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12 febbraio 2015 4 12 /02 /febbraio /2015 19:21

 

 

 

 

Il carnevale dei poeti: la festa in maschera di Dante Alighieri, Giacomo Leopardi e Gabriele D’Annunzio
  

Qualche volta nella vita è bello divertirsi, uscendo dagli schemi, a costo di sembrare bizzarri e, perché no, anche un po’ banali. È per questo che, in un clima di carnevale inoltrato, un’idea “malsana” ha fatto capolino nella mia mente. Mi sono posta una domanda: se i grandi poeti del passato dovessero partecipare ad una festa in maschera, come si vestirebbero?

Ebbene, cominciamo da lui, il “sommo poeta”, Dante Alighieri (1265- 1321). Difficile prevederlo, poiché Dante non è mai stato scontato. Tralasciando il genere umano, da lui così aspramente criticato, e ignorando il suo desiderio di atteggiarsi a “deux super partes”, perché anche quello sarebbe troppo facile, direi piuttosto che opterebbe per un antropomorfismo dal forte valore simbolico.

Lo immagino immobile in un angolo ad osservare i commensali, vestito da albero di lauro. La corona di alloro è da sempre un simbolo iconografico importante nelle rappresentazioni figurative di poeti e uomini dotti,poiché il “laureatus” è appunto colui che porta tale elemento, così come ancora oggi avviene nelle cerimonie di laurea. Ad un tempo, Dante appagherebbe il suo sogno di distinguersi come uomo di cultura, e risulterebbe alquanto originale, poiché credo che a nessuno verrebbe in mente di travestirsi da “oggetto inanimato”.

Per Giacomo Leopardi la cosa la vedo più facile. Perché nonostante tutto il pessimismo che gli è stato attribuito, egli era una persona che ricercava la vita e l’amore, e forse è morto incredulo, per non essere riuscito a “smentire” quella natura matrigna che crea gli uomini ma poi nega loro la possibilità di essere felici. Li lusinga, ma presto li disillude.

Leopardi quindi, si sarebbe travestito da Romeo, il protagonista della tragedia di William Shakespeare (1564- 1616), consapevole che la sua Giulietta si trovi solo nella mente, secondo le usanze pudiche del periodo. Certo, sarebbe bello immaginare che alla festa con lui ci fosse stata anche Silvia, ma non credo di poter arrivare a tanto. E non ditemi che Leopardi non avrebbe mai accettato l’invito e se ne sarebbe stato a casa, perché non è vero.

L’amico Ranieri, che visse con lui gli ultimi anni aNapoli, lo descrive come un “ribelle”. Poteva far colazione anche il pomeriggio e pranzare a mezzanotte; esasperava le prescrizioni del medico, camminando fino a sfinirsi se gli veniva consigliato del moto e mettendosi a letto per giorni se gli veniva ordinato riposo. Insomma, non aveva mezze misure. Amava i gelati e i taralli dolci, acclamava la morte ma era convinto di essere longevo, tanto che riteneva di essere affetto semplicemente da una sorta di asma bronchiale.

Dopo la morte di Silvia e l’allontanamento dalla figura “negativa” della madre, possiamo dire che si fosse lasciato andare all’entusiasmo, tanto che, assieme al cuoco Pasquale, si era messo a studiare una serie di sistemi per vincere al gioco del Lotto e porre così fine ai suoi problemi economici. Quindi, perché no, a questa fantomatica festa, vestito da Romeo, il buon Giacomo potrebbe anche guardarsi un po’ attorno, e azzardare la conoscenza di nuove fanciulle.

E veniamo a Gabriele D’Annunzio (1863- 1939). Vi prego, toglietevi quei sorrisi dalla faccia, e cerchiamo di essere “seri”. Lo so, scappa da ridere anche a me, perché qui di cose da dire ce ne sarebbero tante. Dunque, la festa in questione dovrebbe essere necessariamente danzante,  senza cena né buffet. Questo perché D’Annunzio aveva una vera e propria idiosincrasia per le ritualità legate al cibo, a causa di una brutta dentatura. In pratica, si vergognava che qualcuno lo vedesse mangiare e pranzava sempre da solo. L’invito ad una donna non prevedeva mai la cena, ma semmai solo il dopocena. Anche se qui subentrerebbero altre turbe psicologiche, dato che, invecchiando, egli non voleva più farsi vedere nudo, e la leggenda dice che si fosse fatto fare un pigiama apposito per poter adempiere ai suoi “doveri”, senza doverselo mai sfilare di dosso.

La leggenda parla anche di un “buco” scucito ad arte, ma su questo particolare sorvolerei. Il corredo si completava con un paio di pantofole a forma di pene, ma anche qui stenderei un velo pietoso.

Dunque, alla luce di questi fatti, alla festa di carnevale lo farei partecipare vestito da Lady Godiva (990- 1067), la nobildonna anglosassone che cavalcò nuda per ottenere la soppressione di un tributo imposto ai sudditi dal conte Leofrico Di Coventry, suo marito.

Naturalmente, il travestimento dovrebbe avere  qualche piccolo accorgimento. È noto cheD’Annunzio amasse cavalcare nudo per il parco del Vittoriale, per farsi vedere dalle donne di Gardone, ma questo credo in gioventù. Poiché stiamo qui pensando ad un Gabriele D’Annunzio più maturo, potrebbe “cavalcare” con un finto cavallo di cartapesta, cucito al suo inseparabile pigiama, così la parte anteriore risulterebbe completamente nascosta ed arginata da questa riproduzione “casereccia” di quadrupede.

Certo, come travestimento sarebbe un po’ ingombrante e non riuscirebbe a danzare, ma d’altra parte è vero che per essere “belli” bisogna soffrire. Lady Godiva copriva le sue nudità con lunghi capelli, ma nulla vieterebbe a D’Annunzio di intessere una parrucca coi capelli delle sue donne. Pare che ci avesse già imbottito dei cuscini.

E mentre spero che non mi vengano mai più idee di questo genere che, diciamolo, risultano non poco irriverenti, vi prego di prendere questo scritto con ironia. Scateniamoci in questo periodo di carnevale, di travestimenti e risate, dove tutto è ancora possibile. Prima che giunga la rigida Quaresima.

 Written by Cristina Biolcati

17 feb 2010 - Caricato da Johnny B. Goode

  

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15 gennaio 2015 4 15 /01 /gennaio /2015 00:23

 

 

 

 

 

http://www.robertosconocchini.it/discipline-italiano/3957-la-lettera-del-vecchio-ciliegio-malato.html

 

 

  

 

 

Chi Vi scrive cari Signori, non meravigliatevi, è il vecchio Ciliegio del Vostro cortile. Sono proprio io, ormai condannato a morte con poche e fredde parole sul verbale del condominio, a voler lasciare un ultimo messaggio.

Si è vero, ero vecchio e malato, la mia corteccia era ferita, la mia chioma non era più quella di una volta, i miei frutti non erano più graditi e dai miei rami cadevano gocce di linfa che imbrattavano le Vostre automobili.

Eppure un tempo non era così: com’era gradita la mia ombra nei caldi pomeriggi estivi alle poche auto che sostavano nel cortile, come piaceva ai bambini del palazzo cercare di rubare i saporiti frutti dai miei rami, che profumo emanavano i miei fiori a primavera!

Molti di Voi, abitanti del palazzo, siete invecchiati con me, Vi ho sempre visto in questi lunghi anni e seguiti con affetto, intenti alle Vostre occupazioni, ai tanti problemi quotidiani, e vi vedevo ormai stanchi e pieni di acciacchi scendere a fatica le scale per andare a fare la spesa, per godere di questo pallido sole invernale, o per portare a spasso il nipotino che allieta le Vostre giornate.

Proprio per questo motivo credevo di avere in Voi degli amici solidali, Voi che conoscete il significato della vecchiaia che non risparmia nessuno, uomini, animali, piante; ma perché anche noi piante non abbiamo il diritto di invecchiare in pace, perché l’uomo arroga tutti i diritti di vita e di morte su di noi? Mi hanno detto che il proprietario del palazzo vicino si è lamentato perché le mie foglie sporcavano il suo cortile e per questo motivo devo essere abbattuto. Che tristezza! Gli uomini si lamentano per poche foglie secche, ma non spendono una parola per i veleni invisibili che tutte le loro automobili scaricano nell’aria, per i fumi, per il rumore del traffico.

Io non mi sono mai lamentato degli scarichi delle Vostre auto che, giorno dopo giorno, hanno lasciato sulle mie foglie un sottile velo di morte, non ho potuto dire nulla quando anni fa mani inesperte hanno potato maldestramente i miei rami, favorendo l’attacco dei parassiti che, attraverso le ferite, hanno raggiunto le mie radici. Si sa, noi alberi di città dobbiamo sopportare tutto ciò e in cambio continuare ad offrire l’ossigeno all’aria che ci circonda.

Nonostante ciò la maggior parte di Voi ha sancito la mia condanna a morta senza spendere una parola in mio favore, senza un pensiero per il vecchio ciliegio, che aveva accompagnato anche le vostre stagioni per tanti anni.

Ma ora non voglio annoiarvi ancora, Vi porgo il mio addio e all’augurio di un felice anno nuovo, aggiungo quello che non possiate più avere nei Vostri cuori un vuoto più grande di quello che lascerò nel cortile.

Il Ciliegio

  

 

www.youtube.com/watch?v=c034y0Optz8
13 ago 2009 - Caricato da raffaele74
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7 gennaio 2015 3 07 /01 /gennaio /2015 20:40

 

 

 

 

 

http://ilinkdiacl.blogspot.it/2014/06/le-dieci-dita-clicca-limmagine-per.html

La lingua più parlata nel mondo è "a vanvera". Miliardi di parole, ogni giorno, ci investono, ci trafiggono, ci soffocano. Saper parlare è un gran dono. Perchè l’uomo non dica troppi spropositi Dio gli ha donato dieci dita perchè possa ricordare i suoi saggi consigli: “Che la tua prima parola sia buona... Che la tua seconda parola sia vera... Che la tua terza parola sia giusta... Che la tua quarta parola sia generosa... Che la tua quinta parola sia coraggiosa... Che la tua sesta parola sia tenera... Che la tua settima parola sia consolante... Che la tua ottava parola sia accogliente... Che la tua nona parola sia rispettosa... E la tua decima parola sia saggia.
Poi... taci! (Bruno Ferrero)

 

Si contano sulle dita di due mani gli anni di isolamento vissuti finora da Padre Gino Burresi in seguito alla condanna da parte di Papa Benedetto XVI emessa in data 27 maggio 2005. Sono anni sofferti. Ufficialmente, tramite i miei scritti, sono vicino a Padre Gino dalla fine del 2010. Quindi conto più di quattro anni di gemellaggio con lui, unito a lui ancora di più, misticamente, dal giorno in cui Giò, il suo angelo custode, mi fece pervenire il suo messaggio, con il quale chiedeva maternità alla Chiesa e un gesto di accoglienza, questo gettare le reti di Pietro sul naufrago per tirarlo a riva, salvandolo da sicura morte.

Questo salvataggio finora non è avvenuto e padre Gino, giorno dopo giorno, pare scriva ancora quelle parole così toccanti alla sua Chiesa :

 

 

 

GETTA LE RETI SU CHI TI CHIEDE MATERNITA'

 

Io, dal canto mio e con l'incoraggiamento ed il contributo di molti di voi ho tessuto sul web un'ampia rete attorno a Padre Gino. C'è l'imbarazzo della scelta circa la lettura e la meditazione degli articoli inerenti alla sua persona. Ho scritto quasi un vangelo su di lui, a cui avvicinarsi con la pietà che si deve nutrire per un condannato. Io mi sento chiamato a stargli vicino, giacché sono stato scelto come custode e propagatore del suo messaggio rivolto alla Chiesa. Mi rivolgo ora ai sacerdoti che hanno intenzione di firmare le petizioni per la riabilitazione di Padre Gino indirizzate al Papa Emerito Benedetto XVI o al Papa in carica Francesco. Abbiano questi sacerdoti il coraggio di rivelarsi come tali, senza restare nell'anonimato. Comprendo il vostro timore di subire delle conseguenze che potrebbero danneggiarvi, ma allora dove sono rimasti i vostri propositi di offrire la vostra vita per un confratello ? Sono essi lettera morta?

Inizia il decimo anno dalla condanna del 2005. Io sono ancora con Padre Gino e con voi. Aiutatemi a ottenere dai due Papi la riabilitazione di questo sacerdote, che per noi ha significato tanto !

 

 

Riccardo Sante Maria Fontana


 

www.youtube.com/watch?v=lfXqCnJ5g5U
04 giu 2013 - Caricato da Massimiliano Conforti
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6 gennaio 2015 2 06 /01 /gennaio /2015 02:13

 

 

 

 

http://www.poesieracconti.it/poesie/opera-86127

 

Angelo annunciatore 

 

 

Maternità negata

 

Se per crudele natura
sterile sei
non riversare odio
sul tuo corpo
tanto capace di amare
ma non di procreare

non affannarti nell'insistere
in costosi scientifici rimedi.

Accetta il diniego
ricevuto dalla vita
e guarda intorno a te...

bambini privi
dell'abbraccio di una madre
attendono ansiosi
di essere amati.

Accogli uno di loro
fra le tue braccia
ed amalo come fosse uscito
dal tuo grembo...
appagherai così
il tuo profondo desiderio
d'esser madre.

Universale è l'amore
di una mamma...
e quel bimbo
pur non essendo
da te generato
sarà tuo figlio perché
l'avrai cresciuto ed amato.

 

Loretta Margherita Citarei

 

 

 

24 apr 2012 - Caricato da RiccardoPolidoroTube
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4 gennaio 2015 7 04 /01 /gennaio /2015 21:29

 

 

Scuola Emilana del XVII secolo

 

Ebbene sì, cari lettori !

Padre Gino Burresi è ancora vivo nella memoria della gente, siano essi sacerdoti o laici, persone colte o semplici. Tutti hanno qualcosa da dire riguardo al loro campione. Perché Padre Gino per molti è un campione di fede, di speranza e di carità. E anche fosse vero che ha commesso dei reati, non si possono cancellare le azioni buone da lui compiute nei confronti della gente che si rivolgeva a lui per ottenere delle grazie. Chi è stato miracolato grazie alle sue preghiere, non riesce ad accettare l'idea che egli possa avere inciampato. Così come le persone che affermano di essere state da lui abusate sessualmente ed ingannate legano al suo ricordo il trauma incancellabile che le portano a negargli il perdono cristiano per le sue malefatte.

Ma qui non si tratta solo di cadute in atti omosessuali. A Padre Gino Burresi vengono addebitate molte più colpe, forse ancora più gravi degli atti omosessuali. Qui si mettono in dubbio tutti quei fenomeni mistici per i quali era conosciuto in tutto il mondo : visioni soprannaturali, profumi mistici, stimmate, conoscenza dei cuori, miracoli. E gli accusatori sono proprio le persone a lui più vicine, gli ex seminaristi di San Vittorino Romano, dove si erge il Santuario Nostra Signora di Fatima, fatto costruire da Padre Gino Burresi con le offerte dei fedeli. Perché di soldi a San Vittorino ne arrivavano a palate.

Insomma secondo loro sarebbe stato tutto falsità ed inganno, portati avanti per decenni fino alla cacciata di Padre Gino da San Vittorino, che mi ricorda molto la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre. Sì, perché per molti, me compreso, San Vittorino era un angolo di cielo, dove trovavo pace e serenità accanto a Padre Gino, anche quando mi tirava le orecchie. Ma anch'io ho ricevuto il mio zuccherino, tant'è che volevo entrare in seminario da lui.

Così, con il decreto vaticano che ne sentenzia la condanna, vengono gettate a mare tutte le opere di Padre Gino, che viene additato al popolo di Dio come persona da evitare perché pericolosa per la salute delle anime.

Ma nonostante ciò continuano ad aggiungersi firme sulle due petizioni per la sua riabilitazione : quella rivolta al Papa Emerito Benedetto XVI e quella indirizzata al Papa in carica Francesco.

Non si può negare che ciò costituisce un fatto insolito, per non dire eccezionale, che cioè a distanza di più di 25 anni dalle vicende scabrose che lo riguardano, non sia svanita l'eco di voci che si sollevano in  favore di Padre Gino.

Mentre l'unica voce accusatrice pervenuta sul mio blog è quella di Luigi, teologo tedesco, ex seminarista di San Vittorino, che con le sue accuse ricalca per filo e per segno le accuse che si leggono sulla stampa, quando viene citato il decreto di condanna vaticano.

Quindi suppongo che Luigi sia l'ex seminarista sentito dal tribunale ecclesiastico prima di redigere la sentenza finale di condanna contro Padre Gino Burresi, emessa il 27 maggio 2005.

Dunque o Padre Gino ha tradito noi, o noi abbiamo tradito Padre Gino. Dove noi significa la Chiesa, i cardinali e il Papa che lo hanno condannato. Certo è che Papa Benedetto XVI con la sua conferma del decreto di condanna si sta portando dietro un pesante fardello che solo Papa Francesco gli può togliere.

Ma sullo sfondo di tutto ciò può assumere un significato rilevante il messaggio di Giò ( G ) da me ricevuto il 2 aprile 2011 su un articolo del mio blog dove parlavo della Chiesa madre o matrigna, madre sotto il pontificato di Papa Giovanni Paolo I, Albino Luciani, matrigna sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI, Joseph Ratzinger, che recita come segue :

 

"Sono dentro, donna o uomo che vive li nel seno di questa chiesa.

Da me amata,desiderata e capita...

Sono dentro. Mi manca aria, Aspetto l'alba, Vedo tramonto.

La chiesa dei cardinali madri per gioielli, matrigne per l'amore.

Ho inciampato e la chiesa non mi sta raccogliendo.

Solitudine a me dona, a lei che avevo chiesto Maternità.

E l'anima mia, Povera, Riconosce lo sbaglio di aver scelto il dentro e,

Vorrei uscire ma dentro dovrò stare, per la madre che non accetta,

Il bene del vero che ho scoperto per l'anima mia. Chiesa,

Antica e poco nuova, Barca in alto mare,

Getta le reti Su chi ti chiede maternità. Madre o matrigna,

per me oggi barca in alto mare che teme solo di Affondare!

Matrigna."

Commento n°1 inviato da Giò il 2/04/2011 alle 14h27

 

Se a Padre Gino Burresi vengono attribuiti dei doni speciali, non capisco la difficoltà nel credere che quel messaggio possa essere stato originato proprio da lui e fattomi pervenire miracolosamente sul blog.

Insomma crediamo ai miracoli per intero o solo a metà?

C'è un film appena uscito nelle sale cinematografiche, che si intitola “ Si accettano miracoli “ che vi consiglio di andare a vedere. La gente ha bisogno di miracoli per credere. Io ai miracoli ci credo a prescindere.

E son certo : un miracolo  accadrà e non sarà falso.

 

Un affettuoso saluto

 

Riccardo Sante Maria Fontana


 

 

www.youtube.com/watch?v=qMXVu4chhsY
20 set 2010 - Caricato da Sandangel169
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3 gennaio 2015 6 03 /01 /gennaio /2015 09:13

 

 

 

 

Signore, parlo con Te. Non sei un'idea: sei il Vivente, Cristo, mio Dio. Sei il Cristo, che gli uomini hanno avvicinato e amato, come si ama un altro uomo.

Sei la realtà vera a cui è legata tutta la mia vita, il mio lavoro, i miei ideali.

Torno a Te, Cristo Signore, per sentirmi ancora qualcuno, per ricostruirmi.

O, lo sai bene, non ti porto un edificio ben lavorato, un'opera compiuta; ma un ordigno prezioso, divenuto briciole, anche se briciole d'oro. Lo riporto a Te perché lo ricostruisca in unità.

Che cosa ho fatto, Signore, da un pezzo in qua?...” Verba, verba, praetereaque nihil”1). Eppure Tu mi sei passato accanto tante volte; e mi hai messo nel cuore, vivo insistente, il bisogno tormentoso di Te.

La morte mi ha sfiorato, e ho sentito pungente il desiderio di finirla con gli uomini e le cose, e ricongiungermi a Te. Ma poi, tornato alla vita, son diventato ancora una volta mediocre, terreno, sciocco. Ho dimenticato Te. Son diventato nell'intimo uno dei tanti.

Quante anime mi si sono avvicinate! E mi hanno chiesto appassionatamente di portarle a Te, di sacrificarti la loro giovinezza, di imparare ad amare. Ed io le ho mandate innanzi, le ho spinte verso la suprema generosità del dono di sé; mi son sentito padre e fratello con loro. Ma poi le ho tradite, perché la mia vita, tornata solitaria, ha rivisto tutte, ad una ad una, le mie meschinità. Gli altri non sanno; ma tu vedi e tu sai, o Signore!

Mi hai chiesto il sacrificio, facendomi capire che “vi sono dei momenti in cui si ha la voglia di farla finita con gli uomini; e non c'è che due maniere per farla finita: o amare o morire”. Ed io ho accettato : ho chiesto che la vita fosse davvero un silenzioso dolore, tutta volta al dare e non al chiedere, perché è “meglio che ricevere”. Ma poi, quando è venuto il dolore mi sono abbattuto, e l'ho sciupato, manifestandolo, come si sciupa una bottiglia di vino vecchio, stappandola. Ho cercato me; ho voluto la poesia del dolore, non il dolore soltanto.

Soprattutto, o Signore, ho sciupato la mia vita interiore, ho spezzato la mia vita di prete: nessuna importanza all'Opus Dei, perdendo anche la viva coscienza del mio dovere. Quante volte mi sono addormentato senza aver terminato l'Ufficio! E la lettura spirituale? E le pratiche di pietà ordinarie?...E' vero: molto si è salvato, perché in fondo ho parlato di Te e vissuto di Te...Ma a lungo andare, mi espongo all'esaurimento; corro (il) pericolo di far rovinare l'edificio soprannaturale e con quello anche la coscienza morale dell'uomo puro e semplice. Mio Dio, pietà. Sono ancora e soprattutto ora il figliol prodigo che ritorna a Te!

Uno sguardo di compassione, Cristo mio Dio, sulla mia miseria e mediocrità: un tuo sguardo profondo e indagatore, come inesorabile giudice, sul mio rovinio interiore. Da Te lo prendo volentieri, Signore, anche se punge, e sconvolge; perché so che è uno sguardo vivificatore.

Mi metto, dunque, Signore, alla tua presenza, per ascoltarti e parlare; per piangere e agire: per ritornare. Lo fo per me, Signore; ché non posso più vivere in questa continua menzogna vitale, in questo alterno contrasto del fare e del dire; lo fo per i miei ragazzi, che aspettano, fuori, affollandosi coi loro intimi contrasti e bisogni. E son babbo per loro; e non posso dare uno scorpione per un uovo, un serpente per un pesce. Lo fo per Te, Cristo mio Dio, perché sono e voglio essere tuo: tua gloria, Signore, tua conquista, tua corona. ” Apostoli gloria Christi”2). Perché per me è ormai il giuoco dell'ultima carta, quello che giuoco nella vita, con Te.

Ascolto, Gesù. Parla e ricostruisci.

 

 

3 gennaio 1945

 

Enrico Bartoletti

 

1) " Parole, parole e nient'altro"

2) " Sono gli apostoli delle Chiese e la gloria di Cristo"

 

 

Tratto da : In Spe Fortitudo Diario Spirituale 1933 – 1975 di Enrico Bartoletti 


 

www.youtube.com/watch?v=ax2G9OAZ5XU
04 nov 2012 - Caricato da imnotafootballplayer
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1 gennaio 2015 4 01 /01 /gennaio /2015 11:24

 

 

 

  

 

 

In nomine Domini.Amen”.



Visita casa. Molte pene, per la mamma; per mia sorella M. Regina, per Cecco1).

Ma anche grande pace e grande conforto, nel vedere come il Signore ci prepara e ci attende per la sua ora. Francesco non sa il suo male inesorabile; ma è pieno di fiducia in Dio e di bontà con tutti.

Inizio del Giubileo2). In S. Martino, S. Messa per me, per i miei cari, per la Diocesi.

Che cosa vuoi, Signore? Dammi più fede, e mi basta. Ho poco coraggio.

Ho paura delle pene e delle avversità. Non so ancora sopportare l'idea di non essere amato. E invece dovrei soltanto amare, amare, amare; fino a perdermi tutto in Te.

- Meditazione.

- Adorazione.

- Ordine nel lavoro.

- Abbandono totale.

 

 

1 Gennaio 1966

 

 

Enrico Bartoletti 

   

 

1) Francesco Facchini ( Cecco ) è il marito di Ada, la sorella di Bartoletti.

2) Si riferisce al Giubileo straordinario indetto da Paolo VI a conclusione del concilio Vaticano II. 

 

 

 

 

Tratto da : In Spe Fortitudo Diario Spirituale 1933 – 1975 di Enrico Bartoletti  

 

 

www.youtube.com/watch?v=UQ6KXjNUJPs
09 ott 2014 - Caricato da ART LAB Studio

 

 

   

 

 

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31 dicembre 2014 3 31 /12 /dicembre /2014 20:01

 

 

   

 

 

 

Signore, sono al termine di un anno carico di miserie, più carico di grazia.

Sento ogni giorno avvicinarsi la tua venuta; ma ciò non impedisce che mi attardi per la via, senza allungare il passo verso di Te.

Ti chiedo perdono delle mie colpe, mancanza di fede e di abbandono; mancanza di preghiera e di silenzio; stanchezza fisica, che diventa dissipazione e pigrizia.

Ho grosse responsabilità verso la tua Chiesa mia Madre. Soffro delle sue macchie e delle sue rughe; ma non fo niente per toglierle.

Ho pensato più a me che agli altri. Mi sono stancato del loro aiuto e del mio aiuto per loro.

Fammi vivere davvero nell'amore: un amore puro, disinteressato, pieno.

Fammi camminare con gli altri, specialmente con quegli che mi hai dato: Don Pietro (Gianneschi), Don Michelangelo (Giannotti); i preti che ho ordinato; quelli che ho preparato.

Ti offro il nuovo anno, che si apre in questo momento e che mi dai la grazia di cominciare.

Non so quello che mi accadrà, né quello che mi chiederai.

Voglio prendere e meditare tutto l'anno ciò che mi dici attraverso l'Apostolo Paolo: “ Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, il pericolo, la nudità, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, per virtù di Colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, Signore nostro “ (Rm. 8,35-39).Amen!

 

31 dicembre 1974 - h. 23.45

 

Enrico Bartoletti

 

Tratto da : In Spe Fortitudo Diario Spirituale 1933-1975 di Enrico Bartoletti

 

 

www.youtube.com/watch?v=wBdxiQE_swg
19 set 2009 - Caricato da sognoinfinito9
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29 dicembre 2014 1 29 /12 /dicembre /2014 08:26

 

 

 


       

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-primo-vero-presepe-gay-e-in-un-seminario-11318.htm

 

 

Il primo vero presepe gay è in un seminario

di Tommaso Scandroglio24-12-2014

I due pastori

Nel seminario vescovile di San Miniato è spuntato un presepe, che a voler essere buoni perché è Natale, potremmo definirlo ambiguamente gay. L’artista Mario Rossi ha raffigurato due pastori a grandezza naturale che stanno a braccetto uno con l’altro e tengono in mano un cartello dove c’è scritto: «Cerchiamo di superare come ha detto Papa Bergoglio, la cultura dello ‘scarto’ con la cultura della solidarietà».

Quei due pastori vogliono raffigurare la prima coppia gay di Betlemme? La soluzione nelle parole di Rossi: “Ho parlato delle diversità che si palesano in questo tempo dai nuovi, pericolosi, rigurgiti oscuri e quindi è solo un messaggio contro i muri, le terre contese, le guerre tra gli uomini, l’odio scatenato dalle differenze religiose, ma anche da quelle legate all’orientamento sessuale. Il mio è un invito alla pace e alla tolleranza: nel presepe l’ho detto e lo ripeto c’è posto per tutti. Le polemiche, invece, non m’interessano: non ho realizzato questo progetto di presepe per destare clamore o per dare il via ad un polverone mediatico. La gente, vedendo questa rappresentazione, dovrebbe riflettere”. Poi aggiunge l’artista che non fa mistero di essere un cattocomunista Doc: “Il presepe è sicuramente sacro, simbolo di pace e di speranza, ma proprio per questo quel popolo che adora il bambino è un popolo che non conosce le diversità, che include tutti senza distinzione di razza, sesso o religione. Almeno nel presepe questo può accadere”.

E dunque pare proprio che l’invito di Rossi sia quello di non scartare nessuno, persone omosessuali comprese. Assolutamente condivisibile, ma si sa che l’invito ad accogliere le persone con tendenza omosessuale spesso scivola nell’invito ad accogliere l’omosessualità.

Rossi ci dice che nel presepe ci deve essere spazio per tutti. D’altronde Gesù è venuto per tutti. Quindi spazio anche a ladri, truffatori ed evasori fiscali nel presepe? Perché scartare questa ampia fetta di umanità? Anzi, forse la domanda giusta è: “Perché nel presepe accanto all’arrotino, al pastore e al boscaiolo, non abbiamo mai visto un ladro che si intrufola in una casetta, un borseggiatore che sfila una paio di monete dalla saccoccia del pastore distratto che sta contemplando la natività, un sequestratore che rapisce la figlia del fabbro per chiederne il riscatto?”. Eppure sono anch’essi uomini di quel “popolo che non conosce la diversità”.

Tali figuri non hanno mai avuto le carte in regola per diventare statuine abilitate a calcare la scena di questo mistico teatro in miniatura perché l’umanità che contempla il Bambinello è sì quella peccatrice ma anche quella che vuole convertirsi. La scoperta di Gesù grazie all’annuncio celeste porta alla conversione e dunque quell’abbraccio dei due pastori di San Miniato dovrebbe immediatamente cessare. E’ vero dunque che il Gesù Bambino nella mangiatoria viene per redimere tutte le miserie di cui è afflitto l’uomo. Omosessualità e blasfemia compresa. Ma che le persone omosessuali superino questa loro tendenza e che i blasfemi si ravvedano. Altrimenti costoro starebbero a contemplare non Gesù nella mangiatoia bensì i loro peccati.

Nel presepe del sig. Rossi invece Gesù deve far posto all’omosessualità e così accade che il vero rifiutato, il vero scartato – duemila anni fa come oggi – è ancora Lui.

Ovviamente l’esperimento di San Miniato potrebbe dare la stura ad altre iniziative simili in futuro. Nei prossimi Natali quella coppia etero composta da Maria e Giuseppe – così stereotipata nel loro dualismo sessuale - potrebbe essere sfrattata dalla capanna per far posto ad una coppia omo. Il Gesù Bambino a quel punto non potrebbe che essere adottato. Intuibile che gli altri presepi di francescana memoria sarebbero da considerarsi omofobi. Oppure il presepe potrebbe celebrare non più tanto la natività di Nostro Signore bensì l’asessualità degli angeli – così voluti da Dio - i quali diventerebbero loro malgrado bandiera dell’ideologia gender perché né maschi e né femmine. La rivisitazione in chiave omo colpirebbe anche i Re Magi: tre uomini, che vivono a stretto contatto uno con l’altro per più  settimane senza la compagnia di una donna la direbbero già lunga sul loro orientamento sessuale. Insomma le variazioni sul tema potrebbero essere variopinte come l’arcobaleno della bandiera gay.

Ma c’è una notizia dentro la notizia. Come accennato, il presepe è stato allestito presso il seminario vescovile. La curia, attualmente sprovvista di vescovo, per ora tace. Ma non c’è un portavoce in questo momento di “sede vacante” pronto a separare i due pastorelli? E il rettore del seminario? La vicenda imbarazza non poco sia perché nell’immaginario collettivo il seminario evoca l’idea di un luogo dove fiorisce il celibato sacerdotale sia perché nell’altro lato – quello in ombra – dello stesso immaginario collettivo il seminario viene visto come luogo dove fioriscono pratiche omosessuali. Insomma vorremmo evitare che qualche malizioso pensasse che il presepe sia un imprimatur de facto a certe licenziose condotte dei sacerdoti in erba.

Forse il sig. Rossi però ha un inconsapevole merito. Ci ha fatto comprendere meglio il vero significato di quel freddo e gelo cantato dal “Tu scendi dalle stelle”: il Divin Bambino anche quest’anno raggelerà di fronte alla perversione culturale e di costumi che si squaderna al di fuori della sua capanna.

 

 

09 dic 2007 - Caricato da volare82
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28 dicembre 2014 7 28 /12 /dicembre /2014 06:29

 

 

 

 

http://tangalor.blogspot.it/2014/02/cosa-significa-essere-stabili.html#more

 

 

 

 

 

Cosa significa essere stabili?

 

 

 

Scoprire la stabilità di una montagna

 

 

 

Una montagna è stabile ma non è vero che non cambia mai: sul suo dorso cambia tutto a seconda della stagione da
 
verde diventa marrone, bianca quando nevica e rossastra in autunno.

Non è stabile fuori, rimane salda dentro (a prescindere da quello che accade fuori).
La stabilità non è sinonimo di non cambiamento.
 
Anzi, la stabilità è sinonimo di perenne cambiamento, ma ancorato alla fedeltà interiore.
Ed é cosi che non si perde l'equilibrio: cambiando in continuazione, ma rimanendo saldi.
 
 
 
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  • : RIABILITAZIONE POST MORTEM DI PADRE GINO BURRESI
  • : Riabilitazione post mortem di Padre Gino Burresi Firma la Petizione https://petizionepubblica.it/pview.aspx?pi=IT85976 "Sono dentro, donna o uomo che vive li nel seno di questa chiesa. Da me amata, desiderata e capita... Sono dentro. Mi manca aria, Aspetto l'alba, Vedo tramonto. La chiesa dei cardinali madri per gioielli, matrigne per l'amore. Ho inciampato e la chiesa non mi sta raccogliendo. Solitudine a me dona, a lei che avevo chiesto Maternità. E l'anima mia, Povera, Riconosce lo sbaglio di aver scelto il dentro e, Vorrei uscire ma dentro dovrò stare, per la madre che non accetta, Il bene del vero che ho scoperto per l'anima mia. Chiesa, Antica e poco nuova, Barca in alto mare, Getta le reti Su chi ti chiede maternità. Madre o matrigna, per me oggi barca in alto mare che teme solo di Affondare! Matrigna." Commento n°1 inviato da Giò il 2/04/2011 alle 14h27sul post: http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-la-chiesa-di-oggi-ci-e-madre-o-matrigna-67251291
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