura femminile.

Molti vescovi si sono accorti di questo problema, che si unisce alla particolare fragilità psicologica delle giovani generazioni, e stanno correndo ai ripari, organizzando incontri, provvedendo attraverso il dialogo e l’accompagnamento spirituale ad aiutare i giovani preti. È auspicabile che questa sensibilità si diffonda sempre più. Da parte dei fedeli non dovrebbe mancare il contributo della preghiera e l’attenzione a non esigere più di quanto la persona possa realmente dare. C’è da dire che le tante attività e i compiti sempre più impegnativi inducono molti presbiteri a trascurare la preghiera e il cammino spirituale, ma senza l’unione con Gesù Cristo e la sua grazia le forze umane ben presto vengono meno.

Un tema delicato è quello della carità dovuta ai sacerdoti in crisi e a quelli che hanno lasciato il ministero. L’amore, come scrive san Paolo nella lettera ai Romani, è l’unico debito che dobbiamo avere verso tutti, e questo vale in particolare con le persone in difficoltà. È triste quello che scrivi, Antonio: sono stato «abbandonato e dimenticato da tutti i miei confratelli sacerdoti».

È vero che in passato chi lasciava il sacerdozio era trattato come un "apostata" o un "disertore"; la stessa figura dello "spretato" (gran brutto termine) non ha mai goduto di una buona letteratura. Oggi però i tempi sono cambiati e la carità evangelica deve sempre prevalere, anche attraverso un aiuto concreto. Soprattutto quando all’origine di una scelta così grave c’è un dramma personale che merita comunque sempre rispetto. A maggior ragione quando la persona desidera vivere ancora intensamente la propria vita cristiana, offrendo il proprio contributo a tutta la comunità.

In ogni caso, Antonio, non ti devi abbattere o scoraggiare. Rifletti ancora attentamente sulle tue scelte e approfondisci ogni giorno di più, mediante la preghiera e i sacramenti, l’unione con Cristo. Sono certo che troverai anche l’aiuto materiale di cui hai bisogno e nuove possibilità di servire il Signore e i fratelli

MINA Mazzini _ Soli _ 1965 - youtube.com
3 min - 26 giu 2009 - Caricato da swan5046
Nel 1965 Mina ha inciso questa magnifica canzone di Bruno ...
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commenti

G
Prego per questo povero sacerdote.<br /> <br /> Io conduco un sito scientifico :<br /> <br /> http://www.photomazza.com/?-Enciclopedia-&lang=it<br /> <br /> anche nel mondo della sistematica mancano delle vocazioni ... oggi fanno solo biologia molecoloare perché lo studio degli animali e delle piante non rende ...<br /> <br /> Ho appena discusso con un prete francese medioevale che non ha capito nulla sull'evoluzione ... ed in Europa i nuovi preti vengono dal terzo mondo ...<br /> <br /> Ho un antenato papa e sono credente.<br /> <br /> Bisogna essere positivi nonostante tutto ... altrimenti c'è solo disperazione.
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  • : RIABILITAZIONE POST MORTEM DI PADRE GINO BURRESI
  • : Riabilitazione post mortem di Padre Gino Burresi Firma la Petizione https://petizionepubblica.it/pview.aspx?pi=IT85976 "Sono dentro, donna o uomo che vive li nel seno di questa chiesa. Da me amata, desiderata e capita... Sono dentro. Mi manca aria, Aspetto l'alba, Vedo tramonto. La chiesa dei cardinali madri per gioielli, matrigne per l'amore. Ho inciampato e la chiesa non mi sta raccogliendo. Solitudine a me dona, a lei che avevo chiesto Maternità. E l'anima mia, Povera, Riconosce lo sbaglio di aver scelto il dentro e, Vorrei uscire ma dentro dovrò stare, per la madre che non accetta, Il bene del vero che ho scoperto per l'anima mia. Chiesa, Antica e poco nuova, Barca in alto mare, Getta le reti Su chi ti chiede maternità. Madre o matrigna, per me oggi barca in alto mare che teme solo di Affondare! Matrigna." Commento n°1 inviato da Giò il 2/04/2011 alle 14h27sul post: http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-la-chiesa-di-oggi-ci-e-madre-o-matrigna-67251291
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