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23 agosto 2011 2 23 /08 /agosto /2011 14:14

 

 

La datazione del viaggio di Dante: 1300 o 1301. Un dibattito ancora aperto

di Valentina Costamagna

 

La datazione del viaggio di Dante: 1300 o 1301. Un dibattito ancora aperto            “Nel mezzo del cammin di nostra vita”Il fatto che Dante abbia incominciato la Commedia con un riferimento che può essere a tutti gli effetti considerato temporale probabilmente significa che il poeta voleva dare un certo risalto alla cronologia dell’opera. È opinione comune che il linguaggio di Dante sia molto preciso e curato il che ci porterebbe a dover ammettere di conseguenza che, se ha definito il momento del viaggio come il mezzo del cammino della vita dell’uomo, voleva indicare un anno determinato e non riferirsi press’a poco ad un periodo non meglio precisato. Nel Convivio troviamo un’importante indicazione che ci permette di capire che la durata della vita dell’uomo e quindi il momento centrale della stessa, era per Dante e per i suoi contemporanei fissato da una rigida trazione esegetica, leggiamo infatti “Onde con ciò sia cosa che la nostra vita, sì come è detto è, ed ancora d’ogni vivente qua giù, sia causata dal cielo…Tornando dunque a la nostra, sola della quale al presente s’intende, sì dico ch’ella procede a immagine di questo arco, montando e discendendo. … Là dove sia lo punto sommo di questo arco, per quella disuguaglianza che detta è di sopra, è forte da sapere; ma ne li più io credo tra il trentesimo anno e il quarantesimo anno, e io credo che ne li perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno. E muovemi questa ragione: che ottimamente naturato fue lo nostro salvatore Cristo lo quale volle morire nel trentaquattresimo anno de la sua etade;”. (Conv. IV XXIII 6-10).In considerazione di ciò possiamo presumere che Dante abbia voluto scegliere proprio quest’età simbolica per compiere il suo viaggio di redenzione, è quindi necessario calcolare in quale anno Dante avesse 35 anni. Il calcolo in apparenza semplicissimo presenta invece subito un problema, la data di nascita di Dante è tutt’altro che certa, ci possiamo infatti basare solo su alcuni versi della Commedia per affermare che Dante è nato sotto il segno dei Gemelli:“…In quat’io vidi ‘l segnoche segue il tauro e fui dentro da esso.O gloriose stelle, o lume pregnodi gran virtù, dal quale io riconoscotutto, qual che sia, il mio ingegno,con voi nasceva e s’ascondeva voscoquelli ch’è padre d’ogne mortal vita,quand’ io senti’ di prima l’aere tosco”(Par. XXII, 112-117)Il segno che segue il Toro è quello dei Gemelli, quindi è Dante stesso che ci rende certi di essere nato sotto questo segno, che per il 1265 andava dal 14 Maggio al 14 Giugno ma a seguito di un’analisi astronomica più approfondita Ceri è anche riuscito a calcolare un giorno preciso che pare essere il 2 Giugno. A questo punto gli elementi che interessano la nostra analisi sono più che sufficienti, per ora ci basti infatti dire con una discreta sicurezza che Dante Alighieri è nato il 2 Giugno 1265, e quindi ha compiuto 35 anni il 2 Giugno 1300.Proviamo ora a mettere in relazione questa data con il periodo in cui si vuole sia avvenuto il viaggio; la datazione tradizionale vorrebbe porre la mistica visione sulla Pasqua del 1300, mentre un altro filone di studi che sta oggi tornando alla luce anche grazie alle importanti scoperte del già citato Ceri propende per la festa dell’Annunciazione del 1301. Come è facile notare, se diamo ragione alla prima ipotesi, Dante avrebbe visitato l’aldilà a 34  anni, al contrario se prendiamo in considerazione il Marzo del 1301 Dante ha già compiuto il suo 35esimo anno e quindi compirebbe il suo viaggio di redenzione in quella che lui stesso definisce l’età migliore dell’uomo.A questo proposito è sempre utile ricordare che Dante è un uomo medievale e come tale è fortemente impregnato della sua cultura e, come sostiene il Sapegno un’indagine che prenda in considerazione le sue opere non potrà non “essere condotta ben al di là delle scarne notizie biografiche, e oltre la stessa personalità dello scrittore, nel senso di una ricostruzione di un patrimonio unitario e secolare di dottrine filosofiche e teologiche…” infatti la Commedia è un’opera così complessa da non poter essere letta se non all’interno dei parametri culturali in cui è stata composta, parametri che sono indubbiamente molto diversi da quelli che usiamo noi oggi.Ai fini del nostro studio una prima enorme differenza culturale la possiamo riscontrare nell’importanza e nella considerazione in cui era tenuta la scienza astrologica nel 1200; in primo luogo in quegli anni il termine astrologia veniva usato come sinonimo di astronomia, infatti come leggiamo nell’Enciclopedia Dantesca “la parola astrologia è lessicalmente la prima e indifferenziata definizione dello studio degli astri” e indicava propriamente la scienza che studia le influenze delle stelle sugli esseri e sulle vicende terrene, possiamo quindi dire senza ombra di dubbio che al tempo di Dante nessun uomo avrebbe dubitato del loro influsso. Era dunque opinione comune che le caratteristiche peculiari di un essere umano derivassero direttamente dalla congiunzione astrale che ne presiedeva la nascita. Nel Convivio astrologia sta evidentemente per astronomia, ma in senso lato, tale da comprenderne tutti gli aspetti ed infatti viene indicata come la quarta scienza del quadrivio a cui corrisponde il cielo di Saturno “A li sette primi rispondono le sette scienze del Trivio e del Quadrivio, cioè, Grammatica, Dialettica, Rettorica, Musica, Geometria e Astrologia. [...] E lo cielo di Saturno  ha due proprietadi per le quali si può comparare a l’Astrologia: l’una si è la tardezzza del suo movimento per li dodici segni, che ventinove anni e più, secondo le scritture degli astrologi, vuole di tempo lo suo cerchio; l’altra si è che sopra tutti gli altri pianeti esso è alto. E queste due proprietadi sono nell’Astrologia: che nel suo cerchio compiere , cioè ne lo apprendimento di quella volge grandissimo spazio di tempo; [...]. E ancora: è altissima di tutte le altre, però che si come dice Aristotele ne lo cominciamento de l’Anima, la scienza è alta di nobilitade per la nobilitade del suo subietto e per la sua certezza; e questa più che alcuna delle altre dette è nobile e alta per nobile e alto subietto, ch’è de lo movimento del cielo; e alta e nobile per la sua certezza, la quale è sanza ogni difetto, sì come quella che da perfettisimo e da regolatissimo principio viene.” (Conv. II, XIII, 8). Come appare chiaro da queste righe Dante aveva in massima considerazione l’astrologia e le sue proprietà, e credo che sia altresì indubitabile che si intendesse sommamente di questa scienza, inoltre per tutto il medioevo era considerato astrologo chi si intendesse di astronomia, i glossari tardo latini ci parlano infatti dell’astrologo come di “mathenaticus qui sidera tractat”, a questo punto è evidente che né Dante né tantomeno un suo contemporaneo avrebbero preso alla leggera delle indicazioni astrologiche o astronomiche semplicemente perché gli attribuivano un valore che è a noi oggi sconosciuto.Nella Commedia l’Astrologia ha un compito ben più importante, a lei spetta infatti di definire tempi e luoghi entro un ben determinato sistema cosmografico che ha una funzione portante all’interno del poema, abbiamo infatti numerose indicazioni astronomiche che precisano nel tempo il succedersi degli eventi e ci permettono di dedurre i tempi stessi del viaggio. Le posizioni dei pianeti indicate da Dante sono: Sole in ariete (Inf. I 37-40), Luna al plenilunio al giorno iniziale del viaggio (Inf.  XX 127-129), Venere nei pesci e mattutina (Purg 19-21, XXVII 94-95), Saturno nel leone (Par. XXI 13-15). Tenendo fermo che per poter intendere appieno la poesia di Dante bisogna innanzi tutto comprenderne la litterale sententia possiamo considerare queste descrizioni come fornite di reale valore scientifico e dotate di conseguenza della più alta precisione possibile e non solamente come delle finzioni poetiche. Nell’Enciclopedia Dantesca leggiamo che “la conferma che di esse viene data nei vari momenti del viaggio è prova dell’intenzione di Dante di scandire il procedimento poetico secondo i gradi della cosmografia del suo tempo”. Le posizioni dei pianeti Dante può averle osservate o più verosimilmente ricavate da tavole astronomiche ma è comunque indubbio che la sua cultura consente l’ipotesi di una trama astronomica voluta, molto precisa e preliminare del poema.    “Temp’era dal principio del mattino,e ‘l sol montava ‘n su con quelle stellech’eran con lui, quando l’amor divinomosse di prima quella cose belle”(Inf. I 37-40)Con questi quattro versi Dante ci dice in maniera chiara ed inequivocabile la posizione del sole al momento della sua ascesa al colle, cioè nel momento iniziale del viaggio. Proviamo ora a farne un’analisi puntuale: Era il principio del mattino, nel medioevo il computo delle ore diurne iniziava con il sorgere del sole, cioè circa alle 6, e finiva con il tramonto, circa alle 18, e il sole sorgeva con quelle stelle, cioè era in congiunzione, che sorgevano con lui quando Dio, per solo amore disinteressato, creò gli astri imprimendo loro il movimento. Nel medioevo era prassi ritenere che la creazione del mondo fosse avvenuta in primavera e più precisamente il giorno dell’equinozio di primavera, quando il sole si trovava congiunto contemporaneamente a zero gradi  in Ariete dello zodiaco dei segni, che non è formato da stelle ed è mobile, e a zero gradi in Ariete dello zodiaco delle costellazioni, che corrisponde all’ottavo cielo e che è formato da stelle ed è immobile. Questa congiunzione è però difficilissima da aversi, si calcola infatti che si possa verificare una volta ogni 25.920 anni circa, calcolo ottenuto con i nostri modernissimi mezzi a disposizione, mentre Dante pone il verificarsi dell’evento ogni 36.000 anni adottando la costante di precessione di Tolomeo che corrisponde allo “slittamento” di un grado ogni 100 anni.

È ora necessario chiarire cosa sia la precessione degli equinozi e soprattutto quella che abbiamo definito come costante di Tolomeo. La precessione può essere identificata come l’avanzamento graduale del punto equinoziale verso ovest causato dal girare del polo equatoriale intorno al polo equinoziale, che detto molto più semplicemente significa che se il sole il 21 marzo ritorna sempre nello stesso punto per quello che riguarda lo zodiaco dei segni non lo stesso fa nello zodiaco delle costellazioni, scivolando indietro di un grado ogni 72 anni, 100 per Dante che come si diceva adottava la costante di Tolomeo. Tutto questo porta come conseguenza che noi oggi il giorno dell’equinozio non vediamo le stelle che era possibile osservare “quel dì che fu detto ‘Ave’” ma per poterle vedere è necessario aspettare qualche giorno e per Dante era esattamente la stessa cosa. Nel 1300, secondo lo stile giuliano che aveva l’anno civile leggermente arretrato rispetto all’anno tropico, l’equinozio dello zodiaco dei segni era dato per il 12-13 Marzo, ma per poter osservare il sole sorgere in congiunzione con quelle stelle (zodiaco delle costellazioni) che erano con lui il giorno della creazione era necessario attendere fino al 25 Marzo. Quest’attesa è dovuta al fatto che come si è detto il sole non si trovava più allineato con lo zero in Ariete dello zodiaco delle costellazioni ma si era spostato di 13 gradi indietro, 13 gradi che sono al loro volta dovuti al trascorrere dei XIII secoli passati, in altre parole: sono trascorsi 13 secoli, il Sole si è spostato verso i pesci, esattamente al 17° grado dei pesci, e quindi è necessario aspettare qualche giorno per vederlo rientrare in Ariete (dello zodiaco delle costellazioni). Calcolando che nello zodiaco dei segni i segni stessi sono tutti di trenta gradi e che il sole percorre circa un grado al giorno è semplice calcolare che trovandosi al diciassettesimo grado dei pesci per entrare in Ariete dovevano trascorrere 13 giorni, quindi dalla data dell’equinozio fissata per il 12 Marzo, ovvero da quando il sole entrava in Ariete nello zodiaco dei segni secondo il computo in stile giuliano, si passa così al 25 Marzo stesso, che corrisponde anche alla festa dell’annunciazione a Maria.Possiamo ora dire di aver stabilito e spiegato il significato dei quattro versi sopra citati, Dante si rifà non ad una data equinoziale convenzionale ma molto più precisamente cita il giorno esatto in cui il sole si era trovato in congiunzione con le stelle della costellazione dell’Ariete. Non si parla, è vero, in questi versi dell’anno ma vedremo in seguito ad altre indicazioni astronomiche che se accettiamo la versione che vuole come giorno iniziale il 25 Marzo non può essere preso in considerazione quello del 1300 in quanto non soddisfa altre congiunzioni astrali. Rimangono quindi in gioco le due ipotesi considerate anche più sopra, vale a dire la Pasqua del 1300 che cadeva l’otto Aprile e che come è chiaro non troverebbe accordo con la data dell’equinozio e il 25 Marzo del 1301.A questo punto si aprono davanti a noi due strade: o riteniamo che Dante abbia fatto iniziare il suo viaggio idealmente nel giorno dell’equinozio, dandoci quindi un’indicazione astronomica realistica si, ma non indicativa del giorno preciso, oppure per contro possiamo credere che Dante abbia voluto davvero intraprendere il suo pellegrinaggio il giorno equinoziale fornendoci un riferimento astronomico preciso e quindi probabilmente dotato di una certa importanza. A favore della prima ipotesi si è schierata gran parte della critica anche contemporanea, facciamo due nomi per tutti citando gli autorevoli pareri di Gizzi e di Benini, che sostengono che Dante nella Commedia sia principalmente un poeta e non uno scienziato  e quindi nel poema non sempre rispetta la pura verità scientifica, inoltre seguendo la tradizione si è sempre attribuita maggiore importanza alla liturgia della Pasqua piuttosto che alla festa dell’Annunciazione e quindi avrebbe avuto per Dante maggiore significato simbolico intraprendere il viaggio il venerdì santo. Per quello che riguarda la condizione dell’equinozio Gizzi argomenta che “astronomicamente, tenendo cioè conto della precessione degli equinozi, nel 1300 l’equinozio di primavera, cadeva il 13 Marzo, e quindi il sole rimase nel segno dell’ariete dal 13 Marzo al 12 Aprile. L’equinozio convenzionale, invece, accolto dalla chiesa, si faceva iniziare il 21 Marzo, e il sole rimaneva nell’Ariete dal 21 Marzo al 20 Aprile”. Come si evince da queste parole seguendo questa linea sarebbe possibile porre la data di inizio della mistica visione l’otto Aprile in quanto rientra a pieno titolo nel secondo periodo che Gizzi vuole sia accolto anche dalla Chiesa.La seconda ipotesi vuole invece porre come inizio del viaggio il 25 Marzo del 1301 (tra i suoi più fervidi sostenitori vorrei citare tra tutti Angelitti, Mons. Dante Balboni e Ceri) e si richiama soprattutto alla pretesa e già appurata precisione di Dante. Il ragionamento da seguire è infatti molto semplice ma anche molto efficace, abbiamo poco sopra dimostrato come Dante conoscesse quella che noi oggi chiamiamo astronomia e soprattutto abbiamo potuto verificare l’importanza che attribuiva all’astrologia, quindi non dovremmo sentirci autorizzati a travisare il senso letterale dei suoi versi in quanto se ha scritto che il sole sorgeva in congiunzione con determinate stelle probabilmente voleva dire proprio quello. Non dobbiamo dimenticare infatti che il poema aveva si quattro significati, ma il primo e fondamentale senza il quale non si può procedere oltre, è proprio il significato letterale, chi sostiene questa seconda ipotesi è quindi forte proprio della parola di Dante stesso.“E già ier notte fu la luna tonda:ben ten de’ricordar che non ti nocquealcuna volta per la selva fonda”.(Inf. XX 127-129)“Di quella vita mi volse costuiChe mi va ‘nnanzi, l’altr’ier, quando tondaVi si mostrò la suora di colui, e ‘l sol mostrai …”

(Purg. XXIII 118-121)Queste terzine sono di più facile intendimento, risulta infatti comprensibile alla prima lettura che il poeta ci vuole far sapere che ieri notte c’era la luna piena cosa che mai gli nocque, ma anzi gli fu d’aiuto nell’oscurità della selva e, ormai giunto in purgatorio, sottolinea nuovamente che quando, due giorni prima, Virgilio l’aveva trovato spaurito nella selva c’era la luna piena. Limitandosi ad una parafrasi decontestualizzata questi versi non ci dicono molto, infatti non ci sarebbe di nessuna utilità sapere che la notte prima a quella cui si fa riferimento era stata una notte di plenilunio se non avessimo delle date a cui fare riferimento.È ora nostro preciso compito controllare quali notti di plenilunio abbiamo avuto in corrispondenza delle due opzioni che stiamo prendendo in considerazione. Come riportano Caligaris e il già menzionato Gizzi in un calendario ecclesiastico del 1300 è riportato erroneamente un plenilunio con la data di giovedì 7 Aprile alle ore 13, mentre questo si ebbe in realtà il 5 Aprile alle ore 2,45. Entrambi gli autori sono quindi costretti ad asserire che Dante ha fatto sicuramente riferimento a questo calendario errato per giustificare i riferimenti ad un plenilunio che in altro modo non sarebbero motivati. A questo punto nasce una prima contraddizione tra chi sostiene come data iniziale del viaggio l’otto Aprile, infatti avevamo detto poco fa che Gizzi giustifica una presunta imprecisione dantesca per quanto riguarda l’equinozio con il fatto che Dante con la Commedia vuol far opera di poesia e non di scienza, ma ora sia lui che Caligaris e molti altri con loro, per non poter più rifarsi a delle imprecisioni presunte devono rifarsi a degli errori certi.Chi invece propende per la data del 25 Marzo 1301 ha nuovamente gli astri a proprio favore infatti abbiamo un plenilunio, e questa volta reale, esattamente il 25 Marzo 1301 alle 10.29 su Gerusalemme, che significa che quando Dante si era smarrito nella selva la notte tra il 24 e il 25 la luna era nella fase crescente del plenilunio, fase che ogni esperto di astrologia definirebbe come la più favorevole e, per coincidenza, in entrambi i riferimenti testuali Dante ci riporta che la luna piena non gli nocque.Probabilmente è superfluo aggiungere che la situazione è la medesima di quella propostasi poco fa: o assumiamo per certo che Dante ha sbagliato usando delle tavole astronomiche errate, o assumiamo una volta di più che era perfettamente in grado di calcolare il giorno di un plenilunio o per lo meno di verificare l’esattezza di una tavola astronomica.“Lo bel pianeto che d’amar conforta Faceva tutto rider l’oriente,velando i pesci ch’eran in sua scorta”(Purg. I, 19-21)Iniziamo come ormai siamo usi fare con una semplice spiegazione della terzina per altro non molto oscura: Venere risplendeva ad oriente velando i pesci ch’eran in sua scorta quest’ultima parte la vedremo più oltre, per ora occupiamoci della posizione orientale di Venere.Prendiamo nuovamente in considerazione per la tesi del 1300 Gizzi e Benini e vediamo di analizzare il loro pensiero.Gizzi, come ricordiamo, parte dal presupposto che Dante non sia partito con il sole realmente in Ariete ma nella costellazione dei Pesci, sempre a causa della precessione degli equinozi, e quindi seguendo un ragionamento logico conclude che il velo di luce steso sui Pesci avrebbe dovuto essere quello del Sole stesso e non del pianeta Venere. Andiamo ora a vedere dove si trovava Venere il 27 Marzo 1301 (erano ormai passati due giorni dall’inizio del viaggio). Dai calcoli di Angelitti come abbiamo riportato poco fa il bel pianeto lo potevamo osservare  prima dell’alba e quasi in congiunzione con i Pesci, tutti fatti che ritroviamo nella terzina presa in esame. Con più esattezza possiamo stabilire, con le tavole di Profazio, che Venere nel giorno preso in considerazione (27/03/1301) si trovava circa a  29 gradi 49 decimi in Acquario, cioè precedeva di pochissimo i Pesci. Potremmo allora dire che Dante usa l’espressione “velo” per indicare la vicinanza del pianeta alla costellazione nella quale sta per entrare, ma è necessario ancora specificare il significato che si darebbe in questo caso al termine “scorta”, termine che Tolomeo stesso (conosciuto e citato da Dante) usa per indicare una scorta sia orientale che occidentale. Potremmo quindi ipotizzare che Dante si richiami a questa autorità volendo parlare di scorta orientale. Ceri ci dice che “il sole e la luna rappresentano il re e la regina del cielo i quali possono ovviamente viaggiare sia preceduti dall’avanguardia che seguiti dalla retroguardia, oppure averle entrambe, ma in tutti e due i casi sempre di scorta si tratta”.In conclusione dobbiamo di nuovo pensare che Dante nel riportarci la posizione di Venere si sia sbagliato se pure a causa di un errore non suo, cosa che comunque non è escludibile a priori, oppure dobbiamo continuare a credere che  anche la posizione di Venere sia corretta e rappresenti un ulteriore avvallo per coloro che sostengono che il viaggio non si sia compiuto nell’anno santo.“Noi sem levati al settimo splendore,che sotto il petto del leone ardenteraggia mo misto giù del suo valore”.(Par. XXI 13-15)In questi versi Dante ci racconta la sua ascesa al settimo cielo, che come abbiamo visto all’inizio è il cielo di Saturno ed è considerato in relazione strettissima con l’astrologia. Leggiamo: Noi siamo ascesi al settimo cielo, il quale trovandosi sotto il petto del leone ardente, irraggia ora sulla Terra la sua influenza, mescolata a quella della costellazione. Per dare una lettura astronomica del passo basta considerare che Dante voleva indicarci qui la congiunzione di Saturno con la costellazione del Leone e più precisamente con la stella simboleggiante il petto del Leone, quella che noi oggi chiamiamo Regolo e che Tolomeo chiamava “Cor Leonis”.  Questa volta entrambe le tesi sono almeno d’accordo su una questione: sia nel 1300 che nel 1301 Saturno era in congiunzione con la costellazione del Leone; ma sorge comunque sempre un problema:  nel 1300 infatti il pianeta era sì in congiunzione col Leone ma non lo era con Regolo, mentre nel 1301 si verificò anche questo aspetto. Gizzi per parte sua sembra non prestare troppa attenzione a Regolo concentrandosi sul fatto che comunque Saturno mescola i suoi influssi con quelli della costellazione con cui si trova congiunto, infatti nel medioevo fu accetta la lezione di Macrobio secondo la quale gli influssi di Saturno dispongono alla vita contemplativa ma quando questo si trova in congiunzione con il Leone, che fa parte dei segni di fuoco e la cui natura è calda e secca, le sue virtù contemplative si uniscono a quelle attive del Leone, dando vita ad un temperamento mirabile che è qui simboleggiato da Pier Damiano, umile monaco e vigoroso cardinale. Al contrario di Gizzi chi propende per il viaggio nel 1301, come Ceri, ritiene che la congiunzione con Regolo sia un aspetto non trascurabile di questa terzina del Paradiso in quanto questa congiunzione si è avuta solo in un determinato giorno, vale a dire Venerdì 31 Marzo 1301, che secondo dei bei noti calcoli riconosciuti da entrambe le parti sarebbe proprio il giorno in cui Dante sarebbe salito al settimo splendore. Inoltre nel medioevo le congiunzioni erano un aspetto astrologico ben più importante di qualsiasi altro aspetto angolare, quindi non si dovrebbe trascurare la posizione di Regolo che viene comunque citata da Dante, forse per farci comprendere meglio quali potevano essere i reali influssi di Saturno in quel momento.Con la posizione di Saturno abbiamo esaminato i più importanti riferimenti alle posizioni planetarie contenuti nella Commedia da cui possiamo ricavare tre ipotesi: 1) Dante non si intendeva affatto di Astronomia e ha dovuto affidarsi completamente a delle tavole spesso errate o comunque molto imprecise, 2) oppure aveva a cuore soprattutto un perfettissimo linguaggio poetico anche a scapito della scienza, 3) oppure ancora Dante era sufficientemente esperto di astronomia da saper calcolare la posizione di un pianeta o comunque da rendersi conto se il testo cui faceva riferimento era errato, e dava una certa importanza ai riferimenti astronomici stessi.Nonostante non si possa darle sicuramente per errate le prime due ipotesi proposte sono in evidente contrasto con quanto abbiamo voluto sottolineare all’inizio e cioè con l’importanza che Dante, o comunque un qualsiasi uomo medievale, poteva attribuire all’astronomia. Inoltre un’ultima puntualizzazione vorrei farla sul fatto che se consideriamo questi passi esaminati in relazione al 1300 mancano totalmente di precisione e non sarebbero neanche concordi l’uno con l’altro, mentre se proviamo a riferirli al 1301 e più precisamente al 25 Marzo del 1301 essi acquistano una precisione astronomica praticamente assoluta. È pur vero che non ci vorremmo accontentare della posizione di quattro pianeti per datare l’epoca del viaggio di Dante in quanto la complessità dalla Commedia va ben oltre quello che si potrebbe stabilire riferendosi unicamente all’astrologia.Un’altra questione che richiederebbe un lungo approfondimento riguarda i calendari che erano in uso nel medioevo e soprattutto il calendario che avrebbe potuto conoscere e usare Dante per datare il suo viaggio nell’oltretomba. Noi oggi siamo abituati ad avere un unico calendario, ci sembrerebbe ridicolo pensare che in una città più o meno vicino alla nostra si usasse un modo di calcolare il tempo diverso da quello che usiamo noi, ma così non era nel 1300, quando ogni comune aveva una sua propria tradizione di calendario che si basava su presupposti molto diversi.Vediamo ora di esaminare i calendari che in teoria avrebbe potuto conoscere Dante e soprattutto quelli che avrebbe potuto usare e per quale ragione avrebbe dovuto preferirne uno ad un altro.Innanzi tutto c’è da precisare che nel medioevo era generalmente riconosciuto lo stile Giuliano, vale a dire che si utilizzava il metodo introdotto da Giulio Cesare nel 46 a. C. per intercalare gli anni bisestili a quelli cosiddetti normali.La difficoltà di un buon calendario è sempre consistita non tanto nella precisione del calcolo astronomico quanto piuttosto nell’applicazione pratica di esso, cioè nella reale possibilità di far coincidere l’anno “tropico” con quello “civile”. Il periodo che impiega il sole per ritornare all’equinozio di primavera, detto appunto rivoluzione tropica, ha una durata di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. Lo stile Giuliano calcolava l’anno di 365 giorni e 6 ore, ma queste sei ore, venendo ovviamente tralasciate dovevano in qualche modo essere recuperate, quindi per recuperarle ogni quattro anni si aggiungeva un giorno, infatti 6 ore l’anno danno appunto in quattro anni 24 ore, cioè un giorno esatto. Questo giorno in più, detto bisesto da cui anno bisestile, avrebbe rappresentato una soluzione praticissima se non fosse comunque rimasta una piccola eccedenza, infatti l’anno Giuliano calcola circa 12 minuti in più sull’anno effettivo, 12 minuti che in 5 anni fanno un’ora e in 120 anni un giorno e in 1200 anni 10 giorni. Quindi al tempo di Dante l’anno civile era indietro di circa otto giorni sull’anno tropico il che significava che il primo giorno di primavera nonché primo giorno dell’anno astronomico anziché il 21 Marzo cadeva circa il 13 (come dicevamo poco prima a riguardo della precessione degli equinozi) così che il 21 marzo era un equinozio convenzionale. Per volere essere molto precisi bisogna aggiungere che secondo il calendario introdotto da Giulio Cesare l’equinozio di primavera cadeva il 25 Marzo e non il 21 e così anche l’altro equinozio era il 25 Settembre e i due solstizi rispettivamente il 25 Giugno e il 25 Dicembre, ma già nel 325 d.C. con il Concilio di Nicea si era preso atto che l’equinozio si era spostato al 21 di Marzo e quindi venne fatto “retrocedere anche ufficialmente”.Noi possiamo dire con una discreta sicurezza che Dante era al corrente di questa inesattezza del calendario Giuliano, in quanto nel Paradiso leggiamo: “Ma prima che gennaio tutto si sverni / per quella centesma ch’è là giù negletta …” (Par. XXVII, 142-143). Con centesma si può intendere la centesima parte del giorno che viene trascurata sulla terra (è là giù negletta) e che col passare dei millenni farà uscire Gennaio dall’Inverno. Infatti se il tempo continuerà ad essere calcolato in questo modo prima o poi avverrà che l’equinozio arretrerà così enormemente da cadere prima in Febbraio poi in Gennaio fino ad arrivare a Dicembre causando la totale uscita di Gennaio stesso da quel periodo che gli uomini continueranno a chiamare erroneamente inverno. A rimediare a questo errore, che col passare dei secoli stava iniziando a farsi sentire, ci pensò Papa Gregorio XIII nel 1582 quando orami la differenza tra equinozio convenzionale ed equinozio reale era di dieci giorni circa, la soluzione adottata fu proprio quella di sopprimere questi dieci giorni in più, quindi si passò dal 4 Ottobre al 15, e per evitare che l’inconveniente si ripetesse si provvide con un nuovo sistema di anni bisestili. Non vi furono più ogni 400 anni 100 bisestili ma ne vennero soppressi tre facendo in modo che l’attenzione ricadesse sugli anni secolari che furono considerati bisestili solo se in essi le prime due cifre erano divisibili per quattro (1600 divisibile, 1700 non divisibile, 1800 non divisibile, 1900 non divisibile, 2000 divisibile). In questa maniera il calendario Gregoriano rappresentò un ulteriore perfezionamento sul già efficiente calendario Giuliano, e l’anno civile ebbe ad avere una quasi perfetta coincidenza con l’anno tropico.Ma ora torniamo a porre la nostra attenzione sul calendario adottato dalla Santa Sede e a cui si riferì Bonifacio VIII per datare per esempio il primo Giubileo e che, con le modifiche di cui si è parlato prima è arrivato fino a noi.Il calendario che veniva usato a Roma faceva incominciare l’anno il 1° Gennaio ma soprattutto a noi interessa prendere atto che incominciava a datare dal I anno avanti Cristo. In questa maniera però risultano a noi oggi delle incongruenze che erano comunque già state riscontrate anche ai tempi di Dante. Se retrocediamo a calcolare il giorno della nascita di Cristo secondo questo stile, che d’ora in avanti chiameremo Stile Corrente (s.c.) risulterà che Cristo si sarebbe  incarnato Giovedì 25 Marzo (I a.C.), sarebbe nato Sabato 25 Dicembre del I anno avanti Cristo, sarebbe morto Giovedì 25 Marzo del 34 d. C. e infine sarebbe risorto Sabato 28 Marzo (sempre del 34 d. C.). Questa cronologia se da un lato rispetta sia la durata della vita di Cristo tradizionalmente valutata di 34 anni, sia la tradizione medievale che vuole che Cristo si sia incarnato e sia morto  nello stesso giorno e sia risorto di Domenica non rispetta un altro dato molto importante secondo cui Dio avrebbe fatto nascere e risorgere suo figlio nel giorno a lui dedicato, cioè la Domenica.A Pisa era in vigore un calendario molto simile a questo, vi divergeva in un unico particolare e cioè nel giorno in cui cominciava l’anno, che era  per questa città il 25 Marzo. Posiamo far risalire questa tradizione all’antica data in cui era fissato l’equinozio, che ricorderemo era ai tempi di Giulio Cesare e fino al consiglio di Nicea proprio il 25 Marzo, e che veniva a sua volta considerato il principio dell’anno astronomico.A questo punto ci interessa vedere ancora come era strutturato il calendario fiorentino, sul quale molti sono stati gli errori che vedremo ora di enunciare e di spiegare. A Firenze era mantenuta viva la stessa tradizione pisana di far principiare l’anno il giorno dell’antico equinozio, ma, e questo è il punto più controverso, non dello stesso anno che considerava la Chiesa,  bensì dell’anno dopo.  Se facciamo il calcolo che abbiamo fatto poco fa, cioè se andiamo a vedere  il giorno di nascita di Cristo secondo questa cronologia risulterebbe essersi incarnato Venerdì 25 Marzo del I anno dopo Cristo, nato Domenica 25 Dicembre (I d. C.), morto Venerdì 25 Marzo del 35 d.C. ed infine risorto Domenica 27 Marzo. (Per comodità abbiamo fatto i calcoli omologando i calendari, quindi la datazione fiorentina è stata calcolata in stile corrente in modo da rendere evidente la differenza di un anno). Anche in questo caso vengono rispettati i parametri sopra ricordati, vale a dire: la durata della vita di Cristo è sempre di 34 anni, si sarebbe incarnato e sarebbe morto nello stesso giorno ma soprattutto sarebbe nato e risorto di Domenica. Per amor di giustizia e precisione dobbiamo però dire che in questo caso per farlo risorgere di Domenica non devono passare i tre giorni voluti dalla tradizione ma ne trascorrono solamente due.Noi oggi siamo in grado di dire con certezza che a Firenze era in vigore un altro calendario grazie ad una legge promulgata nel 1749 da Francesco I che promuoveva l’adeguamento del calendario toscano a quello ecclesiastico. Nella Legislazione Toscana raccolta e illustrata dall’avvocato Lorenzo Cantini (Firenze 1806) troviamo una legge che “ordina il principio dell’anno dal primo di gennaio”.Leggiamo: “Essendo noi informati che nel nostro granducato di Toscana sono vari gli stili di computare gli anni, e l’ora del giorno, e che ciò produce una difficoltà non meno dentro lo stato che fuori per fissare chiaramente il principio degli avvenimenti umani e civili. Comandiamo che in tutti i nostri stati il primo dì del prossimo futuro mese di Gennaio sia il principio dell’anno 1750 dopo la Natività del nostro Signore Gesù Cristo, secondo il computo conosciuto comunemente sotto il nome di Era Cristiana Volgare”.Queste righe, per altro chiarissime, non servono assolutamente a dimostrare però che il divario del calendario fiorentino era di più di un anno, si potrebbe da qui infatti credere, come è capitato ad una gran parte di studiosi, tra i quali l’illustrissimo Andrea Cappelli, autore di un’utilissima Cronologia Perpetua, che il calendario pisano sia quello preso in considerazione, cioè che si voglia sistemare unicamente la questione del giorno iniziale dell’anno. Ad un a più attenta lettura però si può già notare che fin dalla prima riga si parla di “stili” al plurale quindi dovremmo subito pensare che una qualche differenza tra il calendario fiorentino e quello pisano esisteva, se no avremmo probabilmente trovato espressa la necessità di omologare lo stile toscano in generale con quello comunemente usato.Andando quindi oltre nella lettura troviamo il punto che ci dice definitivamente che a Firenze la diversità non era solo nel principio dell’anno, ma nell’anno stesso. Leggiamo: “E per provvedere che l’osservanza della presente nostra legge, col corso del tempo non risulti oscura, o difficile l’intelligenza degli atti segnati secondo lo stile fiorentino; dove cominciandosi l’anno dal dì 25 Marzo, resterebbe il presente 1749 mancante di tutto il tempo, che è tra questo, e l’ultimo di Dicembre, solito notarsi con la formula “dell’incarnazione” o con il segnar sotto l’anno corrente comune. E di quelli segnati secondo lo stile pisano, dove pure correndo ora l’anno 1750 dal dì 25 del prossimo passato marzo, s’incontrerebbero notati con l’istesso millesimo ventun mese, e ventiquattro giorni”. Da qui risulta evidente che tra Firenze e Pisa c’era un anno di differenza in quanto viene detto che a Firenze era il 1749 quando a Pisa era già il 1750, e infatti il problema che viene messo in evidenza è che cambiando l’anno secondo il volere dell’imperatore, Firenze salterebbe in avanti in modo apparentemente illogico, mentre Pisa noterà con lo stesso anno più di dodici mesi.In conclusione possiamo dire che quando a Roma fu il 1° Gennaio del 1300 a Pisa era il 1° Gennaio del 1299 e a Firenze addirittura il 1° Gennaio del 1298.Alla differenza che abbiamo riscontrato tra i calendari si aggiunge un’altra questione, vale a dire la promulgazione del primo Giubileo dell’era Cristiana. Bonifacio VIII indisse il Giubileo il 22 Febbraio del 1300, ma gli diede valore retroattivo a partire dal 25 Dicembre del 1299.  A questo punto vorrei prendere in considerazione la bolla papale con cui si stabilisce la cronologia del predetto Giubileo in quanto possiamo riscontrare un fatto che potrebbe per noi essere indicativo di ciò che si diceva poco fa, vale a dire della differenza che esisteva tra il calendario della Santa Sede e quello Fiorentino.Leggiamo: “Declarat [...] noster Summus Pontifex quod annus iste Jubileum trecentesimus hodie fit finitus, nec extendatur ad annum incarnationis, secundùm quosdam, sed ad annos domini secùndum ritum Romane ecclesie.” Queste righe ci mostrano che il Papa era ben al corrente delle diversità di calendari esistente in quegli anni e si preoccupò di precisare che il calendario del Giubileo avrebbe dovuto seguire il calendario da lui adottato (a Nativitate) piuttosto che quello in vigore altrove (ab Incarnatione). In questo modo però, tenendo fermo quanto sopra detto, una città come Firenze non avrebbe festeggiato il giubileo nell’anno secolare ma l’anno prima, e dato il divieto papale di estendere le festività secondo il calendario dell’incarnazione, cioè fino al 25 Marzo, non avrebbe avuto neanche un giorno del anno di inizio secolo ricadente nel periodo giubilare.La tradizione critica vuole che Dante abbia compiuto il suo pellegrinaggio nell’oltretomba nel 1300 anche per celebrare il primo Giubileo dell’era cristiana, anno pregno di un grandissimo significato per lui e per qualsiasi cattolico del suo tempo. In questo modo però dobbiamo ammettere che Dante riconoscesse valido questo periodo giubilare nonostante si festeggiasse in un anno privo di significato secondo il calendario da lui usato e soprattutto qualora Dante avesse riconosciuto valido il giubileo avrebbe automaticamente accettato l’autorità del Papa. Soffermiamoci ora ad analizzare il rapporto che Dante poteva avere con la Chiesa, non solo intesa come religione ma anche come organismo politico a tutti gli effetti.Come abbiamo già sottolineato un’antica e nobilissima tradizione sostiene che Dante non avrebbe mai potuto misconoscere l’autorità del Papa in quanto uomo medievale. A sostegno di questa teoria noi dobbiamo riconoscere che in principio avevamo dato grande risalto all’importanza della cultura e della tradizione nell’opera di Dante, Teophil Spoerri sostiene addirittura che “dubitare dell’autorità del Papa gli era sostanzialmente impossibile”. Noi tutti sappiamo l’importanza che Dante attribuiva all’autorità del Papa che veniva comparata solamente a quella dell’imperatore, ma è altrettanto noto come egli biasimasse e criticasse la corruzione dilagante nella Chiesa causata dai papi stessi.Vediamo ora due passi della Commedia nei quali Dante stesso ci parla del giubileo prima e del suo rapporto con il Papa dopo.“dal mezzo in qua ci venien verso ‘l volto,di là con noi, ma con passi maggiori,come i Roman per l’esercito molto,l’anno del giubileo, su per lo pontehanno a passar la gente modo coltoche da un lato tutti han la fronteverso il catello e vanno a Santo Pietro,da l’altra sponda vanno verso il monte.”(Inf. XVIII, 26-33)In questi versi Dante per descriverci l’aspetto della 1° bolgia ricorre ad una similitudine che riporta immediatamente il lettore alla vita terrena. Durante il Giubileo, avendo concesso il Papa l’indulgenza plenaria ai pellegrini che si fossero recati nelle basiliche romane, Roma era invasa dai fedeli e fu quindi necessario trovare un modo per usufruire in maniera coerente dell’unico ponte disponibile, quello di Castel Sant'Angelo, che fu diviso a metà da una transenna in maniera che chi andava verso San Pietro lo praticasse da un lato e chi tornava indietro dall’altro.Questa similitudine ci consente di dire che Dante sapeva con certezza come si era svolto il pellegrinaggio nella basilica di San Pietro quindi in linea teorica è possibile che egli abbia preso parte al pellegrinaggio stesso, ma se noi ammettiamo la sua partecipazione in prima persona per avere l’indulgenza promessa dal Papa non avremmo motivo di dubitare che la Commedia non servisse anche per avvallare il Giubileo. D’altra parte però non è da escludere che abbia avuto notizia di come si era svolto il pellegrinaggio da un altro autore, come per esempio Giovanni Villani il quale scrisse una Cronica molto nota, pare proprio in seguito al suo pellegrinaggio a Roma in occasione del Anno Santo.“… Se’ tu già costì ritto,se’ tu già costì ritto Bonifazio?Di parecchi anni mi mentì lo scitto.Se’ tu sì tosto di quell’aver stazioPer lo qual non temesti tòrre a ‘ngannoLa bella donna, e poi di farne strazio?                          …Di sotto al capo mio son li altri trattiChe precedetter me simoneggiando,”(Inf. XIX, 51-57 / 73-74)Sono questi i versi che segnano l’incontro di Dante con Niccolò III, il significato non ne è oscuro, il dannato ritiene che sia arrivato colui il quale dovrà prendere il suo posto, ovvero l’attuale Papa Bonifacio VIII, quando però si rende conto del suo errore dichiara a Dante la sua identità ed infine ammette ancora che prima di lui in quella posizione si erano trovati già altri papi che lo “precedettero simoneggiando”; da qui risulta una volta di più indubitabile la condanna di Dante non solo alla potenza temporale del papato ma anche direttamente a Bonifacio VIII. Foscolo a questo proposito scrive che “Dante con la Commedia volle fare non tanto opera di poesia quanto di riforma della Chiesa” e ancora “sentivasi ispirato a riordinare la religione di Cristo e l’Italia per mezzo di celesti rivelazioni” fatte a lui come ad uno “dei pochi degni dell’amicizia dello Spirito Santo”. Se queste considerazioni sono da ritenersi fondate  allora probabilmente dovremmo ammettere con Ceri che Dante non volle affatto avvallare il Giubileo con il suo poema sacro, ma quasi contrastalo portando all’attenzione di tutti il fatto che a Firenze l’anno esatto per iniziare questa celebrazione cominciava il 25 Marzo del 1301.Esiste anche un’altra opportunità suggeritami dal prof. Bàrberi Squarotti data dalla possibilità che Dante, in quanto uomo medievale, non si sia sentito in grado di contrastare la volontà del Papa negando la validità del Giubileo da lui indetto per promuoverlo in un’altra data, ma bensì abbia voluto sottolineare la data del 25 Marzo 1301 come quella di inizio di una cristianità rinnovata e nuovamente libera dalla corruzione. Quest’ipotesi molto suggestiva e sicuramente accettabile da un punto di vista teorico manca però ancora di prove testuali, in quanto nessuno è ancora riuscito a dedicagli il tempo necessario. Attualmente dobbiamo quindi optare per due possibili soluzioni: o Dante riconobbe la validità del Giubileo e quindi pose il suo viaggio sul 1300 per celebrarlo, pur condannando apertamente il Papa che lo aveva promulgato; oppure volle contrastare il periodo proposto da Bonifacio VIII proponendone uno a sua volta in quanto si sentiva il portavoce di una cristianità succube del potere temporale di una Chiesa che non avvertiva più il vero spirito della religiosità.Al contrario dei casi precedenti in cui si sono offerte delle prove scientifiche per giudicare la veridicità dell’una o dell’altra tesi ora possiamo solo basarci su dei ragionamenti che porterebbero sempre e comunque essere confutati per quanto logici possano sembrare, quindi l’unica conclusione possibile è che la questione dell’anno giubilare non possa costituire una prova certa per avvallare la datazione del viaggio.Ancora un riferimento temporale lo troviamo nuovamente all’inferno e ci viene dato da Malacoda che ci precisa quanto giorni e quante ore sono passati dalla morte di Cristo.“Ier più oltre cinqu’ore che quest’otta                    Ier più oltre ciqu’ore che quest’ottamille dugento con sessanta sei                            Mille dugento un con sessanta seianni compié che qui la via fu rotta.”                   Anni compiè che qui la via fu rotta.(Inf. XXI 112-114)Qui abbiamo riportato le due lezioni dei versi in questione, la prima è quella ben nota avvallata da Petrocchi, mentre l’altra è ricavata da un altro manoscritto e sostenuta tra gli altri da Lanza e da Balboni; tra le due l’unica ma fondamentale differenza sta nell’omissione o meno di “un” quindi negli anni trascorsi dalla morte di Cristo che in caso sarebbero 1266 e nell’altro 1267.Un punto fermo è che Dante riteneva che Cristo fosse vissuto 34 anni (Conv. IV, XXIII 10), quindi per calcolare la data del viaggio dovremmo semplicemente aggiungere all’età di Cristo gli anni che Malacoda dice che sono ormai trascorsi, quindi avremmo 1266 ­+ 34 =1300, oppure 1267 ­+ 34 = 1301. Siamo qui nuovamente nell’impossibilità di affidarci a una o all’altra lezione senza che si ponga almeno il dubbio di aver sbagliato, quindi vediamo di fare alcuni calcoli per scoprire se è possibile trovare una qualche soluzione a questo ulteriore problema. Se accettiamo per valida la lezione riportata da Petrocchi dobbiamo sommare l’età della morte di Cristo con i 1266 anni trascorsi ed in questo modo otterremmo ­che Dante ha visitato l’aldilà nel 1300, ma qui è giusto porsi un’altra domanda, vale a dire che seguendo il ragionamento di poco fa sui calendari dobbiamo per forza chiederci a quale 1300 ci si riferirebbe in questo caso. Orbene è Dante che ci fornisce l’informazione e, secondo il calendario che abbiamo visto è ipotizzabile usasse lui, Cristo è morto in quello che oggi si considera il 35 d. C. (stile corrente) quindi 35 + 1266 = 1301 stile corrente; per contro possiamo anche credere che Dante non si riferisse tanto all’anno di morte di Cristo quanto agli anni effettivi della vita di Cristo ed in questo modo avremmo 1266 + 34 = 1300, ma sempre del 1300 fiorentino si tratterebbe, quindi dell’anno corrispondente al nostro 1301.Prendendo in considerazione la seconda lezione che abbiamo detto essere avvallata da Lanza e Balboni abbiamo che sono trascorsi 1267 dalla morte di Cristo avvenuta sempre nel 35 d. C. stile corrente quindi abbiamo 1267 + 35 = 1302, che sicuramente non ha senso, quindi in questo secondo caso dovremmo ritenere che sicuramente è stata sommata l’effettiva durata della vita del Salvatore agli anni trascorsi in modo da avere 1267 + 34 = 1301.Nonostante tutto il problema non è stato risolto quindi potremmo nuovamente concludere sostenendo che affidarsi a questa informazione per decretare che una data è sicuramente più veritiera dell’altra risulta del tutto arbitrario, anche se vogliamo ancora precisare che Balboni riporta che la lezione che abbiamo considerato per seconda può essere attribuita ad una stesura precedente nella quale si era portata una maggiore attenzione alla cronologia.Passiamo ora a considerare l’ultimo elemento della nostra analisi e cioè i ben noti versi dell’inferno in cui Dante parla a Cavalcanti e sostiene che il figlio Guido sia ancora tra i vivi.“Or direte dunque a quel cadutoche ‘l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;”(Inf. X, 110 – 111)

Come è ben noto Dante rivolgendosi a Farinata lo prega di riferire a Cavalcanti che Guido non è morto e questo dato ci permette di stabilire con un ragionamento ovvio che Dante fa qui riferimento ad un momento di cui il suo amico era ancora in vita. Basterebbe ora individuare la data di morte di questo poeta per dare una buona approssimazione del periodo cui questi versi si riferiscono, ma purtroppo anche in questo caso nascono delle complicazioni. La tradizionale morte di Guido Cavalcanti viene fatta risalire per lo più all’Agosto del 1300, quindi se questo fosse vero si avrebbe una prova del fatto che il viaggio si è svolto nel 1300 e non nel 1301, ma dei validissimi studi portati a vanti da Velardi e da Ceri in questi ultimi anni tendono oggi a smentire questa ipotetica data di morte riferita a Cavalcanti.Vediamo ora di analizzare il documento che pare a tutt’oggi essere la prova della morte di Guido, cioè il registro mortuario di Santa Reparata. Nell’introduzione di tale documento leggiamo: “In nomine Patris, et Filii et Spritus Sancti. Am. Infra scripta sunt nomina defunctorum requiescentium in Cimiterio Canonice Florentine ab anno Incarnationis. D.ni”, questa frase latina ci dice con certezza che la datazione usata nel registro segue lo stile “ab Incarnatione”, vale a dire che considera il 25 Marzo come primo giorno dell’anno e questa come abbiamo visto è una tradizione fiorentina, ma ulteriormente è fiorentino il modo di calcolare gli anni partendo dal I anno dopo Cristo, quindi è ipotizzabile che se nel registro troviamo l’indicazione relativa allo stile “ab incarnatione” dovremmo calcolare gli anni sempre nel medesimo stile, vale a dire tener presente che se vogliamo trasporli secondo il nostro moderno calendario dobbiamo aggiungere un anno. Più oltre nello stesso documento leggiamo: “ …MCCC … ob. Guido f. D.ni Cavalcantis De Cavalcantis”, guardando questo manoscritto è evidente una macchia dopo l’indicazione dell’anno, Parri che aveva potuto vedere il documento quando ancora quest’abrasione non era così fastidiosa sostiene che sotto vi era probabilmente un altro numero, forse un uno, ma ad ogni modo oggi, qualsiasi cosa vi fosse non è assolutamente decifrabile.Gran parte della critica, come abbiamo accennato prima, si è servita di questa prova per sostenere che il viaggio di Dante si è compiuto sicuramente nel 1300 in quanto in seguito egli non avrebbe potuto affermare che Guido era ancora vivo, ma vediamo di verificare se quest’affermazione è dotata di tutta la sicurezza che gli si è voluta attribuire nel corso degli anni. Innanzi tutto sulla data di morte è presente un’abrasione che compromette la certezza della data stessa, se è vero infatti che poteva esserci solamente una “Q” puntata per indicare “Quievit” è anche vero che avrebbe potuto esserci un altro numero, come ipotizzato da Parri, quindi l’incertezza dovrebbe permanere. Inoltre abbiamo detto prima che è probabile che il registro si rifacesse alla datazione fiorentina, quindi anche se effettivamente l’anno indicato fosse il 1300 si dovrebbe considerare inteso secondo lo stile fiorentino che, come abbiamo enunciato prima, corrisponderebbe al 1301 stile corrente. In conclusione in questo caso parrebbe azzardato voler indicare la data di morte di Guido come elemento centrale su cui basare la datazione del viaggio e non è superfluo segnalare che anche altri commentatori contemporanei riportano Guido Cavalcanti come ancor vivo nel 1301.L’esordio della Commedia è, come è ben noto, un tipico esordio profetico e, come ci dice anche Petrocchi “la necessità di una precisazione cronologica, sia pure in un ambito letterario, è tipica di un esordio profetico” ed è esattamente per questo che sentiamo pienamente legittimate tutte le considerazioni sopra esposte fatte proprio in vista di una possibile precisazione cronologica. Potremmo prendere ancora in considerazione molti altri punti del poema che ci permetterebbero di darne una collocazione temporale, ma con queste osservazioni non ci proponevamo tanto di fornire una proposta inattaccabile, quanto di portare all’evidenza dei fatti che al momento sembrerebbe necessario rivalutare gli studi fin qui compiuti per accertarsi del vero periodo di svolgimento del viaggio dantesco. Abbiamo considerato l’importanza che potevano avere l’astronomia e l’astrologia nel medioevo, abbiamo valutato la precisione linguistica di Dante e abbiamo dovuto ammettere che se in un caso i riferimenti astronomici sarebbero errati, nell’altro sarebbero per contro dotati di una grande precisione. Abbiamo sottolineato quali e quante differenze di calendari esistessero intorno al 1300 e quindi le difficoltà oggettive correlate allo stabilire senza nessun dubbio che Dante possa averne adottato uno piuttosto che un altro. Ci siamo chiesti se Dante avrebbe in coscienza potuto avvallare il Giubileo di Bonifacio VIII o se avrebbe preferito dare con la Commedia il via ad una nuova era Cristiana. Ancora abbiamo  analizzato i problemi relativi alla cronologia indicata da Malacoda con le differenti lezioni portate dai manoscritti fiorentini, ed infine abbiamo cercato di scoprire la data di morte di Guido Cavalcanti in modo da poterla porre in relazione con l’incontro con Cavalcante de Cavalcanti.In conclusione vogliamo sottolineare che tra tutte le questioni analizzate le uniche alle quali possiamo dare un fondamento che sia inattaccabile sono quelle che riguardano la posizione dei pianeti, ogni altra considerazione sembrerebbe comunque passibile di errore in quanto si tratterebbe sempre e comunque di una interpretazione, mentre le posizioni planetarie indicano chiaramente il 1301.Per L’Accademia Internazionale Dante Alighieri

Redazione di Valentina Costamagna valediv <valediv@yahoo.it>

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  • : Riabilitazione post mortem di Padre Gino Burresi Firma la Petizione https://petizionepubblica.it/pview.aspx?pi=IT85976 "Sono dentro, donna o uomo che vive li nel seno di questa chiesa. Da me amata, desiderata e capita... Sono dentro. Mi manca aria, Aspetto l'alba, Vedo tramonto. La chiesa dei cardinali madri per gioielli, matrigne per l'amore. Ho inciampato e la chiesa non mi sta raccogliendo. Solitudine a me dona, a lei che avevo chiesto Maternità. E l'anima mia, Povera, Riconosce lo sbaglio di aver scelto il dentro e, Vorrei uscire ma dentro dovrò stare, per la madre che non accetta, Il bene del vero che ho scoperto per l'anima mia. Chiesa, Antica e poco nuova, Barca in alto mare, Getta le reti Su chi ti chiede maternità. Madre o matrigna, per me oggi barca in alto mare che teme solo di Affondare! Matrigna." Commento n°1 inviato da Giò il 2/04/2011 alle 14h27sul post: http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-la-chiesa-di-oggi-ci-e-madre-o-matrigna-67251291
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