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Taxi
Non vi è lingua
di polverosa o magica città
di cui le mie ruote
non conservino respiri,
inquietudini e speranze;
mi getto tra le labbra
di un giorno che odora ancora di sonno
salutando la claire
di un garage sbadigliante;
nuove corse
che non possiedono nè nomi nè volti
si disegnano su frammenti di strada;
una corsa e la storia
acquista lieve consistenza
che vorrei saper fare memoria
mentre il tassametro,
come il più perfetto dei metronomi,
sigilla le mie fatiche;
"siamo arrivati, signore,
ecco, questa è la sua valigia,
buona permanenza,
i nostri viaggi si dividono
nella ricchezza di essersi incontrati".
Il traffico è una spada tagliente
che duella con il mio sistema nervoso,
ma io so urlare più forte
chè la metropoli mi possa sentire;
diavoli di fanali
vi piace come sempre scherzare
con l'imponenza intangibile dei grattacieli,
mentre corteggiate la notte
e regalate a file di clochard
l'incanto di una luce
che possa fargli ritrovare
identità di speranza.
E io intanto
mi addestro ancora ad ascoltare
lamenti infantili di signore,
tutte lamenti e cipria
di cui inondarsi il volto
e poveri operai
che mi regalano i segreti
della periferia in cui abitano
e gemono con foto di bambini
a cui non potranno fare scartare
regali di Natale.
Sono un semplice taxi,
perdonatemi,
sentendovi parlare
è un po' come se indossassi il vestito
delle vostre vite
così anonime eppure così ricche.
Quando scenderete
mai saprete che sui miei sedili
sgualciti ma fieri
riposerà per sempre
l'impronta di una virgola
dell'esistere che mi avete confidato.
Cristiano Comelli