eucaristia+adriana+zarri
Mensa umano mistero
Facci, Signore, il dono della cena.
Tu ti sei seduto a cena.
Oh, sì, ma non era una cena come tutte le altre,
sebbene tutte le altre le fossero ordinate:
era una cena unica,
in cui tu eri commensale e vivanda;
E gli apostoli mangiarono con te e di te.
Ma prima di considerare il mistero eucaristico,
lasciaci considerare questo semplice
e dolce “mistero” umano della mensa,
che tu tante volte
hai voluto condividere con i tuoi amici.
L'Eucaristia è il sacramento della tavola,
così come la tavola
è il sacramento della nostra amicizia.
Perciò, prima di farci il dono dell'Eucaristia,
facci, Signore, il dono della cena:
della semplice mensa degli uomini,
della condivisione dell'amore e dei beni,
della cordialità del pacato discorrere
e del calore del volersi bene.
Dacci di sapere cenare in amicizia,
come facevi a casa tua,
come facevi a Cafarnao nella casa di Pietro,
e a Betania, nella casa di Lazzaro;
come facesti a Gerusalemme, nel Cenacolo.
Donaci amore per invitare amici,
ospitalità per servirli,
cordialità per discorrere con loro,
gioia per mettere la tovaglia bella,
letizia per versare il vino dolce.
E fa' sì che in ogni pranzo e in ogni cena
avvertiamo la tua visibile presenza,
ospite sempre invitato, amico sempre amato,
nostro pane, nostro vino,
nostro banchetto eterno.
Adriana Zarri
http://www.donarmandotrevisiol.org/blog/archivio/2047.html
15 luglio 2011
Adriana Zarri
Qualche mese fa è morta Adriana Zarri. Non credo che il gran mondo la conosca, un po’ di più è conosciuta dai cattolici del dissenso, perché questa studiosa della Sacra Scrittura e questa cristiana militante scriveva su “Il manifesto” e condivideva molte delle tesi culturali della sinistra ed era molto critica nei riguardi delle prese di posizione delle gerarchie della Chiesa.
In occasione della morte, anche i periodici di ispirazione cristiana hanno liquidato velocemente la notizia con titoli un po’ guardinghi e con la preoccupazione della riserva: “Adriana Zarri, credente fuori delle righe”.
Io ho letto la notizia con qualche interesse perché più di mezzo secolo fa avevo letto un suo libro sui sacerdoti dal titolo “Servi inutili”, un titolo che si rifaceva ad una affermazione di Gesù, la quale sottolineava la grande verità che solo Iddio è il protagonista della storia, l’uomo semmai ne è un povero strumento. Il volume viaggiava su questa tesi, ribadendo il concetto che il prete è una creatura preziosa e sublime nella misura in cui si fa strumento docile e maneggevole nelle mani di Dio.
Dalla lettura mi è rimasto il ricordo di un testo edificante ed utile, a livello ascetico, per i sacerdoti. Ma dalla posizione ideale di Adriana Zarri a quella con cui ha chiuso la sua giornata umana pochi mesi fa “ne è passata di acqua sotto i ponti”. La Zarri fu una militante cristiana atipica, dura come l’acciaio. Sostenne tesi anche in aperto contrasto con le posizioni della Chiesa cattolica, pur rimanendo integerrima nella sua fede. Scrittrice brillante, ricca di logica, di cultura, ma insieme di poesia e di sentimento, cercò il difficile dialogo con la cultura laica del nostro tempo e, assecondando tesi che il cattolicesimo ufficiale non condivide, riuscì a parlare del suo Dio, tanto amato e ricercato, anche in ambienti assolutamente impermeabili a questo discorso, eppure capaci di donare al mondo attuale, magari incoscientemente, aspetti autentici del volto di Dio.
Una carissima alunna delle magistrali di circa quarant’anni fa ha regalato al suo vecchio ma non dimenticato insegnante, l’ultimo libro della Zarri “Un eremo non è un guscio di lumaca”, in cui essa racconta la sua esperienza di eremita “sui generis”. Sono all’inizio del volume, ma già mi rendo conto che anche “l’altra sponda” possiede raggi di quell’unico sole che illumina un po’ tutti.
Don Armando Trevisiol
1° maggio 2012
Una diversa lettura della preghiera umana a Dio
Io sono fortunato anche da questo lato, perché gli amici, leggendo le riflessioni vagabonde ed irrequiete del mio diario, mi regalano, abbastanza frequentemente, dei volumi che alimentano la mia appassionata ed insaziabile sete di “verità”.
Gli amici sanno di certo dei miei rapporti altalenanti tra stima e rifiuto della teologia del nostro tempo: lo espressi chiaramente quando parlai di Adriana Zarri, l’eremita appassionata di Dio e della libertà, morta lo scorso anno.
Ho dedicato più di un intervento de “L’incontro” al pensiero e alle scelte di questa donna intelligente, innamorata di Dio, ma nel contempo, “cane sciolto”, libera e critica nei riguardi di tutto l’apparato ecclesiastico, spesso artificioso e soffocante.
Lo scorso anno ho letto con interesse l’ultimo suo volume, che porta un titolo stuzzicante ed non emblematico: “L’eremo non è un guscio di lumaca”. Recentemente, invece, ho pure letto un lungo articolo su “Vita pastorale”, dedicato a questa donna ricca di spiritualità, ma guardata con sospetto, e talora con rifiuto, dai “cristiani benpensanti”.
Pensavo di aver chiuso con questa intellettuale dello spirito, ma un amico di data recente m’ha regalato un volumetto veramente interessante, uscito recentemente, dal titolo: “Tutto è grazia”. Il volume riporta l’ultima intervista di questa feconda scrittrice a Domenico Budali. Questo testo ha certamente il merito di essere discorsivo e quindi più scorrevole dell’ultimo volume, estremamente concettuale e puntiglioso nella ricerca del divino nella vita.
Appena ho intrapreso la lettura, ho cominciato subito a sottolineare dei passaggi che aprivano alla mia anima spiragli di luce, che mi offrivano visioni spirituali quanto mai interessanti.
Desidero far dono ai miei amici di un passaggio, ma credo che sentirò il desiderio di tornarvi ancora.
A proposito della preghiera la Zarri afferma: “Essa non serve a Dio, ma a noi. Così la festa non è fatta per Iddio, è fatta per noi; i comandamenti non sono fatti per Iddio, sono fatti per noi. Pregare quindi non è qualcosa per `far felice il Signore’, ma è un tentativo di conversione personale, il tentativo di cambiar mente e modo di pensare, d’essere più lucidi e sereni”. Ed ancora insiste su questo argomento: “Quando chiediamo qualcosa al Signore, ci è sempre dato, anche se non c’è dato quello che a noi sembra cosa giusta”.
La preghiera, vista da questa angolazione, è quindi tutt’altra cosa che presentare in modo superficiale una lista di richieste di dubbia utilità.
Questa lettura del pregare non è cosa proprio di poco conto.
Don Armando Trevisiol
http://www.donarmandotrevisiol.org/blog/archivio/date/2012/05/page/2
giovedì, 17 maggio 2012
Mi capita abbastanza di frequente di ritornare col pensiero alle riflessioni di Adriana Zarri, la teologa massimalista che per molti anni avevo rifiutato e dalla quale m’ero tenuto lontano perché la ritenevo esageratamente sinistrorsa e donna della fronda cattolica. Ora mi sono riavvicinato alquanto al suo pensiero, dopo la sua morte, attraverso la lettura dei suoi ultimi scritti. Sto recuperando tutto il positivo di questa donna che, se non altro, ha cercato appassionatamente in tutta la sua vita il volto bello di Dio nel Creato.
Laura Novello, la cara signora che si cura di riordinare grammatica e sintassi dei miei periodi infiniti, aggiungendo punti, virgole e quant’altro è necessario per rendere leggibile il diario, mi ha giustamente osservato che da qualche tempo ritorno con troppa frequenza su questa teologa eremita della diaspora spirituale.
La signora Laura ha sempre ragione ed io mi sforzo sinceramente di seguire i suoi saggi consigli di lettrice attenta e fedele. Però debbo confessare che spessissimo rimango influenzato dalle letture che vado facendo e che sento il desiderio di rendere partecipi i miei amici delle cose belle che scopro. Non tutti hanno il tempo e l’opportunità che io, vecchio prete in pensione, ho di spigolare il buono tra la produzione letteraria che oggi è pressoché infinita.
Ad esempio sento il desiderio di confidarvi il piacere e la delicatezza religiosa che ho scoperto leggendo l’ultimo volume “Tutto è grazia” della Zarri. Come scrissi “troppe” volte, questa teologa visse l’ultima parte della sua vita da eremita in un cascinale isolato delle colline piemontesi. Adriana non poteva partecipare all’Eucaristia quotidiana perché anziana e lontana dalla parrocchia, e perciò “celebrava” la messa nel suo eremo da sola, ossia si immergeva spiritualmente nella sublime liturgia, memoriale della Redenzione, creandosi perfino una “assemblea” di “fedeli”, coinvolgendo gli animali nella sua cascina: galline, conigli ecc., e piante in fiore. Ossia lodava il Signore assieme a tutto il Creato.
Ricordo che anche il famoso scienziato Talleirand de Chardin, mentre nelle steppe dell’Asia conduceva le sue ricerche di paleontologia, “celebrava” l’Eucaristia in totale sintonia con il Creato nella sua grandiosa complessità.
Ebbene, della “messa” di Adriana Zarri m’ha colpito un gesto quanto mai significativo, al momento del “datevi un segno di pace”: sporgeva la mano alla sua amatissima gatta, sempre partecipe al sacro rito, la quale porgeva a sua volta la sua zampetta. Infantilismo? No! La Zarri sentiva il Creato come segno dell’amore di Dio, vibrava cogliendo l’amore sconfinato del Creatore verso l’uomo.
Io non sono un “convertito” al “credo” della Zarri, però confesso ora che guardo con occhi diversi le piante, gli animali, come componenti della creazione e li sento più “amici” e molto più cari.
Don Armando Trevisiol
http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-a-colloquio-con-adriana-zarri-intorno-alla-omosessualita-71109419.html
Gentili lettori ed ascoltatori, oggi il segno di Zarri vi potrebbe stridere nelle orecchie come un gesso sulla lavagna.
Quindi se avete le orecchie delicate, tappatevele o andate a farvi un giretto su altri lidi del web, però migliori di questo e non peggiori, altrimenti mi fate venire il senso di colpa.
Questa notte ho conversato due ore con Adriana Zarri sulla notizia, apparsa sui giornali, del ritrovamento di un reperto, attestante la presunta omosessualità di Gesù Cristo.
Premetto che esiste anche una lettera di Sant'Agostino ad un suo amico, giudicata come probabile testimonianza di tendenze omosessuali in Sant'Agostino, che è stato comunque dichiarato santo.
Ha detto Adriana che la tendenza omosessuale uno non se la va a cercare.
La persona si scopre di essere tale nella pubertà o nell'adolescenza.
Credersi o ritenersi indegni di esistere solo per questo è una grande offesa arrecata a Dio, perché è come impedire a Dio di amare anche quell'anima, che grazie ad altre virtù potrebbe superare in santità altre persone, aventi tendenze eterosessuali.
Adriana ed io non siamo rimasti scandalizzati dal fatto che Gesù potesse essere omosessuale. La nostra fede in lui resta salda. Anzi il suo sacrificio acquista maggior valore, perché significherebbe che Egli non era inviso a Dio, Suo Padre, per questo comportamento sessuale ed il Padre Gli ha permesso di riscattare l'umanità nonostante queste sue tendenze sessuali.
La Chiesa cattolica deriva l'"odio" verso l'omosessualità dai testi biblici, vetero e neotestamentari e da lì non si scolla. Resta da vedere se questi testi riproducano fedelmente la voce di Dio o siano una rielaborazione compiuta arbitrariamente dall'uomo.
Già questo comportamento di condanna della Chiesa cattolica nei confronti dell'essere omosessuali mi pare altezzoso da parte della Chiesa stessa, perché non si permette a Dio o a Gesù o alla Madonna di uscire fuori dai libri sacri e di svolazzare dove vogliono , per amare chi vogliono.
I fondamentalisti, quindi tutta la gerarchia ecclesiastica ed il suo seguito pauroso ed impaurito, gridano allo scandalo, qualora una persona si discosti da quello che dice San Paolo.
Ma io mi domando e dico : se il mondo, dopo 2000 anni dalla nascita di Cristo è peggiorato rispetto all'epoca di Cristo, è lapalissiano che qualcosa nella Chiesa non va.
E vi domando : non abbiamo nel nostro mondo contemporaneo un'infinità di teologi, in grado di riscrivere queste benedette lettere di San Paolo e di San Pietro, per contestualizzarle ed adeguarle all'esigenza dell'umanità odierna?
Se Dio ci dona così tanti teologi e mistici illuminati, non credo che Dio ce li invii per farli poi sospendere a divinis dal Papa o per farli dichiarare eretici !
Ce li ha donati, affinché contribuiscano ad aggiornare le Sacre Scritture con le loro idee ed ispirazioni, anche se a volte escono fuori dal seminato, ma qual'è il seminato ?
Ma voi credete veramente che il Papa, i vescovi, i cardinali e le conferenze episcopali, con in testa o in testa - coda il Cardinal Bagnasco, non cambino uno iota al vangelo, solo per salvaguardare la nostra salute spirituale? Siete degli illusi se la pensate così, perché loro predicano bene e razzolano male.
Una volta conoscevo una persona, che faceva il sacrestano in una chiesa al centro di Roma. Ebbene questa persona mi diceva che quando il vescovo andava in visita in quella chiesa, si ritirava in una stanza con una donna e non certamente per recitare il rosario o le litanie. Forse recitavano le lodi, ma quelle dell'amore carnale.
Non mi volle dire nome e cognome e quindi sicuramente sarà ancora in giro a fare danni e forse avrà fatto anche qualche figlio.
Ha detto Adriana Zarri che è arrivata l'ora che mi passerà nomi e cognomi e credenziali di tutte queste brave personcine, che salgono sull'altare con le mani così ben pulite.
Perché prendere in giro i fedeli e poi fare i propri porci comodi ?
Adriana ha già raccomandato al Papa di inviare una lettera pastorale a se stesso, alla curia romana e a tutti i chierici del mondo, affinché facciano outing e coming out delle tresche che intrattengono, sia etero- che omosessuali.
Dopo di che, si vedranno i risultati, che si spera siano sinceri, pena il taglio.... (.voglio essere buono.)....della mano alla Bocca della verità.
Sulla base dell'esito del sondaggio o delle confessioni si deciderà se abolire il celibato per i sacerdoti e di permettere loro di sposarsi e di fare una famiglia.
Per coloro che dichiareranno di essere omosessuali si dovrà decidere come comportarsi,, senza scomodare nè San Paolo nè San Pietro nè Sodoma nè Gomorra.
Abbiamo abbastanza teologi e mistici in gamba ed ispirati ed illuminati dalla sofferenza dell'umanità, che potranno essere di supporto al Papa per redigere un'enciclica, sempre che il Papa, facendo un terribile sforzo per fare un gesto di clemenza, riabiliti quelli sospesi a divinis o isolati da più di vent'anni a fare la muffa e tenuti a maggese, ad esempio un Padre Luigi ( Gino ) Burresi, che, non si sa perché, debba fare da capro espiatorio per tutti i peccati sessuali dell'umanità, a meno che il Papa non lo consideri il Messia, atteso da millenni dagli Ebrei, perché a questo punto se lo potrebbe pure vendere, facendosi almeno trenta denari.
Perché è un'ipocrisia condannare l'omosessualità, quando Adriana Zarri mi ha detto che parecchie Eminenze la praticano impunite e mi manderà un SMS con nomi, cognomi e nomignoli amorosi.
Allora tanto malvagia non è, se persone così vicine agli Apostoli si comportano così, a parte che da quel famoso reperto risulterebbe che anche gli apostoli la praticavano. In quel caso le nostre Eminenze, senza saperlo, sarebbero dei loro perfetti emulatori, ma almeno ce lo dicessero anche a noi, così batteremmo loro le mani e gli daremmo pure una sculacciata sul sederino, da farglielo diventare rosso rosso, come la porpora di cui sono rivestiti.
Adriana Zarri ha detto che se non si cambia marcia, non vi sarà salvezza nella Chiesa, che rimarrà per sempre una Casta Meretrix, come la definiva Sant'Ambrogio.
Adriana mi ha detto inoltre che se il Papa non si darà una bella scrollata, farà esplodere un terremoto spirituale nella Chiesa cattolica, che il Papa Benedetto si dovrà mangiare le mani con tutto l'anello piscatorio e poi vattela a pesca.
Riccardo Fontana
https://it.zenit.org/articles/la-solitudine-di-cristo-in-croce-e-la-teologia-in-comunita-della-chiesa/
La solitudine di Cristo in Croce e la “Teologia in comunità” della Chiesa
Nel libro a cura del preside del Seraphicum, i commenti di Piero Coda, Bruno Forte, Maurizio Malagauti, Tymothy Radclyffe, Roberto Repole, Giuseppe Ruggieri, Roberto Tamanti
Sembra esserci una contraddizione tra la solitudine di Gesù sulla Croce e la comunione della Chiesa e nella Chiesa. Come fare teologia e verso dove orientare la conoscenza sapienziale del mistero di Cristo? Una domanda a cui p. Domenico Paoletti, O.F.M.Conv., preside della Facoltà Teologica San Bonaventura Seraphicum ha provato a dare una risposta nel libro dal titolo “Una teologia in comunità”.
Il volume, edito dalle Edizioni Messaggero di Padova, si avvale dei contributi dei teologi Giuseppe Ruggieri, Piero Coda, Maurizio Malagauti, Roberto Repole, Bruno Forte e Tymothy Radclyffe. L’introduzione è a cura di mons. Rino Fisichella, che scrive: “Difficile vedere che la communio nasce proprio là dove Gesù di Nazaret vive una volta per tutte l’abbandono del Padre come espressione ultima e definitiva del suo essere figlio all’Interno della Trinità D’Amore”. A tal proposito già il teologo svizzero Urs von Balthasar commentava: “L’essenza della comunione ecclesiale, l’elemento che la lega, che le conferisce struttura sociale, che la unisce più profondamente di ogni altra comunione della terra e della carne, profluisce dalla solitudine estrema, la più abissale possibile, in cui l’uno divenne ‘per amore di molti’ l’assolutamente Unico, l’Abbandonato da Dio e dagli uomini”.
Per saperne di più, ZENIT ha intervistato padre Paoletti.
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Qual è il legame tra la teologia e la vita fraterna in Comunità?
La teologia come fides quaerens intellectum è sempre espressione di una comunità cristiana in quanto la fede cristiana è sempre fede relazionale ed ecclesiale. Ecco perché la teologia si fa insieme, nella carità fraterna con la comunità dei teologi, in un dialogo, confronto, apprezzamento e correzione reciproca. Aggiungo che il fare teologia in comunità, uno dei criteri fondamentali del teologare, messo in evidenza dal documento della Commissione Teologica Internazionale “Teologia oggi” dell’8 marzo del 2012, viene ad essere rafforzato dalla nostra vocazione di frati francescani che hanno nel cuore del carisma la fraternità minoritica. Non si può fare teologia da soli, tanto più oggi in cui constatiamo la quasi scomparsa dei grandi maestri di teologia e un sapere sempre più specializzato settorialmente. Da qui il nostro impegno di formarci e formare un soggetto comunitario dove al centro ci sia la relazione che è la “cifra” della fede e, quindi, della stessa teologia. La teologia è costitutivamente comunitaria perché solo dalla vita di comunione deriva il vero sapere teologico, tanto più se si recupera la centralità dell’affectus fidei, ossia il carattere intrinsecamente affettivo della fede.
Lei sostiene che il Seraphicum è un laboratorio di ricerca di un nuovo paradigma teologico. Può spiegarci di cosa si tratta?
Il Seraphicum è una fraternità francescana interculturale, formata da frati docenti e studenti che costituiscono un’unica comunità. I profondi cambiamenti di questi anni – dovuti principalmente alla rivoluzione digitale, alla globalizzazione e alla frammentazione – ci hanno fatto prendere sempre più coscienza della emergenza educativa che sfida la stessa nostra proposta formativa ed accademica. Da tale consapevolezza, insieme al governo centrale del nostro Ordine, abbiamo pensato di fare del Seraphicum un laboratorio per elaborare e sperimentare un nuovo sistema formativo – e questo riguarda in primo luogo il Collegio degli studenti – e ricercare insieme, docenti e dottorandi, un nuovo paradigma teologico, e questo riguarda specialmente la Facoltà Teologica come comunità di discepoli missionari.
Da qui il percorso avviato negli ultimi anni di ritrovarci regolarmente a confrontarci e a discutere sul metodo in teologia, interpellando anche alcuni teologi di nota competenza affinché ci aiutassero a cercare un metodo condiviso all’interno di uno stesso paradigma teologico. Il volume Una teologia in comunità, uscito nel settembre scorso, raccoglie i vari interventi di teologi sul metodo e su come ci stiamo muovendo attraverso un nostro modo di fare teologia in comunità. Vogliamo essere attenti, come comunità di docenti e dottorandi, alla centralità vitale del legame tra vita di fede e pensiero teologico, tra preghiera e teologia, tra vita fraterna e ricerca teologica, tra teologia e missione. Una attenzione che riceve un forte impulso da Papa Francesco nel provocarci ad uscire fuori dalle secche di una teologia autoreferenziale verso un metodo teologico che parta e porti all’experientia et comunicatio fidei in caritate. In questa prospettiva il fare teologia, per noi al Seraphicum, si concretizza e si verifica particolarmente nella vita fraterna in comunità, convinti che la ricerca teologica, a forte impianto relazionale, possa recuperare il suo essere scienza sapienziale, un accento tipicamente francescano.
L’impegno della nostra comunità consiste e insiste nel formare e consolidare una comunità di frati docenti e ricercatori che imparino a fare teologia insieme, come esigenza e conseguenza della vita di fede in comunità, e siano dediti alla ricerca seria, metodica e rigorosa nelle varie discipline. Tale orientamento si realizza nel programmare periodicamente incontri tra docenti, dottorandi e formatori per uno scambio e un confronto sulla docenza e sulla ricerca, sul metodo, sul centro di attenzione e sui temi privilegiati, sulle letture e sugli studi che si stanno portando avanti per ricercare l’unità del sapere. Altri momenti di questa attenzione alla ricerca dello stesso paradigma teologico condiviso sono le presentazioni e le discussioni delle nostre pubblicazioni; la collaborazione nella correzione di articoli e di vari contributi scientifici; le difese delle tesi dottorali come eventi di promozione, approfondimento e condivisione dell’impegno alla riflessione; la programmazione dell’anno accademico che faccia emergere e approfondisca il profilo proprio della Facoltà. Vari momenti e attività animati anche dall’intento di ricreare una scuola francescana.
Un sogno che stiamo condividendo e coltivando all’interno della variegata famiglia francescana, tanto che lo scorso 2 ottobre i ministri generali delle famiglie francescane del primo Ordine e del terzo Ordine regolare hanno deciso di istituire a Roma, entro la Pasqua del 2018, un’unica Pontificia Università Francescana: un sogno che comincia a prendere forma di un segno veramente profetico.
Che rapporto esiste tra teologia e scienza? E perché lei sostiene che la teologia è una scienza?
Lei pone la questione epistemologica della teologia. Va premesso che il cristianesimo fin dall’inizio ha sposato il logos greco, ossia la ragione, rifiutando con ferma decisione il mito pagano delle religioni, perché la fede cristiana è vera, e non è una delle tante opinioni o fedi, come ancora oggi un certo sapere scientista e secolarista tende a ridurre. La teologia come intellectus fidei è una riflessione sistematica e metodologica dei credenti sulla loro fede. La Teologia è una scienza? La risposta dipende dalla definizione che diamo alla scienza. Molte incomprensioni e conflitti sorgono da concezioni positiviste e riduttive di scienza. Oggi nel mondo scientifico viene sempre più condivisa la prospettiva che ogni disciplina è scientifica se possiede un oggetto, un metodo adeguato all’oggetto e un sapere comunicabile a tutti. L’oggetto della disciplina scientifica può essere sperimentale, storico o speculativo. In una tale concezione di scienza, sempre più condivisa nel mondo scientifico, la teologia è una scienza perché ha un oggetto (l’evento della Rivelazione cristiana come intervento inaudito di Dio stesso nella carne, nel linguaggio e in tutta la vicenda storica di Gesù di Nazareth); ha un metodo adeguato all’oggetto (quello d’integrazione tra metodo sperimentale – storico e metodo speculativo). Il sapere teologico è comunicato a tutti perché è ragionevole e viene elaborato, rispettando la logica del pensiero che cerca la verità che la fede riconosce e comunica. La teologia oggi è chiamata a dimostrare la credibilità della fede cristiana neutralizzando la portata pregiudiziale dell’incredulità del logos solo calcolante.
Quale tra gli interventi del libro “Una teologia in comunità” lei ritiene più innovativo e moderno?
Nel libro troviamo contributi di noti teologi che da angolature diverse convergono nel delineare un metodo e una prospettiva di teologia come sapienza dell’amore. Come afferma monsignor Rino Fisichella nella presentazione, gli interventi tengono insieme due termini che normalmente vengono considerati estranei: communio e metodo. La communio come esperienza soggettiva e il metodo come procedere nella riflessione teologica tenendo presente l’oggetto e, quindi, i contenuti oggettivi. Considerando che sono interventi tenuti in occasione di prolusioni di inizio anno accademico e di lectio magistralis per la festa di san Bonaventura, patrono della nostra Facoltà, è significativo rilevare che dai contributi raccolti nel volume la communio emerge come il vero metodo della teologia. Non ci sono interventi più innovativi e moderni di altri, ma tutti danno un apporto a tenere insieme communio e metodo con il ristabilire il nesso tra vita, fede, verità e sapere che oggi incontriamo sciolti e, pertanto, smagati. Se proprio devo indicare un contributo che esprime un intento più mirato verso tale prospettiva, mi viene in mente l’intervento di Piero Coda, il quale riprende la testimonianza evangelica di san Francesco come “luogo teologico” in cui si staglia chiaramente la centralità di Cristo, reinterpretata da san Bonaventura nell’Itineriarium mentis in Deum. Il prof. Coda approfondisce come la teologia francescana, caratterizzata dal cristocentrismo trinitario, oggi provochi al recupero dell’oggetto e del metodo in teologia nella communio in-Cristo come fratelli.
http://www.finesettimana.org/pmwiki/?n=Db.Sintesi?num=104
Dire Dio: al femminile
Parlare di Dio al femminile è come dire l'altra faccia della luna. Siamo agli inizi di un lungo cammino ed è possibile fare solo degli accenni.
una premessa: la necessità di una rivoluzione culturale
C'è stato un cambiamento di paradigma scientifico. C'è la consapevolezza che il modo di capire il mondo, la realtà, se stessi, Dio porta da cima a fondo l'impronta della maschilità degli autori. È una rivoluzione culturale. Non c'è una maniera umana neutra di rappresentare il mondo, di pensare. Il modo di pensare è strettamente legato all'esperienza di mondo che si fa e pertanto alla propria sessuazione. Il modo di capire e pensare è diverso.
Questa considerazione diventa rivoluzionaria quando viene detta in un mondo in cui una delle due sessuazioni ha preso se stessa come la norma dell'umanità. È non dichiarato, ma presupposto, che l'umanità normale è quella degli uomini e quindi il punto di vista normale è quello maschile. Pertanto quando accediamo all'arte, alla filosofia, alla religione ci accostiamo sì al frutto del lavoro della mente umana ma anche all'impronta maschile di chi l'ha prodotto.
"un" punto di vista, quello maschile, come "il" punto di vista
Non è solo un dato biologico l'essere maschio o femmina, ma anche un dato culturale. Nasciamo già con un patrimonio culturale che ci viene trasmesso con il cibo e l'aria che respiriamo.
La struttura del mondo ha preso l'impronta della maschilità è poi si è riprodotta (non è solo un fatto biologico): anche una donna può trasmettere un'immagine maschile di mondo ed anche un uomo avvertire il problema. Nelle grandi strutture che reggono il mondo le donne scompaiono e non è presente il loro punto di vista di fronte all'uomo.
Il problema non è quello di rifiutare le produzioni culturali perché portano l'impronta maschile, né quello di accusare di cattiveria gli uomini. Un uomo può anche essere bravissimo ma la struttura rimane al maschile.
scoprire la mostruosità del soggetto
Il soggetto tacito dei saperi e il soggetto esplicito dei poteri è al maschile. Si deve riconoscere che ciò che credevamo fosse il soggetto umano in generale è in realtà il soggetto maschile. La donna può vedere di diventare da assoggettata "soggetta", togliendo all'uomo la maledizione di sentirsi un soggetto assoluto, che non sa di essere una parte.
una cultura al maschile dice Dio al maschile
La fede ci parla nella vita e nei gesti di Gesù, ci parla nella Scrittura, ma questo parlare di Dio avviene con categorie culturali umane. La parola di Dio ci raggiunge con un mezzo umano culturalmente condizionato e che va pertanto interpretato.
Gli esseri umani si rappresentano sempre Dio accogliendo la sua parola, dentro le loro categorie mentali e culturali.
Anche per i non credenti è interessante il linguaggio religioso, proprio perché nel dire Dio l'essere umano proietta l'immagine più grande di se stesso.
Ora l'essere umano che dice Dio è sempre un essere umano al maschile, con un punto di vista androcentrico. L'immagine di Dio porterà tratti unilateralmente maschili.
non la somma ma la tensione tra i due punti di vista
L'immagine più corretta di Dio non è quella che assomma i connotati maschili a quelli femminili. L'importante è essere consapevoli che il nostro modo di dire Dio comporta proiezioni maschili e femminili, che il nostro modo di dire Dio è sempre inadeguato, perché sempre qualcosa di nostro viene proiettato. La tensione tra i due punti di vista può essere feconda. Occorre pensare la relazione di Dio con noi a partire dalla dualità del soggetto.
come può la donna identificarsi nell'immagine maschile di Gesù?
In realtà in tutto l'evento di salvezza se c'è una cosa inessenziale è la maschilità dell'uomo Gesù di Nazareth. Gesù non ha mai assunto atteggiamenti maschilisti. Gesù ha decostruito tutti i tradizionali modi del potere maschile, sia nella sua relazione con le donne, sia nel suo modo di essere.
L'evento salvezza deve apparire in entrambi i generi: è la necessità di una teologia femminile, di una parola di Dio detta e interpretata da donne.
riandare alle Scritture
Non ci si può limitare a denunciare i tratti maschilisti proiettati indebitamente su Dio o a indagare qual è lo sguardo di Dio sulle donne. È necessario rifare tutto il pensiero su Dio, da cima a fondo, rifacendo il percorso storico con il quale la teologia cristiana si è prodotta, incominciando con il commento alla Scrittura.
Ciò che è mancato non è stato la presenza femminile nella storia, ma il suo racconto (la storia non è il semplice fatto accaduto, ma il fatto interpretato e narrato). Per esempio le arti coltivate dalle donne, come il ricamo, sono rimaste anonime.
Occorre iniziare dalla Scrittura, nonostante sia stata scritta letta e interpretata da uomini, perché attraverso la Scrittura risuona la parola di Dio. La Scrittura, quando viene letta con altri occhi, quando le sono rivolte altre domande, non dà risposte monoliticamente maschiliste.
Occorre partire da sé, ma non rimanendo inchiodate a se stesse. Partire da una identità ritrovata per andare all'ascolto.
Solo attraverso la rilettura al femminile della Scrittura si colgono correttamente nella loro origine le risposte alle tre grandi questioni fondamentali: come Dio mostra di pensare la donna; quali immagini di Dio, non solo impregnate di tratti maschili, le donne possono ritrovare nella Scrittura; come ripensare la concezione di Dio Padre.
Dio Padre
Centrale è nella bibbia la cifra della paternità di Dio, e sembra del resto contrastare gli esiti nevrotici del complesso di Edipo. Dio è un padre totalmente altro: è difficile potersi mettere in concorrenza e ucciderlo per prenderne il posto. Inoltre la nostra figliolanza non è naturale, ma adottiva.
Dire che Dio è padre può significare che il padre è Dio, da cui deriva tutta la concezione del padre padrone. Credo sia più giusto dire che il divino è il principio paterno. Il principio paterno ha la funzione di separare il figlio dalla madre e di rinviarlo alla propria autonomia.
Quindi dire che Dio nei miei confronti è padre significa che è alla mia origine, ma senza inglobarmi, rinviandomi alla mia autonomia.
Nel Cristianesimo il disegno del Padre è la pienezza di vita, l'autonomia del Figlio. E quindi della pienezza della vita del figlio e della figlia.
rilettura della bibbia da parte delle donne
È una rilettura fondamentale se si vuole che la riflessione teologica al femminile sia sufficientemente legata al dato originario. Mentre i Medi, i Parti e gli Elamiti (Atti2,11) hanno udito nella loro lingua le meraviglie di Dio, questo ancora non è accaduto nella lingua delle donne.
una breve storia della rilettura al femminile
Nella primitiva comunità cristiana c'era una significativa presenza femminile che sarà in seguito marginalizzata.
Nell'epoca moderna diverse donne rivendicano una loro diversa collocazione nella società e nella cultura, rifacendosi alla bibbia, al disegno originale, creazionale di Dio.
La grande rilettura biblica comincia negli Stati Uniti nell'ottocento: si sostiene che Dio non vuole né che i neri siano schiavi né che siano assoggettate le donne. Negli Stati Uniti erano presenti le Chiese di tradizione quacchera e metodista, per le quali la comunità è una comunità di eguali.
Elisabeth Cady Stanton pubblica tra il 1895 e il 1898 la Bibbia delle donne, serie di brani biblici con un commento che reinterpreta testi tradizionalmente letti come sfavorevoli alle donne. Nasce un movimento che non si fermerà più. Fioriscono studi biblici fatti da donne sia in campo accademico che militante. Esiste una comunanza, una convergenza tra donne cristiane di diverse confessioni da far apparire secondarie le differenze confessionali.
un nuovo modo di leggere la bibbia
È mutato il modo di leggere la bibbia: c'è il riconoscimento della dimensione ermeneutica.
La bibbia ha questo di particolare: i suoi racconti nascono da esperienze vissute che danno luogo ad un'interpretazione credente che coglie l'azione di Dio in quella storia. Questo testo, frutto della scrittura e della interpretazione credente dell'evento narrato, viene letto e interpretato. E la nuova interpretazione diventa a sua volta bibbia. La bibbia stessa è una storia di narrazione e di interpretazioni. Interpretare la bibbia è in qualche modo continuare ciò che è nella bibbia.
Quando le donne si mettono a leggere la bibbia hanno di fronte una lunga storia di interpretazioni molto condizionata dal punto di vista maschile. E assolutamente corretto che tra le varie interpretazioni ci sia anche il punto di vista delle donne.
Oggi siamo consapevoli che la risposta che un testo dà dipende molto dalla domanda che viene rivolta e quindi dalla prospettiva di chi pone la domanda. Le donne rivolgono delle domande diverse e quindi hanno delle risposte diverse.
da parte delle donne sono state sviluppate tre linee di ermeneutica biblica
La prima sottolinea di più l'aspetto storico, ricercando nella bibbia tracce di culture anteriori al patriarcato. Il limite riguarda l'affidabilità delle tracce.
La seconda afferma invece che ciò che è importante è che la bibbia è un testo che parla a me oggi. Non mi interessa l'origine del testo. Limite: sottovaluta che il testo è stato scritto e interpretato da uomini ed è stato usato per sancire la subordinazione femminile.
Un terzo filone sottolinea che forma e contenuto del testo sono inscindibili. Il punto di vista di chi ha scritto il testo è un punto di vista patriarcale e androcentrico, perciò inutilizzabile.
Io scelgo una via mediana tra le prime due, ritenendo importante riconoscere che ci sono strati prepatriarcali al testo e che il testo è un interlocutore vivo per me adesso e che quindi è importante il dialogo con il testo.
Questo significa riconoscere la potenza simbolica dell'evento biblico. Non si può separare il fatto dalla sua interpretazione.
Qualche frammento di lettura al femminile
La investigazione femminile fa assumere una luce diversa alla bibbia.
Nella bibbia si dice che Dio ha viscere di misericordia, bisognerebbe più correttamente tradurre che Dio ha uteri di misericordia. A Dio non ripugna comunicarsi con simbologia femminile (invece predomina un'immagine di Dio al maschile).
L'azione di Dio padre ha poi dei tratti femminili: lo spirito di Dio aleggiava sulle acque, dovrebbe essere più correttamente tradotto con covava sulle acque.
C'è poi un tema biblico sottaciuto, che è quello della presenza di Dio al femminile nella creazione secondo due modalità. Una è la Shekinàh, che indica la presenza di Dio tramite una figura al femminile. La Shekinàh poi continua nel tema della sapienza, della Sophia.
Se poi guardiamo a come si parla delle donne nella bibbia troviamo molte sorprese.
Innanzitutto Dio ha creato l'essere umano al maschile e al femminile: l'una è l'aiuto per "un di fronte".
Solo dopo la creazione di Eva Adamo parla: non si nasce come esseri umani finché non si è in due in questa differenza.
Se andassimo a cercare l'atteggiamento delle donne rispetto alla divinità troveremmo altre sorprese.
Tra le più belle preghiere della bibbia vi sono quelle pronunciate da donne, come ad esempio il Magnificat.
http://robertognan.blogspot.it/2008/12/adriana-zarri-dodici-lune.html
Adriana Zarri, “Dodici lune”
http://gruppodelguado.blogspot.it/2013/07/ricordando-adriana-zarri.html
Questo è l'epitaffio che Adriana Zarri ha scritto per se stessa.