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19 febbraio 2016 5 19 /02 /febbraio /2016 03:42

 

 

 

http://www.labottegadelvasaio.net/2012/10/03/la-teologia-e-la-morale-del-lasciarsi-amare/

 

 

Mani aperte

 

 

Siamo figli di una morale cattolica fortissimamente improntata sull’importanza del “dare” e del “darsi”. Un agire moralmente qualificato è solitamente considerato solo quello che si offre e che si sacrifica per il prossimo. Il comandamento dell’amare è stato fortissimamente sbilanciato in un’esperienza dal carattere monodirezionale: da me all’altro. Eppure l’amore di cui Gesù riempie la propria esistenza è anzitutto quello che riceve dalle mani del Padre Suo, prima di quello che a Sua volta sa attuare. Pensare il comandamento dell’amore come l’invito, anzitutto, ad essere recettivi nei confronti dell’amore di Dio non è affatto cosa usuale. 

Questo bellissimo scritto di Adriana Zarri ci aiuta a riequilibrare le cose e a pensare la qualità morale della vita cristiana come qualcosa che dipende fortemente anche dalla capacità di accogliere l’Amore che ci viene offerto. Lo Spirito Santo è il protagonista dell’amare in modo recettivo.

 

Parlare dello Spirito Santo significa forse parlare dell’aspetto più segreto e misterioso di Dio: di un Dio – qual è il nostro Dio trinitario – che non si limita a effondersi, a darsi, ma sa anche riceversi, accogliersi, ascoltarsi, lasciarsi amare da se stesso.  Lo Spirito Santo è l’amore di Dio; ma è l’amore passivo. Forse sarebbe meglio dire che è l’amore di Dio, l’amato da Dio, che sussiste proprio in virtù di quest’amore che riceve perennemente, eternamente, come un respiro profondo che, insieme alla generazione del Verbo costituisce la vita intima di Dio. E se vogliamo cogliere il messaggio che egli dà a noi uomini, dovremmo forse dire che egli ci insegna, sì, l’amore;  ma soprattutto quell’amore umile e disponibile che non è tanto amare quanto piuttosto lasciarsi amare. L’amore attivo potrebbero insegnarcelo, più propriamente, il Padre o il Figlio; ma questo amore che riceve e non si vergogna di ricevere sembra essere la lezione particolare dello Spirito: Lui che, nell’ambito della vita di Dio, riceve solo e, per questo, non è più piccolo del Padre e meno perfetto e generoso del Verbo.  Già questa è una lezione per noi che tendiamo a qualificarci moralmente solo per quello che sappiamo dare e non anche per quello che sappiamo ricevere dagli altri. Invece essere disponibili, aprirsi, lasciarsi invadere e lavorare dall’amore non è più facile né meno meritorio dell’amare ed é amare a sua volta, perché suppone una benevolenza, una simpatia, in una parola, un amore per quest’amore che ci viene incontro e al quale apriamo tutte le porte dell’essere.  Lasciarsi amare non è semplicemente essere amati: un fatto che può avvenire a nostra insaputa o nostro malgrado e che non ci segna moralmente: un fatto che è al di fuori di noi, che resta alla nostra superficie, estrinseco, che dipende da altri e resta estrinseco, alla nostra superficie, proprio perché non gli abbiamo aperto la porta.  Lasciarsi amare significa accettare un dialogo d’amore ma non, primariamente, dalla parte che propone, ma da quella che accetta la proposta; significa fare unità con l’altro, non tanto perché si entra nella sua vita ma perché ci si lascia penetrare, invadere, riempire di lui: atteggiamento prezioso nel rapporto tra gli uomini ed essenziale al rapporto dell’uomo con Dio.  Il rapporto religioso è infatti soprattutto, un rapporto di recettività; e infatti che lo blocca e lo rende difficile non è tanto la grettezza, l’avarizia, la mancanza di generosità ma piuttosto l’orgoglio, la presunzione di sufficienza, la mancanza di disponibilità: in una parola il non sapere o non volere ricevere da Dio.  Non volere ricevere da Dio significa, evidentemente, provocare il discorso religioso alla radice perché Dio, nei confronti dell’uomo è colui che dà e l’uomo soprattutto colui che riceve. Ma il ricevere è costruttivo solo se non è un fatto ma una scelta: se è un accettare di ricevere e un volerlo.  Tutti gli uomini ricevono da Dio ma non tutti hanno un vero rapporto religioso, perché non tutti accettano consapevolmente e volontariamente i doni del suo amore. Questo lasciarsi amare, proprio perché non è un mero fatto ma una consapevole scelta, e quindi già un riscontro e un ricambio d’amore, è sommamente costruttivo.  Lo Spirito Santo – che è la persona ricettiva per eccellenza (e la teologia parla addirittura di passività) –  non resta, per così dire, immoto, senza incidenza nella vita trinitaria ma, anzi, la chiude e la conclude. Esso (sempre chiedendo venia per l’inevitabile improprietà di linguaggio) forma il cerchio che Dio gira attorno a se stesso, quasi un periplo infinito che lo fa consistere così come tre punti fanno consistere un piano.  Perciò lo Spirito Santo, nella sua recettività, fa a Dio il dono infinito del suo essere, e del suo essere trinitario, del suo essere com’è: dono, evidentemente, comune, di tutte e tre le persone divine, ma che non si potrebbe cogliere ove non esistesse questa suprema maturazione dello Spirito. Anche l’uomo col suo ricevere Dio, chiude un cammino che Dio compie, stavolta,  «fuori di sé» e restituisce a Dio qualcosa di quanto ha ricevuto e voluto e  accettato di ricevere. Non è tanto il discorso di Dio che «ha bisogno degli uomini» per l’evangelizzazione e la vita della Chiesa. Anche, ma ben più profonda è la prospettiva di questa recettività divina, soprattutto perché, con l’Incarnazione, non è ben chiaro come possiamo essere «al di fuori di Dio».  Tanto al di dentro siamo che, nell’incorporazione a Cristo, siamo introdotti nel Verbo: vale a dire nel centro della vita trinitaria. E, partecipando al Verbo non solo partecipiamo alla generazione passiva (siamo, cioè, nel Verbo, generati dal Padre) ma anche alla spirazione attiva: sempre nel Verbo, cioè, partecipiamo a quell’operazione d’amore da cui procede lo Spirito. Una realtà così vertiginosa non mi attenterei a dirla se non l’avesse detta, prima di sè, Giovanni della Croce, in uno dei testi più alti (se non, forse, il più alto, in assoluto) della letteratura mistica di tutti i tempi. Ed è lo Spirito che, introducendoci alla recettività e presiedendo alle donazioni di Dio (grazia, virtù infusa, doni, preghiera passiva…), consente questo ingresso nella sua vita più profonda fino a farci avere parte in quello scambio di dare e di ricevere che costituisce la sua vita.

 

Adriana Zarri – Teologia del quotidiano
“Il Dio critico. Spirito Santo e amore di Dio”

 

Mina - Io ti amavo quando ... - YouTube

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18 febbraio 2016 4 18 /02 /febbraio /2016 03:48

 

 

eucaristia+adriana+zarri

 

 

 

 

Mensa umano mistero

 

 

Facci, Signore, il dono della cena.

 

Tu ti sei seduto a cena.

 

Oh, sì, ma non era una cena come tutte le altre,

 

sebbene tutte le altre le fossero ordinate:

 

era una cena unica,

 

in cui tu eri commensale e vivanda;

 

E gli apostoli mangiarono con te e di te.

 

Ma prima di considerare il mistero eucaristico,

 

lasciaci considerare questo semplice

 

e dolce “mistero” umano della mensa,

 

che tu tante volte

 

hai voluto condividere con i tuoi amici.

 

L'Eucaristia è il sacramento della tavola,

 

così come la tavola

 

è il sacramento della nostra amicizia.

 

Perciò, prima di farci il dono dell'Eucaristia,

 

facci, Signore, il dono della cena:

 

della semplice mensa degli uomini,

 

della condivisione dell'amore e dei beni,

 

della cordialità del pacato discorrere

 

e del calore del volersi bene.

 

Dacci di sapere cenare in amicizia,

 

come facevi a casa tua,

 

come facevi a Cafarnao nella casa di Pietro,

 

e a Betania, nella casa di Lazzaro;

 

come facesti a Gerusalemme, nel Cenacolo.

 

Donaci amore per invitare amici,

 

ospitalità per servirli,

 

cordialità per discorrere con loro,

 

gioia per mettere la tovaglia bella,

 

letizia per versare il vino dolce.

 

E fa' sì che in ogni pranzo e in ogni cena

 

avvertiamo la tua visibile presenza,

 

ospite sempre invitato, amico sempre amato,

 

nostro pane, nostro vino,

 

nostro banchetto eterno.

 

 

Adriana Zarri

 

 

 

 

 

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17 febbraio 2016 3 17 /02 /febbraio /2016 19:20

 

 

 

http://www.donarmandotrevisiol.org/blog/archivio/2047.html

 

 

 Adriana Zarri, poetessa di Dio

 

15 luglio 2011

Adriana Zarri

Qualche mese fa è morta Adriana Zarri. Non credo che il gran mondo la conosca, un po’ di più è conosciuta dai cattolici del dissenso, perché questa studiosa della Sacra Scrittura e questa cristiana militante scriveva su “Il manifesto” e condivideva molte delle tesi culturali della sinistra ed era molto critica nei riguardi delle prese di posizione delle gerarchie della Chiesa.

In occasione della morte, anche i periodici di ispirazione cristiana hanno liquidato velocemente la notizia con titoli un po’ guardinghi e con la preoccupazione della riserva: “Adriana Zarri, credente fuori delle righe”.

Io ho letto la notizia con qualche interesse perché più di mezzo secolo fa avevo letto un suo libro sui sacerdoti dal titolo “Servi inutili”, un titolo che si rifaceva ad una affermazione di Gesù, la quale sottolineava la grande verità che solo Iddio è il protagonista della storia, l’uomo semmai ne è un povero strumento. Il volume viaggiava su questa tesi, ribadendo il concetto che il prete è una creatura preziosa e sublime nella misura in cui si fa strumento docile e maneggevole nelle mani di Dio.

Dalla lettura mi è rimasto il ricordo di un testo edificante ed utile, a livello ascetico, per i sacerdoti. Ma dalla posizione ideale di Adriana Zarri a quella con cui ha chiuso la sua giornata umana pochi mesi fa “ne è passata di acqua sotto i ponti”. La Zarri fu una militante cristiana atipica, dura come l’acciaio. Sostenne tesi anche in aperto contrasto con le posizioni della Chiesa cattolica, pur rimanendo integerrima nella sua fede. Scrittrice brillante, ricca di logica, di cultura, ma insieme di poesia e di sentimento, cercò il difficile dialogo con la cultura laica del nostro tempo e, assecondando tesi che il cattolicesimo ufficiale non condivide, riuscì a parlare del suo Dio, tanto amato e ricercato, anche in ambienti assolutamente impermeabili a questo discorso, eppure capaci di donare al mondo attuale, magari incoscientemente, aspetti autentici del volto di Dio.

Una carissima alunna delle magistrali di circa quarant’anni fa ha regalato al suo vecchio ma non dimenticato insegnante, l’ultimo libro della Zarri “Un eremo non è un guscio di lumaca”, in cui essa racconta la sua esperienza di eremita “sui generis”. Sono all’inizio del volume, ma già mi rendo conto che anche “l’altra sponda” possiede raggi di quell’unico sole che illumina un po’ tutti.

Don Armando Trevisiol

 

25 agosto 2011

Un’alunna degli anni verdi della mia vita di prete, qualche tempo fa è venuta a farmi visita nel mio piccolo alloggio del “don Vecchi”. Questa cara “ragazza”, conosciuta sui banchi di scuola, ha sposato un medico tedesco ed abita in Germania, a Bonn, ha due figlie ed è ormai una nonna in pensione. E’ venuta perché conserva un bel ricordo del suo vecchio insegnante con il quale ha mantenuto un rapporto ancora vivo leggendo ogni settimana “L’incontro” su Internet.

Venendo quest’ultima volta, m’ha chiesto un piacere per la sua vecchia mamma che vive sola a Mestre e, come sempre, mi ha fatto un regalino. Evidentemente conosce i miei gusti ed ha quindi scelto in libreria due volumi della Einaudi, dicendomi che temendo che almeno uno l’avessi già letto, avrei potuto tenere l’altro. Era vero: “Il pane di ieri” di Enzo Bianchi, della comunità di Bose, l’avevo già letto. Quel volume è ricco di poesia, di spiritualità e di calda umanità. Il volume di padre Bianchi è veramente bello e m’ha fatto bene perché ho compreso da esso che “l’uomo di Dio” non è uno che si estranea da questo mondo e che non possa godere delle cose buone, anzi egli coglie con più intensità la poesia della vita e del quotidiano.

Ho tenuto quindi il volume alternativo: “Un eremo non è un guscio di lumaca” di Adriana Zarri. In questo volume la “teologa”, spesso critica e dissenziente dalle tesi ufficiali della Chiesa, racconta la sua scelta di vivere una vita eremitica “sui generis” in una vecchia cascina abbandonata, “Il molinasso”, sule colline piemontesi.

La Zarri, che è certamente una donna di fede, ma libera, anticonformista, attenta a cogliere gli aspetti positivi della cultura e dei movimenti del laicismo italiano, racconta il suo quotidiano con grande semplicità, ma con la sensibilità di un’intellettuale intelligente e di giornalista che conosce il mestiere dello scrivere.

La mia lettura procede lenta, ma con profitto. Mi interessa quanto mai questa religiosità o questo misticismo fuori delle righe della tradizione e del diritto canonico, perché confrontando la mia vita di oggi che passa dalla “celletta” dell’abitazione al tempio tra i cipressi, con un po’ di ascetismo potrei aspirare anch’io ad essere un eremita del nostro tempo.

Don Armando Trevisiol

 

3 ottobre 2011

Una lettura che mi ha messo in crisi

Io sono lento nella lettura e poi leggo solo per breve tempo negli scorci che mi rimangono liberi durante il giorno. Ci sono alcuni che affermano di divorare i volumi e di arrivare a leggerne perfino tre o quattro al mese. A me capita esattamente il contrario, mi ci vogliono due o tre mesi per finirne uno soltanto.

Ho cominciato da alcune settimane il volume “L’eremo non è un guscio di lumaca”, edito dalla Einaudi, di Adriana Zarri, la scrittrice, teologa del dissenso cattolico, o perlomeno abbastanza libera e talvolta dissenziente dalle linee portate avanti dalla gerarchia della Chiesa, ed ho appena passato la metà del volume.

Credo che sia stato nelle intenzioni di questa donna narrare la sua scelta di vivere in maniera eremitica. Essa ha ottenuto, non so come, un vecchio cascinale abbandonato sulle colline piemontesi ed ha scelto di vivere sola, mantenendosi coltivando la terra, allevando conigli e galline e scrivendo qualche articolo per “Il Manifesto” o facendo qualche lavoro di recensione per qualche casa editrice.

In verità il volume che sto leggendo non è un diario e, meno che meno, un racconto della sua vita, ma una riflessione approfondita e critica su tutto quello che noi comuni mortali diamo per scontato circa il rapporto con Dio, con la natura e con gli uomini. Una analisi puntuale, talvolta perfino spietata sul concetto di silenzio, solitudine, sul concetto di sacro, di profano, di rapporto con gli uomini, con la terra, con gli animali.  Dalla lettura emerge una figura di eremita profondamente intellettuale, in costante verifica dei contatti e i rapporti del vivere quotidiano.

Man mano che vado avanti nella lettura, le riflessioni della Zarri mi mettono in crisi, perché mi fanno capire quanto superficiale, scontato, sia il mio vivere, il mio credere, i miei rapporti con le cose, gli uomini e la natura. La Zarri mi costringe a fermarmi, a verificare, a guardare dentro e a prendere posizioni nuove di fronte alla realtà del vivere. Le pagine intense e turgide di pensiero mi fanno cogliere la testimonianza di questa donna per la quale Dio è veramente tutto, emerge da ogni respiro, da ogni esperienza e da ogni lavoro.

Di certo, quando avrò finito il volume, io forse non mi ritirerò in una grotta o in una caverna di un monte, ma certamente non potrò più vivere in maniera scontata come prima e Dio non lo penserò solamente in qualche momento del giorno e non lo vedrò solamente nei riti, ma spero che diventerà per me, come per la Zarri, “il respiro” della vita.

Don Armando Trevisiol

 

1° maggio 2012

Una diversa lettura della preghiera umana a Dio

Io sono fortunato anche da questo lato, perché gli amici, leggendo le riflessioni vagabonde ed irrequiete del mio diario, mi regalano, abbastanza frequentemente, dei volumi che alimentano la mia appassionata ed insaziabile sete di “verità”.

Gli amici sanno di certo dei miei rapporti altalenanti tra stima e rifiuto della teologia del nostro tempo: lo espressi chiaramente quando parlai di Adriana Zarri, l’eremita appassionata di Dio e della libertà, morta lo scorso anno.

Ho dedicato più di un intervento de “L’incontro” al pensiero e alle scelte di questa donna intelligente, innamorata di Dio, ma nel contempo, “cane sciolto”, libera e critica nei riguardi di tutto l’apparato ecclesiastico, spesso artificioso e soffocante.

Lo scorso anno ho letto con interesse l’ultimo suo volume, che porta un titolo stuzzicante ed non emblematico: “L’eremo non è un guscio di lumaca”. Recentemente, invece, ho pure letto un lungo articolo su “Vita pastorale”, dedicato a questa donna ricca di spiritualità, ma guardata con sospetto, e talora con rifiuto, dai “cristiani benpensanti”.

Pensavo di aver chiuso con questa intellettuale dello spirito, ma un amico di data recente m’ha regalato un volumetto veramente interessante, uscito recentemente, dal titolo: “Tutto è grazia”. Il volume riporta l’ultima intervista di questa feconda scrittrice a Domenico Budali. Questo testo ha certamente il merito di essere discorsivo e quindi più scorrevole dell’ultimo volume, estremamente concettuale e puntiglioso nella ricerca del divino nella vita.

Appena ho intrapreso la lettura, ho cominciato subito a sottolineare dei passaggi che aprivano alla mia anima spiragli di luce, che mi offrivano visioni spirituali quanto mai interessanti.

Desidero far dono ai miei amici di un passaggio, ma credo che sentirò il desiderio di tornarvi ancora.

A proposito della preghiera la Zarri afferma: “Essa non serve a Dio, ma a noi. Così la festa non è fatta per Iddio, è fatta per noi; i comandamenti non sono fatti per Iddio, sono fatti per noi. Pregare quindi non è qualcosa per `far felice il Signore’, ma è un tentativo di conversione personale, il tentativo di cambiar mente e modo di pensare, d’essere più lucidi e sereni”. Ed ancora insiste su questo argomento: “Quando chiediamo qualcosa al Signore, ci è sempre dato, anche se non c’è dato quello che a noi sembra cosa giusta”.

La preghiera, vista da questa angolazione, è quindi tutt’altra cosa che presentare in modo superficiale una lista di richieste di dubbia utilità.

Questa lettura del pregare non è cosa proprio di poco conto.

Don Armando Trevisiol

 

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17 febbraio 2016 3 17 /02 /febbraio /2016 02:10

 

 

http://www.donarmandotrevisiol.org/blog/archivio/date/2012/05/page/2

 

Adam and Eve with family

 

 

Una “Messa” celebrata assieme a tutto il Creato!

 

giovedì, 17 maggio 2012

Mi capita abbastanza di frequente di ritornare col pensiero alle riflessioni di Adriana Zarri, la teologa massimalista che per molti anni avevo rifiutato e dalla quale m’ero tenuto lontano perché la ritenevo esageratamente sinistrorsa e donna della fronda cattolica. Ora mi sono riavvicinato alquanto al suo pensiero, dopo la sua morte, attraverso la lettura dei suoi ultimi scritti. Sto recuperando tutto il positivo di questa donna che, se non altro, ha cercato appassionatamente in tutta la sua vita il volto bello di Dio nel Creato.

Laura Novello, la cara signora che si cura di riordinare grammatica e sintassi dei miei periodi infiniti, aggiungendo punti, virgole e quant’altro è necessario per rendere leggibile il diario, mi ha giustamente osservato che da qualche tempo ritorno con troppa frequenza su questa teologa eremita della diaspora spirituale.

La signora Laura ha sempre ragione ed io mi sforzo sinceramente di seguire i suoi saggi consigli di lettrice attenta e fedele. Però debbo confessare che spessissimo rimango influenzato dalle letture che vado facendo e che sento il desiderio di rendere partecipi i miei amici delle cose belle che scopro. Non tutti hanno il tempo e l’opportunità che io, vecchio prete in pensione, ho di spigolare il buono tra la produzione letteraria che oggi è pressoché infinita.

Ad esempio sento il desiderio di confidarvi il piacere e la delicatezza religiosa che ho scoperto leggendo l’ultimo volume “Tutto è grazia” della Zarri. Come scrissi “troppe” volte, questa teologa visse l’ultima parte della sua vita da eremita in un cascinale isolato delle colline piemontesi. Adriana non poteva partecipare all’Eucaristia quotidiana perché anziana e lontana dalla parrocchia, e perciò “celebrava” la messa nel suo eremo da sola, ossia si immergeva spiritualmente nella sublime liturgia, memoriale della Redenzione, creandosi perfino una “assemblea” di “fedeli”, coinvolgendo gli animali nella sua cascina: galline, conigli ecc., e piante in fiore. Ossia lodava il Signore assieme a tutto il Creato.

Ricordo che anche il famoso scienziato Talleirand de Chardin, mentre nelle steppe dell’Asia conduceva le sue ricerche di paleontologia, “celebrava” l’Eucaristia in totale sintonia con il Creato nella sua grandiosa complessità.

Ebbene, della “messa” di Adriana Zarri m’ha colpito un gesto quanto mai significativo, al momento del “datevi un segno di pace”: sporgeva la mano alla sua amatissima gatta, sempre partecipe al sacro rito, la quale porgeva a sua volta la sua zampetta. Infantilismo? No! La Zarri sentiva il Creato come segno dell’amore di Dio, vibrava cogliendo l’amore sconfinato del Creatore verso l’uomo.

Io non sono un “convertito” al “credo” della Zarri, però confesso ora che guardo con occhi diversi le piante, gli animali, come componenti della creazione e li sento più “amici” e molto più cari.

 

Don Armando Trevisiol

 

Nel centro - Niccolò Fabi - YouTube

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16 febbraio 2016 2 16 /02 /febbraio /2016 04:14

 

 

 

http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-a-colloquio-con-adriana-zarri-intorno-alla-omosessualita-71109419.html

 

 

 

 

 

6 aprile 2011

Gentili  lettori  ed  ascoltatori, oggi  il segno  di  Zarri  vi  potrebbe  stridere  nelle  orecchie  come  un  gesso  sulla  lavagna.

Quindi  se  avete le  orecchie  delicate,  tappatevele  o  andate  a  farvi  un  giretto  su  altri  lidi  del  web,  però migliori  di  questo  e non peggiori, altrimenti  mi fate  venire  il  senso di  colpa. 

 

Questa  notte  ho  conversato  due  ore  con  Adriana  Zarri  sulla  notizia,  apparsa  sui  giornali,  del ritrovamento  di  un  reperto,  attestante  la  presunta  omosessualità  di  Gesù  Cristo.

 

Premetto  che  esiste  anche  una  lettera  di  Sant'Agostino  ad  un  suo  amico,  giudicata  come  probabile testimonianza  di  tendenze  omosessuali  in  Sant'Agostino,  che  è  stato  comunque  dichiarato  santo.

 

Ha  detto  Adriana  che  la  tendenza  omosessuale  uno  non se  la  va  a  cercare.

La  persona  si  scopre di  essere  tale  nella  pubertà  o  nell'adolescenza.

 

Credersi  o  ritenersi  indegni  di  esistere  solo  per  questo  è  una  grande  offesa arrecata  a  Dio,  perché è  come  impedire  a Dio  di  amare  anche  quell'anima,  che  grazie  ad  altre virtù  potrebbe  superare in  santità  altre  persone,  aventi  tendenze  eterosessuali.

 

Adriana  ed  io  non siamo  rimasti  scandalizzati  dal  fatto  che  Gesù  potesse  essere  omosessuale.  La  nostra  fede  in lui  resta  salda.  Anzi  il  suo  sacrificio  acquista  maggior  valore,  perché  significherebbe  che  Egli  non  era  inviso  a  Dio, Suo  Padre,  per questo  comportamento  sessuale  ed  il  Padre  Gli  ha  permesso  di  riscattare  l'umanità  nonostante  queste  sue  tendenze  sessuali.

 

La  Chiesa  cattolica  deriva  l'"odio"  verso l'omosessualità  dai  testi  biblici,  vetero  e  neotestamentari  e  da  lì  non  si  scolla. Resta  da  vedere  se   questi  testi  riproducano  fedelmente   la  voce  di Dio  o  siano  una  rielaborazione  compiuta  arbitrariamente  dall'uomo.

Già  questo  comportamento  di  condanna  della  Chiesa  cattolica  nei  confronti dell'essere  omosessuali  mi  pare  altezzoso  da  parte  della  Chiesa  stessa, perché  non  si  permette a Dio  o  a  Gesù  o  alla  Madonna  di uscire fuori  dai libri  sacri  e di svolazzare  dove  vogliono ,  per  amare  chi  vogliono.

I  fondamentalisti,  quindi  tutta la gerarchia ecclesiastica  ed  il  suo  seguito  pauroso  ed impaurito,  gridano  allo  scandalo,  qualora  una  persona  si  discosti  da  quello  che  dice San  Paolo.

Ma  io  mi  domando e  dico :  se  il  mondo, dopo  2000  anni  dalla  nascita  di  Cristo  è  peggiorato  rispetto all'epoca  di Cristo,  è  lapalissiano  che  qualcosa  nella  Chiesa  non  va.

E vi  domando :  non  abbiamo  nel  nostro  mondo  contemporaneo  un'infinità  di  teologi,  in  grado  di  riscrivere  queste benedette  lettere  di San Paolo  e di  San  Pietro, per  contestualizzarle ed  adeguarle  all'esigenza  dell'umanità  odierna?

Se  Dio  ci  dona  così  tanti  teologi  e  mistici  illuminati,  non  credo  che  Dio  ce  li  invii  per  farli  poi  sospendere  a divinis  dal  Papa  o  per  farli  dichiarare  eretici !

Ce  li  ha donati,  affinché  contribuiscano  ad  aggiornare  le  Sacre  Scritture  con  le  loro idee  ed  ispirazioni,  anche  se  a  volte  escono  fuori  dal seminato,  ma  qual'è  il  seminato ?

Ma voi  credete  veramente  che  il  Papa,  i  vescovi,  i  cardinali  e  le  conferenze  episcopali,  con  in  testa  o  in  testa - coda  il  Cardinal  Bagnasco,  non  cambino  uno  iota  al  vangelo,  solo  per  salvaguardare  la nostra  salute  spirituale?  Siete  degli  illusi  se  la  pensate  così,  perché loro  predicano  bene  e  razzolano  male.

Una  volta  conoscevo  una  persona,  che  faceva  il  sacrestano  in  una  chiesa  al  centro di  Roma.  Ebbene  questa persona mi  diceva  che  quando il  vescovo  andava  in  visita  in  quella  chiesa,  si  ritirava  in  una  stanza  con una  donna  e  non  certamente  per  recitare  il  rosario  o  le  litanie.  Forse recitavano  le  lodi,  ma  quelle dell'amore  carnale.

Non mi volle  dire  nome  e  cognome  e  quindi  sicuramente  sarà  ancora  in giro  a  fare  danni  e  forse  avrà  fatto  anche  qualche  figlio.   

Ha  detto  Adriana  Zarri  che  è  arrivata l'ora  che  mi  passerà  nomi  e cognomi  e  credenziali  di  tutte  queste  brave  personcine,  che  salgono  sull'altare  con  le  mani  così  ben  pulite.

Perché  prendere  in  giro i fedeli  e  poi fare  i  propri  porci  comodi ?

Adriana  ha  già  raccomandato  al  Papa  di  inviare  una  lettera  pastorale  a  se  stesso,  alla  curia  romana    e  a  tutti i  chierici  del  mondo,  affinché  facciano  outing  e  coming  out  delle  tresche  che  intrattengono,  sia  etero- che  omosessuali.

Dopo di che, si  vedranno  i  risultati,  che  si  spera  siano  sinceri, pena  il  taglio.... (.voglio  essere   buono.)....della  mano alla  Bocca  della  verità.

Sulla  base  dell'esito del  sondaggio  o delle  confessioni  si  deciderà  se  abolire  il  celibato  per  i  sacerdoti  e di permettere loro  di   sposarsi  e  di fare  una  famiglia.

Per  coloro  che  dichiareranno  di  essere omosessuali  si  dovrà  decidere  come  comportarsi,, senza  scomodare  nè  San Paolo nè San  Pietro  nè  Sodoma  nè  Gomorra.

 

Abbiamo  abbastanza  teologi  e  mistici  in  gamba  ed  ispirati  ed  illuminati  dalla  sofferenza  dell'umanità,  che  potranno  essere  di  supporto al Papa  per  redigere  un'enciclica,  sempre che  il Papa,  facendo  un  terribile  sforzo  per  fare  un  gesto di  clemenza,  riabiliti  quelli sospesi  a  divinis  o  isolati  da  più  di  vent'anni  a  fare  la  muffa  e  tenuti  a  maggese,  ad  esempio  un Padre  Luigi  ( Gino )  Burresi,  che,  non  si  sa  perché,  debba   fare  da  capro  espiatorio  per  tutti  i  peccati  sessuali  dell'umanità,  a  meno  che  il  Papa  non lo  consideri  il  Messia,  atteso  da  millenni  dagli  Ebrei,  perché  a  questo  punto  se  lo  potrebbe  pure  vendere, facendosi  almeno  trenta denari.

 

Perché  è  un'ipocrisia  condannare  l'omosessualità,  quando  Adriana Zarri  mi  ha  detto  che  parecchie  Eminenze  la praticano  impunite  e  mi  manderà  un  SMS  con   nomi,  cognomi  e  nomignoli  amorosi.

 

Allora   tanto  malvagia  non  è,  se  persone  così  vicine  agli Apostoli  si comportano  così, a  parte  che  da  quel  famoso  reperto  risulterebbe  che  anche  gli  apostoli  la  praticavano.  In  quel  caso  le  nostre  Eminenze, senza  saperlo,  sarebbero  dei  loro  perfetti  emulatori,  ma  almeno ce  lo  dicessero  anche  a  noi,  così  batteremmo  loro  le  mani  e  gli  daremmo  pure  una  sculacciata  sul  sederino,  da  farglielo  diventare  rosso  rosso,  come  la  porpora  di  cui  sono  rivestiti. 

 

Adriana  Zarri  ha  detto  che  se  non  si  cambia  marcia,  non  vi  sarà  salvezza  nella  Chiesa,  che  rimarrà  per  sempre  una  Casta  Meretrix, come  la  definiva  Sant'Ambrogio.

 

Adriana    mi  ha  detto  inoltre   che  se  il  Papa  non  si  darà  una  bella  scrollata,  farà  esplodere  un  terremoto  spirituale  nella  Chiesa cattolica,  che  il  Papa  Benedetto  si  dovrà  mangiare  le  mani  con  tutto  l'anello  piscatorio  e  poi  vattela  a  pesca.

 

Riccardo  Fontana

 

Pescatore - Pierangelo Bertoli e Fiorella Mannoia - YouTube

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15 febbraio 2016 1 15 /02 /febbraio /2016 04:06

 

 

 

https://it.zenit.org/articles/la-solitudine-di-cristo-in-croce-e-la-teologia-in-comunita-della-chiesa/

 

 

 

La solitudine di Cristo in Croce e la “Teologia in comunità” della Chiesa

 

Nel libro a cura del preside del Seraphicum, i commenti di Piero Coda, Bruno Forte, Maurizio Malagauti, Tymothy Radclyffe, Roberto Repole, Giuseppe Ruggieri, Roberto Tamanti

 

Jesus on the Cross

Pixabay CC0

 

Sembra esserci una contraddizione tra la solitudine di Gesù sulla Croce e la comunione della Chiesa e nella Chiesa. Come fare teologia e verso dove orientare la conoscenza sapienziale del mistero di Cristo? Una domanda a cui p. Domenico Paoletti, O.F.M.Conv., preside della Facoltà Teologica San Bonaventura Seraphicum ha provato a dare una risposta nel libro dal titolo “Una teologia in comunità”.

Il volume, edito dalle Edizioni Messaggero di Padova, si avvale dei contributi dei teologi Giuseppe Ruggieri, Piero Coda, Maurizio Malagauti, Roberto Repole, Bruno Forte e Tymothy Radclyffe. L’introduzione è a cura di mons. Rino Fisichella, che scrive: “Difficile vedere che la communio nasce proprio là dove Gesù di Nazaret vive una volta per tutte l’abbandono del Padre come espressione ultima e definitiva del suo essere figlio all’Interno della Trinità D’Amore”. A tal proposito già il teologo svizzero Urs von Balthasar commentava: “L’essenza della comunione ecclesiale, l’elemento che la lega, che le conferisce struttura sociale, che la unisce più profondamente di ogni altra comunione della terra e della carne, profluisce dalla solitudine estrema, la più abissale possibile, in cui l’uno divenne ‘per amore di molti’ l’assolutamente Unico, l’Abbandonato da Dio e dagli uomini”. 

Per saperne di più, ZENIT ha intervistato padre Paoletti.

***

Qual è il legame tra la teologia e la vita fraterna in Comunità?

La teologia come fides quaerens intellectum è sempre espressione di una comunità cristiana in quanto la fede cristiana è sempre fede relazionale ed ecclesiale. Ecco perché la teologia si fa insieme, nella carità fraterna con la comunità dei teologi, in un dialogo, confronto, apprezzamento e correzione reciproca. Aggiungo che il fare teologia in comunità, uno dei criteri fondamentali del teologare, messo in evidenza dal documento della Commissione Teologica Internazionale “Teologia oggi” dell’8 marzo del 2012, viene ad essere rafforzato dalla nostra vocazione di frati francescani che hanno nel cuore del carisma la fraternità minoritica. Non si può fare teologia da soli, tanto più oggi in cui constatiamo la quasi scomparsa dei grandi maestri di teologia e un sapere sempre più specializzato settorialmente. Da qui il nostro impegno di formarci e formare un soggetto comunitario dove al centro ci sia la relazione che è la “cifra” della fede e, quindi, della stessa teologia. La teologia è costitutivamente comunitaria perché solo dalla vita di comunione deriva il vero sapere teologico, tanto più se si recupera la centralità dell’affectus fidei, ossia il carattere intrinsecamente affettivo della fede.

Lei sostiene che il Seraphicum è un laboratorio di ricerca di un nuovo paradigma teologico. Può spiegarci di cosa si tratta?

Il Seraphicum è una fraternità francescana interculturale, formata da frati docenti e studenti che costituiscono un’unica comunità. I profondi cambiamenti di questi anni – dovuti principalmente alla rivoluzione digitale, alla globalizzazione e alla frammentazione – ci hanno fatto prendere sempre più coscienza della emergenza educativa che sfida la stessa nostra proposta formativa ed accademica. Da tale consapevolezza, insieme al governo centrale del nostro Ordine, abbiamo pensato di fare del Seraphicum un laboratorio per elaborare e sperimentare un nuovo sistema formativo – e questo riguarda in primo luogo il Collegio degli studenti – e ricercare insieme, docenti e dottorandi, un nuovo paradigma teologico, e questo riguarda specialmente la Facoltà Teologica come comunità di discepoli missionari. 

Da qui il percorso avviato negli ultimi anni di ritrovarci regolarmente a confrontarci e a discutere sul metodo in teologia, interpellando anche alcuni teologi di nota competenza affinché ci aiutassero a cercare un metodo condiviso all’interno di uno stesso paradigma teologico. Il volume Una teologia in comunità, uscito nel settembre scorso, raccoglie i vari interventi di teologi sul metodo e su come ci stiamo muovendo attraverso un nostro modo di fare teologia in comunità. Vogliamo essere attenti, come comunità di docenti e dottorandi, alla centralità vitale del legame tra vita di fede e pensiero teologico, tra preghiera e teologia, tra vita fraterna e ricerca teologica, tra teologia e missione. Una attenzione che riceve un forte impulso da Papa Francesco nel provocarci ad uscire fuori dalle secche di una teologia autoreferenziale verso un metodo teologico che parta e porti all’experientia et comunicatio fidei in caritate. In questa prospettiva il fare teologia, per noi al Seraphicum, si concretizza e si verifica particolarmente nella vita fraterna in comunità, convinti che la ricerca teologica, a forte impianto relazionale, possa recuperare il suo essere scienza sapienziale, un accento tipicamente francescano.

L’impegno della nostra comunità consiste e insiste nel formare e consolidare una comunità di frati docenti e ricercatori che imparino a fare teologia insieme, come esigenza e conseguenza della vita di fede in comunità, e siano dediti alla ricerca seria, metodica e rigorosa nelle varie discipline. Tale orientamento si realizza nel programmare periodicamente incontri tra docenti, dottorandi e formatori per uno scambio e un confronto sulla docenza e sulla ricerca, sul metodo, sul centro di attenzione e sui temi privilegiati, sulle letture e sugli studi che si stanno portando avanti per ricercare l’unità del sapere. Altri momenti di questa attenzione alla ricerca dello stesso paradigma teologico condiviso sono le presentazioni e le discussioni delle nostre pubblicazioni; la collaborazione nella correzione di articoli e di vari contributi scientifici; le difese delle tesi dottorali come eventi di promozione, approfondimento e condivisione dell’impegno alla riflessione; la programmazione dell’anno accademico che faccia emergere e approfondisca il profilo proprio della Facoltà. Vari momenti e attività animati anche dall’intento di ricreare una scuola francescana.

Un sogno che stiamo condividendo e coltivando all’interno della variegata famiglia francescana, tanto che lo scorso 2 ottobre i ministri generali delle famiglie francescane del primo Ordine e del terzo Ordine regolare hanno deciso di istituire a Roma, entro la Pasqua del 2018, un’unica Pontificia Università Francescana: un sogno che comincia a prendere forma di un segno veramente profetico.

Che rapporto esiste tra teologia e scienza? E perché lei sostiene che la teologia è una scienza?

Lei pone la questione epistemologica della teologia. Va premesso che il cristianesimo fin dall’inizio ha sposato il logos greco, ossia la ragione, rifiutando con ferma decisione il mito pagano delle religioni, perché la fede cristiana è vera, e non è una delle tante opinioni o fedi, come ancora oggi un certo sapere scientista e secolarista tende a ridurre. La teologia come intellectus fidei è una riflessione sistematica e metodologica dei credenti sulla loro fede. La Teologia è una scienza? La risposta dipende dalla definizione che diamo alla scienza. Molte incomprensioni e conflitti sorgono da concezioni positiviste e riduttive di scienza. Oggi nel mondo scientifico viene sempre più condivisa la prospettiva che ogni disciplina è scientifica se possiede un oggetto, un metodo adeguato all’oggetto e un sapere comunicabile a tutti. L’oggetto della disciplina scientifica può essere sperimentale, storico o speculativo. In una tale concezione di scienza, sempre più condivisa nel mondo scientifico, la teologia è una scienza perché ha un oggetto (l’evento della Rivelazione cristiana come intervento inaudito di Dio stesso nella carne, nel linguaggio e in tutta la vicenda storica di Gesù di Nazareth); ha un metodo adeguato all’oggetto (quello d’integrazione tra metodo sperimentale – storico e metodo speculativo). Il sapere teologico è comunicato a tutti perché è ragionevole e viene elaborato, rispettando la logica del pensiero che cerca la verità che la fede riconosce e comunica. La teologia oggi è chiamata a dimostrare la credibilità della fede cristiana neutralizzando la portata pregiudiziale dell’incredulità del logos solo calcolante.

Quale tra gli interventi del libro “Una teologia in comunità” lei ritiene più innovativo e moderno?

Nel libro troviamo contributi di noti teologi che da angolature diverse convergono nel delineare un metodo e una prospettiva di teologia come sapienza dell’amore. Come afferma monsignor Rino Fisichella nella presentazione, gli interventi tengono insieme due termini che normalmente vengono considerati estranei: communio e metodo. La communio come esperienza soggettiva e il metodo come procedere nella riflessione teologica tenendo presente l’oggetto e, quindi, i contenuti oggettivi. Considerando che sono interventi tenuti in occasione di prolusioni di inizio anno accademico e di lectio magistralis per la festa di san Bonaventura, patrono della nostra Facoltà, è significativo rilevare che dai contributi raccolti nel volume la communio emerge come il vero metodo della teologia. Non ci sono interventi più innovativi e moderni di altri, ma tutti danno un apporto a tenere insieme communio e metodo con il ristabilire il nesso tra vita, fede, verità e sapere che oggi incontriamo sciolti e, pertanto, smagati. Se proprio devo indicare un contributo che esprime un intento più mirato verso tale prospettiva, mi viene in mente l’intervento di Piero Coda, il quale riprende la testimonianza evangelica di san Francesco come “luogo teologico” in cui si staglia chiaramente la centralità di Cristo, reinterpretata da san Bonaventura nell’Itineriarium mentis in Deum. Il prof. Coda approfondisce come la teologia francescana, caratterizzata dal cristocentrismo trinitario, oggi provochi al recupero dell’oggetto e del metodo in teologia nella communio in-Cristo come fratelli.

 

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14 febbraio 2016 7 14 /02 /febbraio /2016 16:31

 

 

http://www.finesettimana.org/pmwiki/?n=Db.Sintesi?num=104

 

 

 

Dire Dio: al femminile

sintesi della relazione di Maria Cristina Bartolomei
Verbania Pallanza, 17 febbraio 1996
 
pensare Dio al femminile

Parlare di Dio al femminile è come dire l'altra faccia della luna. Siamo agli inizi di un lungo cammino ed è possibile fare solo degli accenni. 

 

una premessa: la necessità di una rivoluzione culturale

C'è stato un cambiamento di paradigma scientifico. C'è la consapevolezza che il modo di capire il mondo, la realtà, se stessi, Dio porta da cima a fondo l'impronta della maschilità degli autori. È una rivoluzione culturale. Non c'è una maniera umana neutra di rappresentare il mondo, di pensare. Il modo di pensare è strettamente legato all'esperienza di mondo che si fa e pertanto alla propria sessuazione. Il modo di capire e pensare è diverso.
Questa considerazione diventa rivoluzionaria quando viene detta in un mondo in cui una delle due sessuazioni ha preso se stessa come la norma dell'umanità. È non dichiarato, ma presupposto, che l'umanità normale è quella degli uomini e quindi il punto di vista normale è quello maschile. Pertanto quando accediamo all'arte, alla filosofia, alla religione ci accostiamo sì al frutto del lavoro della mente umana ma anche all'impronta maschile di chi l'ha prodotto.

 

"un" punto di vista, quello maschile, come "il" punto di vista

Non è solo un dato biologico l'essere maschio o femmina, ma anche un dato culturale. Nasciamo già con un patrimonio culturale che ci viene trasmesso con il cibo e l'aria che respiriamo.
La struttura del mondo ha preso l'impronta della maschilità è poi si è riprodotta (non è solo un fatto biologico): anche una donna può trasmettere un'immagine maschile di mondo ed anche un uomo avvertire il problema. Nelle grandi strutture che reggono il mondo le donne scompaiono e non è presente il loro punto di vista di fronte all'uomo.
Il problema non è quello di rifiutare le produzioni culturali perché portano l'impronta maschile, né quello di accusare di cattiveria gli uomini. Un uomo può anche essere bravissimo ma la struttura rimane al maschile.

 

scoprire la mostruosità del soggetto

Il soggetto tacito dei saperi e il soggetto esplicito dei poteri è al maschile. Si deve riconoscere che ciò che credevamo fosse il soggetto umano in generale è in realtà il soggetto maschile. La donna può vedere di diventare da assoggettata "soggetta", togliendo all'uomo la maledizione di sentirsi un soggetto assoluto, che non sa di essere una parte.

 

una cultura al maschile dice Dio al maschile

La fede ci parla nella vita e nei gesti di Gesù, ci parla nella Scrittura, ma questo parlare di Dio avviene con categorie culturali umane. La parola di Dio ci raggiunge con un mezzo umano culturalmente condizionato e che va pertanto interpretato.
Gli esseri umani si rappresentano sempre Dio accogliendo la sua parola, dentro le loro categorie mentali e culturali.
Anche per i non credenti è interessante il linguaggio religioso, proprio perché nel dire Dio l'essere umano proietta l'immagine più grande di se stesso.
Ora l'essere umano che dice Dio è sempre un essere umano al maschile, con un punto di vista androcentrico. L'immagine di Dio porterà tratti unilateralmente maschili.

 

non la somma ma la tensione tra i due punti di vista

L'immagine più corretta di Dio non è quella che assomma i connotati maschili a quelli femminili. L'importante è essere consapevoli che il nostro modo di dire Dio comporta proiezioni maschili e femminili, che il nostro modo di dire Dio è sempre inadeguato, perché sempre qualcosa di nostro viene proiettato. La tensione tra i due punti di vista può essere feconda. Occorre pensare la relazione di Dio con noi a partire dalla dualità del soggetto.

 

come può la donna identificarsi nell'immagine maschile di Gesù?
In realtà in tutto l'evento di salvezza se c'è una cosa inessenziale è la maschilità dell'uomo Gesù di Nazareth. Gesù non ha mai assunto atteggiamenti maschilisti. Gesù ha decostruito tutti i tradizionali modi del potere maschile, sia nella sua relazione con le donne, sia nel suo modo di essere.
L'evento salvezza deve apparire in entrambi i generi: è la necessità di una teologia femminile, di una parola di Dio detta e interpretata da donne.

 

riandare alle Scritture
Non ci si può limitare a denunciare i tratti maschilisti proiettati indebitamente su Dio o a indagare qual è lo sguardo di Dio sulle donne. È necessario rifare tutto il pensiero su Dio, da cima a fondo, rifacendo il percorso storico con il quale la teologia cristiana si è prodotta, incominciando con il commento alla Scrittura.
Ciò che è mancato non è stato la presenza femminile nella storia, ma il suo racconto (la storia non è il semplice fatto accaduto, ma il fatto interpretato e narrato). Per esempio le arti coltivate dalle donne, come il ricamo, sono rimaste anonime.
Occorre iniziare dalla Scrittura, nonostante sia stata scritta letta e interpretata da uomini, perché attraverso la Scrittura risuona la parola di Dio. La Scrittura, quando viene letta con altri occhi, quando le sono rivolte altre domande, non dà risposte monoliticamente maschiliste.
Occorre partire da sé, ma non rimanendo inchiodate a se stesse. Partire da una identità ritrovata per andare all'ascolto.
Solo attraverso la rilettura al femminile della Scrittura si colgono correttamente nella loro origine le risposte alle tre grandi questioni fondamentali: come Dio mostra di pensare la donna; quali immagini di Dio, non solo impregnate di tratti maschili, le donne possono ritrovare nella Scrittura; come ripensare la concezione di Dio Padre.

 

Dio Padre
Centrale è nella bibbia la cifra della paternità di Dio, e sembra del resto contrastare gli esiti nevrotici del complesso di Edipo. Dio è un padre totalmente altro: è difficile potersi mettere in concorrenza e ucciderlo per prenderne il posto. Inoltre la nostra figliolanza non è naturale, ma adottiva.
Dire che Dio è padre può significare che il padre è Dio, da cui deriva tutta la concezione del padre padrone. Credo sia più giusto dire che il divino è il principio paterno. Il principio paterno ha la funzione di separare il figlio dalla madre e di rinviarlo alla propria autonomia.
Quindi dire che Dio nei miei confronti è padre significa che è alla mia origine, ma senza inglobarmi, rinviandomi alla mia autonomia.
Nel Cristianesimo il disegno del Padre è la pienezza di vita, l'autonomia del Figlio. E quindi della pienezza della vita del figlio e della figlia.

 

rilettura della bibbia da parte delle donne

È una rilettura fondamentale se si vuole che la riflessione teologica al femminile sia sufficientemente legata al dato originario. Mentre i Medi, i Parti e gli Elamiti (Atti2,11) hanno udito nella loro lingua le meraviglie di Dio, questo ancora non è accaduto nella lingua delle donne.

 

una breve storia della rilettura al femminile
Nella primitiva comunità cristiana c'era una significativa presenza femminile che sarà in seguito marginalizzata.
Nell'epoca moderna diverse donne rivendicano una loro diversa collocazione nella società e nella cultura, rifacendosi alla bibbia, al disegno originale, creazionale di Dio.
La grande rilettura biblica comincia negli Stati Uniti nell'ottocento: si sostiene che Dio non vuole né che i neri siano schiavi né che siano assoggettate le donne. Negli Stati Uniti erano presenti le Chiese di tradizione quacchera e metodista, per le quali la comunità è una comunità di eguali.
Elisabeth Cady Stanton pubblica tra il 1895 e il 1898 la Bibbia delle donne, serie di brani biblici con un commento che reinterpreta testi tradizionalmente letti come sfavorevoli alle donne. Nasce un movimento che non si fermerà più. Fioriscono studi biblici fatti da donne sia in campo accademico che militante. Esiste una comunanza, una convergenza tra donne cristiane di diverse confessioni da far apparire secondarie le differenze confessionali.

 

un nuovo modo di leggere la bibbia
È mutato il modo di leggere la bibbia: c'è il riconoscimento della dimensione ermeneutica.
La bibbia ha questo di particolare: i suoi racconti nascono da esperienze vissute che danno luogo ad un'interpretazione credente che coglie l'azione di Dio in quella storia. Questo testo, frutto della scrittura e della interpretazione credente dell'evento narrato, viene letto e interpretato. E la nuova interpretazione diventa a sua volta bibbia. La bibbia stessa è una storia di narrazione e di interpretazioni. Interpretare la bibbia è in qualche modo continuare ciò che è nella bibbia.
Quando le donne si mettono a leggere la bibbia hanno di fronte una lunga storia di interpretazioni molto condizionata dal punto di vista maschile. E assolutamente corretto che tra le varie interpretazioni ci sia anche il punto di vista delle donne.
Oggi siamo consapevoli che la risposta che un testo dà dipende molto dalla domanda che viene rivolta e quindi dalla prospettiva di chi pone la domanda. Le donne rivolgono delle domande diverse e quindi hanno delle risposte diverse.

 

da parte delle donne sono state sviluppate tre linee di ermeneutica biblica
La prima sottolinea di più l'aspetto storico, ricercando nella bibbia tracce di culture anteriori al patriarcato. Il limite riguarda l'affidabilità delle tracce.
La seconda afferma invece che ciò che è importante è che la bibbia è un testo che parla a me oggi. Non mi interessa l'origine del testo. Limite: sottovaluta che il testo è stato scritto e interpretato da uomini ed è stato usato per sancire la subordinazione femminile.
Un terzo filone sottolinea che forma e contenuto del testo sono inscindibili. Il punto di vista di chi ha scritto il testo è un punto di vista patriarcale e androcentrico, perciò inutilizzabile.
Io scelgo una via mediana tra le prime due, ritenendo importante riconoscere che ci sono strati prepatriarcali al testo e che il testo è un interlocutore vivo per me adesso e che quindi è importante il dialogo con il testo.
Questo significa riconoscere la potenza simbolica dell'evento biblico. Non si può separare il fatto dalla sua interpretazione.

 

Qualche frammento di lettura al femminile
La investigazione femminile fa assumere una luce diversa alla bibbia.
Nella bibbia si dice che Dio ha viscere di misericordia, bisognerebbe più correttamente tradurre che Dio ha uteri di misericordia. A Dio non ripugna comunicarsi con simbologia femminile (invece predomina un'immagine di Dio al maschile).
L'azione di Dio padre ha poi dei tratti femminili: lo spirito di Dio aleggiava sulle acque, dovrebbe essere più correttamente tradotto con covava sulle acque.
C'è poi un tema biblico sottaciuto, che è quello della presenza di Dio al femminile nella creazione secondo due modalità. Una è la Shekinàh, che indica la presenza di Dio tramite una figura al femminile. La Shekinàh poi continua nel tema della sapienza, della Sophia.
Se poi guardiamo a come si parla delle donne nella bibbia troviamo molte sorprese.
Innanzitutto Dio ha creato l'essere umano al maschile e al femminile: l'una è l'aiuto per "un di fronte".
Solo dopo la creazione di Eva Adamo parla: non si nasce come esseri umani finché non si è in due in questa differenza.
Se andassimo a cercare l'atteggiamento delle donne rispetto alla divinità troveremmo altre sorprese.
Tra le più belle preghiere della bibbia vi sono quelle pronunciate da donne, come ad esempio il Magnificat.

 

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14 febbraio 2016 7 14 /02 /febbraio /2016 14:29

 

 

 

http://robertognan.blogspot.it/2008/12/adriana-zarri-dodici-lune.html

 

 

 

Adriana Zarri, “Dodici lune”

 

 

 

Non ho mai amato la retorica morbida del “cammino per il cammino”.
Il cammino è per l’arrivo, ed io amo la gioia solida del porto:
approdare, giungere, concludere.
Eppure so bene, e sperimento, che c’è una gioia propria dell’andare,
dell’attendere e protendersi: l’aspettativa, la speranza.
Se il nostro porto fosse chiuso, limitato dai moli,
questa gioia, attraccando, cesserebbe.
Ne inizierebbe un’altra, però la prima sarebbe persa.
Invece il nostro porto è in mare aperto.
Nella scoperta inesauribile di un Dio infinito niente finisce.
La gioia dell’attesa non si spegne ma si riaccende ad ogni approdo,
ed ogni passo che avvicina discopre più vaste lontananze.
Noi approdiamo sempre, noi ripartiamo sempre,
e la gioia del camminare e dell’attendere
si salda con la gioia dell’arrivare e possedere.
Corsa e riposo, riposo e corsa;
attesa ed estremo esaurimento, esaurimento e nuova attesa
si avvicendano, in un dilatarsi senza fine.

Adriana Zarri, “Dodici lune”
 
 
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14 febbraio 2016 7 14 /02 /febbraio /2016 07:53

 

 

http://gruppodelguado.blogspot.it/2013/07/ricordando-adriana-zarri.html

 

 

Adriana
 
Adriana Zarri è sempre stata un'amica del Guado: ha accettato due volte di lasciare il suo eremo in Piemonte, per venire da noi a parlarci della sua esperienza di fede; ci ha accolto nella sua casa e ci ha offerto la sua ospitalità; ha sempre difeso il nostro tentativo di conciliare la condizione omosessuale con l'esperienza di fede al di là del doppio disprezzo con cui viene guardato da chi, nella Chiesa, non ama l'omosessualità e da chi, nella comunità omosessuale, non ama la Chiesa.
Per questo abbiamo deciso di dedicarle questa breve antologia di scritti. Per averla sempre con noi e per ascoltare sempre le sue parole sagge e piene di Fede.
 
 
Testamento


Questo è l'epitaffio che Adriana Zarri ha scritto per se stessa.
 

Non mi vestite di nero: è triste e funebre.
Non mi vestite di bianco: è superbo e retorico.
Vestitemi a fiori gialli e rossi, con ali di uccelli.
E tu, Signore, guarda le mie mani.
Forse c’è una corona.
Forse ci hanno messo una croce.
Hanno sbagliato.
In mano ho foglie verdi e sulla croce, la tua resurrezione.
E, sulla tomba, non mi mettete marmo freddo con sopra le solite bugie che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra che scriva, a primavera, un’epigrafe d’erba.
E dirà che ho vissuto, che attendo.
E scriverà il mio nome e il tuo, uniti come due bocche di papaveri.
Adriana Zarri
 
Lettera alla mamma di un giovane omosessuale

Gentile Adriana, sono una mamma angosciata che chiede a te una parola di conforto e un consiglio. Per via indiretta, attraverso alcuni amici, sono venuta a conoscenza di una realtà terribile: mio figlio è omosessuale. Lui non sa che io so e io mi pongo tanti interrogativi. Come comportarmi? Parlargli? Proporgli una cura? E’ possibile guarirlo?
Antonietta
 
Cara Antonietta, forse suo figlio non le parla perché avverte la sua angoscia, fondata su pregiudizi che dovrebbero essere superati. L'omosessualità non è una realtà terribile né, tanto meno, una malattia da curare. Perciò, se dovesse parlargli, si guardi bene dall'indirizzarlo verso ciò che lei chiama “normalità”. La normalità di suo figlio è la sua struttura psicofisica omosessuale: se volesse forzarla, tradirebbe la sua identità.
Ma, per il momento, ogni discorso è prematuro.  Prima lei deve superare i pregiudizi che vedono nell'omosessuale un malato, un degenerato. No: l'omosessuale è semplicemente una persona che ha una sessualità diversa da quella numericamente più diffusa. Non per questo è un anormale: la normalità non la si stabilisce in base a calcoli statistici di maggioranza e minoranza. Ciascuno ha la propria normalità che non va stravolta, ma accettata e valorizzata per quella che è.
Suo figlio è una persona che ha pari dignità di un eterosessuale, io conosco splendidi gay, ho, tra di loro, amici carissimi di cui apprezzo la sensibilità e la levatura interiore.
Quando lei avrà superato i vecchi luoghi comuni e avrà maturato stima e considerazione per questo tipo di sessualità, forse suo figlio lo avvertirà e le parlerà. Se, invece, non dovesse parlarle non le consiglio di forzarlo. Forse potrebbe prendere il discorso alla lontana, affrontando, con serenità, l'argomento, senza riferimenti personali. Tenga presente che anche suo figlio potrebbe essere prigioniero dei suoi stessi tabù e nascondere la sua situazione per un senso di vergogna che non ha motivo di essere, ma che è ancora alimentato da una certa cultura.
L'omosessuale si sente ancora emarginato, mentre avverte fortissima la necessità di accettarsi e di farsi accettare. L’accettarsi è l'inizio del suo equilibrio. In questo, se riuscirete a parlarvi, lei potrà aiutarlo.
Oltre ai pregiudizi di cui s’è detto, un'altra difficoltà, per i credenti, è costituita dalla posizione della Chiesa che, pur avendo compiuto molti passi in avanti, non è ancora abbastanza aperta. Il riconoscimento della situazione omosessuale può portare a una convivenza e a un rapporto di coppia gay: cosa che pone ancora molti problemi alla gerarchia ecclesiastica. Se questo anche per voi è una difficoltà, potrete trovare appoggio nei vari gruppi di omosessuali credenti che esistono da varie parti. Vedo, signora Antonietta, che lei abita a Milano dove ci sono almeno due gruppi che fanno un serio discorso di fede: il Guado e la Fonte. 
Spero di averla rasserenata e auguro a lei e a suo figlio di vivere nella pace, fedeli ciascuno alla propria identità che risponde al disegno di Dio su di voi.
Adriana Zarri
Il Guado 68 (1999)
 
Documenti
 
La risoluzione del Parlamento europeo che riconosce alle coppie di fatto gli stessi diritti delle coppie tradizionali, nonché le polemiche innescate dalla pretesa vaticana di impedire le manifestazioni romane del Gay Pride durante l'anno giubilare, hanno riportato in primo piano il problema dell'omosessualità nei suoi difficili rapporti con la chiesa. Inoltre, per una coincidenza non so se casuale o intenzionale, sono usciti due documenti di un notevole interesse.
Il primo è prodotto in casa nostra da un'associazione di omosessuali credenti di Torino denominata Davide e Gionata in riferimento al legame tra Davide e il figlio di Saul, il cui affetto era più dolce di amore di donna. Difficile dire se l'espressione che la scrittura mette in bocca a Davide alluda a un rapporto omosessuale. In tal modo, comunque è stato inteso dal nostro gruppo, e non senza una certa legittimità poiché la cosa non si può affermare con certezza ma neanche con certezza escludere. Ora gli aderenti all'associazione Davide e Gionata hanno scritto una lettera ai vescovi del Piemonte e della Valle d'Aosta nella quale esprimono la propria sofferenza nel sentirsi rifiutati. La lettera non ha avuto, fino a oggi, risposta; ma, poiché la sua pubblicazione è abbastanza recente, c'è ancor spazio per l'attesa e la speranza.
Chi invece ha, credo per primo, l'iniziativa è il vescovo di Innsbruck che ha dato vita a un organismo specifico sulla pastorale degli omosessuali. Il gruppo di studio, altamente qualificato, dopo due anni di lavoro, ha pubblicato un documento di grandissimo interesse. In esso si prendono in esame le condanne bibliche dell'omosessualità, frutto di condizionamenti storico-culturali e si lamenta l'atteggiamento del magistero ecclesiastico. Ampio spazio è dedicato allo studio delle scienze umane le quali «permettono di afferrare, senza ombra di dubbio, che l'orientamento omosessuale va considerato, accanto all'eterosessualità, una condizione basilare della sessualità umana», condizione che «non ha nulla a che vedere con la salute o la malattia, con l'anomalia o la perversione. Essa va quindi accompagnata, senza tentare di modificarla, liberandola da sensi di vergogna o di colpa. (...) Le unioni stabili delle persone dello stesso sesso dovrebbero essere pubblicamente riconosciute come forme di vita specifica e dovrebbero essere giuridicamente protette».
«L'accettazione e l'accoglienza dell'essere umano da parte di Dio non dipende dal suo orientamento sessuale» termina il documento: un gesto esemplare di dialogo, di competenza, di pacificazione. 
 
Adriana Zarri
Avvenimenti del 10 Maggio 2000
 
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14 febbraio 2016 7 14 /02 /febbraio /2016 00:48

 

 

QUASI UNA PREGHIERA

 
 
 

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Il mio cuore non è strada d'agosto.


Forse, Signore,
è un nero asfalto ribollente
che odora solo di catrame e,
tra le alte ali delle case,
sa solo il rimbombo delle motorette,
nel traffico urbano,
fatto di fretta e distrazione.
Però non son tanto distratta
da non vedere gli occhi dei semafori
che si accendon di luce rossa e verde,
per ritmare le corse e gli arresti,
con quella sospensione dell'arancio
che è come un respiro d'attesa.
E mi accorgo anche dei lampioni spenti che, a sera,
si accenderanno per rendere sicuro il nostro andare.
E, infine, con stupore,
vedo un filino d'erba
che s'è fatto strada tra l'asfalto,
ne ha perforato la corazza
e s'è affacciato per vedere il sole.
Non ha la fortuna dei suoi fratelli dei prati;
il sole, alto, sui muri delle case,
lo sfiora appena per un breve momento.
Però basta, all'intrepido stelo
che ha vinto la nera durezza del mantello asfaltato
per vivere la sua vita,
fatta di chiasso, di violenze, di offesa
me che però ha lui pure i suoi giorni e le sue notti;
e il ritmo urbano della gente che esce, al mattino,
rientra alla sera, nelle ore "di punta":
fa, a sua volta,
il mestiere di vivere.

 

Adriana  Zarri, da "Quasi una preghiera"

 

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  • : RIABILITAZIONE POST MORTEM DI PADRE GINO BURRESI
  • : Riabilitazione post mortem di Padre Gino Burresi Firma la Petizione https://petizionepubblica.it/pview.aspx?pi=IT85976 "Sono dentro, donna o uomo che vive li nel seno di questa chiesa. Da me amata, desiderata e capita... Sono dentro. Mi manca aria, Aspetto l'alba, Vedo tramonto. La chiesa dei cardinali madri per gioielli, matrigne per l'amore. Ho inciampato e la chiesa non mi sta raccogliendo. Solitudine a me dona, a lei che avevo chiesto Maternità. E l'anima mia, Povera, Riconosce lo sbaglio di aver scelto il dentro e, Vorrei uscire ma dentro dovrò stare, per la madre che non accetta, Il bene del vero che ho scoperto per l'anima mia. Chiesa, Antica e poco nuova, Barca in alto mare, Getta le reti Su chi ti chiede maternità. Madre o matrigna, per me oggi barca in alto mare che teme solo di Affondare! Matrigna." Commento n°1 inviato da Giò il 2/04/2011 alle 14h27sul post: http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-la-chiesa-di-oggi-ci-e-madre-o-matrigna-67251291
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