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2 aprile 2020 4 02 /04 /aprile /2020 10:31
VII^ STAZIONE
Gesù cade la seconda volta
 
 

 

"Il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì bocca.
Era come un agnello condotto al macello, come una pecora muta di fronte ai suoi tosatori".

 

 

Gesù cade

Una centuria si dispone in due file distanti un tre metri l'una dall'altra, ed esce così nella piazza su cui un'altra centuria ha formato un quadrato per respingere la folla affinché non ostacoli il corteo. Sulla piazzetta sono già degli uomini a cavallo: una decuria di cavalleria con un giovane graduato che la comanda e con le insegne.

 

Secondo le rivelazioni di Maria Valtorta

Portano le croci. Quelle dei due ladroni sono più corte. Quella di Gesù molto più lunga. Io dico che l'asta verticale non lo è meno di un quattro metri. Io la vedo portata già formata. Prima di dare la croce a Gesù gli passano al collo la tavola con la scritta "Gesù Nazzareno Re dei Giudei" E la fune che la sostiene si impiglia nella corona che si sposta e sgraffia dove non è già sgraffiato e penetra in nuovi posti dando nuovo dolore e facendo sgorgare nuovo sangue. La gente ride di sadica gioia, insulta, bestemmia...

...inciampa in sassi e buche, e ogni inciampo è dolore perché smuove bruscamente la croce che urta sulla corona, che si sposta sulla spalla piagata e allarga la piaga e accresce il dolore.

I giudei non possono più colpirlo direttamente. Ma ancora qualche sasso arriva e qualche bastonata. Il primo specie nelle piazzette piene di folla. Le seconde invece nelle svolte, per le stradette tutte a scalini che salgono e scendono, ora uno, ora tre, ora più, per i continui dislivelli della città. Lì, per forza, il corteo rallenta e c'è sempre qualche volonteroso che sfida le lance romane pur di dare un nuovo tocco al capolavoro di tortura che è ormai Gesù.

I soldati lo difendono come possono. Ma anche per difenderlo lo colpiscono perché le lunghe aste delle lance, brandite in cosi poco spazio, lo urtano e lo fanno incespicare. Ma giunti ad un certo punto i soldati fanno una manovra impeccabile, e nonostante gli urli e le minacce il corteo devia bruscamente per una via che va diretta verso le mura, in discesa, una via che abbrevia molto l'andare verso il luogo del supplizio.

Gesù procede ansando. Ogni buca della via è un tranello per il suo piede vacillante e una tortura per le sue spalle piagate, per il suo capo coronato di spine su cui scende a perpendicolo un sole esageratamente caldo che ogni tanto si nasconde dietro un tendone plumbeo di nubi. Ma che, anche se nascosto, non cessa di ardere Gesù è congestionato dalla fatica, dalla febbre e dal caldo.

Gesù ansa sempre più. Il sudore gli riga il volto insieme al sangue che gli geme dalle ferite della corona di spine. La polvere si appiccica a questo volto bagnato e lo fa maculato di macchie strane. Perché vi è anche vento ora. Delle folate sincopate a lunghi intervalli in cui ricade la polvere che la folata ha alzata in vortici, che portano detriti negli occhi e nelle fauci.

I CADUTA
Trova una pietra sporgente, e siccome sfinito come è alza ben poco il piede inciampa e cade sul ginocchio destro, riuscendo però a sorreggersi con la mano sinistra. La gente urla di gioia... Si rialza. Procede. Sempre più curvo e ansante, congestionato, febbrile...

Il cartello che gli ballonzola davanti gli ostacola la vista, la veste lunga, che, ora che Lui va curvo, strascica per terra sul davanti, gli ostacola il passo. Inciampa di nuovo e cade sui due ginocchi ferendosi di nuovo dove è già ferito, e la croce che gli sfugge di mano e cade, dopo averlo percosso fortemente sulla schiena, lo obbliga a chinarsi a rialzarla ed a faticare per porsela sulle spalle di nuovo. Mentre fa questo appare nettamente visibile sulla spalla destra la piaga fatta dallo sfregamento della croce, che ha aperto le molte piaghe dei flagelli e le ha unificate in una sola che trasuda siero e sangue, di modo che la tunica bianca è in quel luogo tutta macchiata.

II CADUTA
La gente ha persino degli applausi per la gioia di vederlo cadere così male...
Longino incita a spicciarsi, e i soldati, con colpi di piatto dati con le daghe, sollecitano il povero Gesù a procedere. Si riprende il cammino con una lentezza sempre maggiore nonostante ogni sollecitazione.

III CADUTA
E poi subito il dolore della terza completa caduta. E questa volta non è che inciampi. Ma è che cade per subita flessione delle forze, per sincope. Va lungo disteso battendo il volto sulle pietre sconnesse, rimanendo nella polvere sotto la croce che gli si piega addosso. I soldati cercano rialzarlo. Ma poiché pare morto vanno a riferire al centurione. Mentre vanno e vengono Gesù rinviene, e lentamente, con l'aiuto di due soldati di cui uno rialza la croce e l'altro aiuta il Condannato a porsi in piedi, si rimette al suo posto. Ma è proprio sfinito. "Fate che non muoia che sulla croce!" urla la folla. "Se lo fate morire avanti, ne risponderete al Proconsole, ricordatelo. Il reo deve giungere vivo al supplizio" dicono i capi degli scribi ai soldati...

Su questa strada sono persone che salgono, ma che non partecipano all'indegna gazzarra degli ossessi che seguono Gesù per godere dei suoi tormenti. Donne per la più parte e piangenti e velate, e qualche gruppetto di uomini, molto sparuto in verità, che, più avanti di molto delle donne, sta per scomparire alla vista quando, nel proseguire, la strada gira il monte.

Gesù barcolla sempre più forte, tornando ad urtare da una fila all'altra dei soldati e piegando sempre più verso terra. Pensano di risolvere la cosa in bene passandogli una fune alla cintura e tenendolo per due capi come fossero redini. Sì. Questo lo sostiene. Ma non lo solleva dal peso. Anzi la fune urtando, nella croce la fa spostare continuamente sulla spalla e picchiare nella corona che ormai ha fatto della fronte di Gesù un tatuaggio sanguinante. Inoltre la fune sfrega alla cintura dove sono tante ferite, e certo le deve rompere di nuovo, tanto che la tunica bianca si colora alla vita di un rosso pallido. Per aiutarlo lo fanno soffrire più ancora.

Tratto da "Il poema dell'Uomo-Dio" di Maria Valtorta Volume nono, pag.278 - Centro Editoriale Valtortiano..

 

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2 aprile 2020 4 02 /04 /aprile /2020 04:45

 

VI^ STAZIONE
La Veronica asciuga il volto a Gesù

 

"Di te ha detto il mio cuore: "Cercate il suo volto. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto.
Molti si stupirono di lui, tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto.
Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia"."

 

https://it.aleteia.org/2014/04/18/chi-e-la-veronica-che-asciugo-il-volto-di-gesu/

 

Non è poi così importante conoscere il suo nome e la sua storia

 

Chi è la Veronica che asciugò il volto di Gesù?

 

Ma è esistita davvero? Ci sono prove?

 

 

Notizie precise sulla figura della “Veronica”, ricordata nella VI stazione della Via Crucis, pare che non ce ne siano.

E’ certo che la tradizione, la pietà popolare, l’esortazione della pratica della Via Crucis non hanno mai messo in discussione la contemplazione della VI stazione.

Questa è certamente una prova che almeno non esistono documentazioni contrarie.

Certamente “la Veronica”; incontrata da Gesù nel suo cammino verso il Calvario, è una figura che affascina e fa riflettere.

Riporto le riflessioni che don Primo Mazzolari fa commentando la VI stazione:

“Gli evangelisti non ricordano né il nome né il gesto. Che gli evangelisti siano rimasti confusi nel confronto del generoso coraggio della Veronica?

Talvolta costa meno confessare d’aver sbagliato che raccontare un esempio di virtù che metta in rilievo la nostra bassezza.

Chi è la Veronica?

Non ne so nulla, né voglio saperne di più di quello che vedo guardando il quadro della VI stazione.

Le più belle vite sono a volte raccolte in un gesto o consumate in un attimo.

Il prima e il dopo quasi non importano.

Neanche il nome, benché quello della Veronica sia così intessuto di pietà da parere la pietà stessa o la sua più naturale immagine.

A Veronica, donna senza nome e senza storia, posso dare il mio nome e la mia storia, confondendomi con lei e vedendo nel suo volto, come sul lino che tiene spiegato tra le mani, il volto di Gesù”.

 

 

 

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1 aprile 2020 3 01 /04 /aprile /2020 18:43

Firma la Petizione

 

RIABILITAZIONE POST MORTEM DI PADRE GINO BURRESI

 

Carissimi, il 19 novembre 2019 ho creato la petizione per la riabilitazione post mortem di Padre Gino Burresi.

 

Pensavo che la procedura non fosse andata a buon fine.

 

Invece poco fa mi sono accorto che la petizione è sul web.

 

Se volete, potete firmarla.

 

Come testo della petizione ho inserito la preghiera di Giò del 2 aprile 2011, in cui  ho identificato come autore Padre Gino Burresi, la mia risposta e la  replica di G (Padre Gino Burresi).

 

Domani 2 aprile 2020 sono passati nove anni, da quando ho ricevuto la preghiera di Padre Gino Burresi su questo blog.

 

Anche allora si era nel tempo quaresimale.

 

Questa è per così dire proprio la petizione di Pasqua.

 

E secondo me non è un caso che proprio oggi abbia ritrovato questa petizione, che credevo non fosse stata pubblicata.

 

Secondo me questo è un segno.

 

Grazie dell'attenzione.

 

Riccardo Sante Maria Fontana

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1 aprile 2020 3 01 /04 /aprile /2020 15:19

 

V^ STAZIONE
Gesù è aiutato dal Cireneo
 
 

 

"Mentre lo conducevano verso il luogo del Golgota, costrinsero un tale che passava, un certo Simeone di Cirene, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. "Chi non prende la sua croce e non mi segue - dice il Signore - non è degno di me".
"Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo"."

 

http://www.donivano.it/2019/04/06/i-compagni-della-passione-il-cireneo/

 

IL CIRENEO:  SE QUALCUNO VUOL VENIRE DIETRO A ME …

 

 

Il primo compagno di questa “Via Crucis” è il cosiddetto cireneo, che, da allora, è divenuto sinonimo di chi si sobbarca i pesi degli altri o fa da spalla in aiuto a chi è nel bisogno. Proprio perché cammina nella medesima direzione e condivide gli oneri con chi è meno fortunato è da considerarsi un vero compagno, uno che patisce insieme, uno che fa la stessa strada. Quello che più colpisce è il fatto che egli debba prendere la croce di Gesù, sia costretto a farlo, si pretenda da lui che lo accompagni fino al Calvario, portando il patibolo che non è suo. E per quella strada la deve portare lui al posto di Gesù, il quale, evidentemente, non la saprebbe portare da solo, anche perché rischia di non reggere la salita al patibolo, di non arrivare fino in fondo a bere l’amaro calice.

Lo consideriamo per quello che ci dicono i vangeli e per il modo con cui è stato rappresentato e interpretato nei secoli, vera icona di colui che, per Gesù, dovrebbe essere ogni uomo, soprattutto se ha intenzione di seguire il suo esempio: “Se qualcuno vuol venire dietro a me …”. Il discorso fatto è molto chiaro ed è rivolto alla folla, cioè a tutti: uno che ha preso la decisione di seguire quel Maestro non deve far altro che prendere la croce, ognuno la sua e, secondo la versione di Luca, portarsela “ogni giorno”, perché essa è una realtà quotidiana. Non è dunque uno strumento di morte e neppure va considerato un mezzo di patimento secondo l’immagine che se ne può avere, considerando quel patibolo infamante; è piuttosto la scelta deliberata di amare anche a non essere amati, di proseguire il cammino anche a dover affrontare ostacoli che sembrano insormontabili, di continuare a dare di sé anche a rimanere soli in questo atteggiamento. Qui però, con il cireneo, viene chiesto di prendere anche la croce dell’altro, o di portarla insieme ad altri …

don Ivano

 

Carissimi,

chissà chi avrà avuto come amico Padre Gino Burresi, specialmente a partire dal 27 maggio 2005, data della sentenza di condanna, fino alla sua morte, avvenuta il 3 maggio 2018.

Mi è stato detto su questo blog da chi lo conosceva, che voleva stare sempre solo.

La sua unica compagna era la sua agenda.

Come un diario, il diario della sua via crucis, con le sue riflessioni, le sue preghiere spontanee, i suoi lamenti.

Sicuramente su una pagina di quell'agenda avrà scritto quella preghiera accorata alla Chiesa, che mi ha fatto pervenire sul mio blog il 2 aprile 2011 sotto il nome di Giò.

Ed ecco quello  che resterà nella storia della Chiesa il testamento spirituale di Padre Gino Burresi, martire della Chiesa che soffre, da me raccolto e divulgato attraverso il mio blog al mondo intero.

Riccardo Sante Maria Fontana

 

Giò 04/02/2011 14:27

Sono dentro,
donna o uomo che vive li
nel seno di questa chiesa.
Da me amata,
desiderata e capita...
Sono dentro.
Mi manca aria,
Aspetto l'alba,
Vedo tramonto.
La chiesa dei cardinali
madri per gioielli,
matrigne per l'amore.
Ho inciampato
e la chiesa non mi sta
raccogliendo.
Solitudine a me dona,
a lei che avevo chiesto
Maternità.
E l'anima mia,
Povera,
Riconosce lo sbaglio
di aver scelto il dentro e,
Vorrei uscire
ma dentro dovrò stare,
per la madre
che non accetta,
Il bene del vero
che ho scoperto
per l'anima mia.

Chiesa,
Antica e poco nuova,
Barca in alto mare,
Getta le reti
Su chi ti chiede maternità.
Madre o matrigna,
per me oggi
barca in alto mare
che teme solo di
Affondare!
Matrigna.



04/03/2011 19:48


Caro Giò, sento sulla mia pelle e dentro le mie viscere la tua sofferenza. Sia per te
un balsamo questa canzone d'amore che ti dedico e ti canto a squarciagola. Ti abbraccio e ti
tengo sul mio cuore materno.


Riccardo



giò 04/03/2011 20:22


ti ringrazio riccardo!
Sono felice di averti vicino!
Questa sera mi tocco in silenzio il labbro superiore,li ho sempre trovato il desiderio di un bacio che,nel tempo gli ho negato e oggi è ancor più desiderato.
Ti ringrazio anche per la canzone che porta piacere alla sofferenza.
Accolgo l'abbraccio materno.
G

 

RIABILITAZIONE POST MORTEM DI PADRE GINO BURRESI

 

 

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1 aprile 2020 3 01 /04 /aprile /2020 08:14

 

GESU' INCONTRA LA SUA MADRE MATRIGNA (LA CHIESA)

 

 

IV^ STAZIONE
Gesù incontra sua madre
 
 

 

"Parlando a Maria, Simeone aveva profetizzato: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima"."

 

 

Cosa può provare una madre nel vedere il proprio figlio che va verso la morte?

Io posso dire cosa può provare un padre, perché sono un padre.

Ci sono tanti tipi di morte, la morte fisica e la morte dentro.

La morte fisica, quella ad esempio, a cui tutti noi possiamo andare incontro a causa  del coronavirus, oppure quella inerzia mortale che può prendere il sopravvento, quando affidiamo al destino la nostra propria sorte.

Della serie: tanto di qualcosa si deve morire.

Abbandonarsi, non lottare, perché riteniamo il male ineluttabile, è una tentazione che può venire a tutti.

In questi giorni è stata elogiata l'abnegazione che tanti medici ed infermieri dimostrano verso i pazienti, ammalati per il coronavirus.

Certo essi lo spirito di sacrificio ce l'hanno nel DNA della loro professione - missione, ma lì c'è molto di più.

E chi tra i medici e gli infermieri ha sacrificato la propria vita, può essere annoverato fra i martiri del coronavirus.

Oggi sembra che tutte le nostre emozioni debbano essere passate al vaglio del coronavirus.

Se sentiamo empatia verso i malati o i morti per coronavirus, possiamo ritenerci buoni, altrimenti no.

Lascio ad ognuno di noi l'esame della propria coscienza.

Cosa ha provato la Chiesa nel vedere Padre Gino Burresi malato, andare verso la morte di malattia.

Si è presa cura di lui come una madre o lo ha abbandonato al suo destino, senza il conforto della sua benedizione materna?

La preghiera di Giò alla Chiesa di dimostrarsi una madre e non una matrigna e di gettare le reti su chi le chiede maternità  resterà un mistero, fino a quando non saranno svelati i pensieri di molti cuori che hanno tradito e condannato Padre Gino Burresi.

Arriverà quel giorno, quando la spada trafiggerà loro l'anima per far fuoruscire finalmente la verità che tutti attendiamo.

Riccardo Sante Maria Fontana

Mina - E poi verrà l'autunno (live 1968) - YouTube

 

 

 

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31 marzo 2020 2 31 /03 /marzo /2020 17:06

 

PADRE GINO BURRESI CADE SOTTO LA CROCE

 

 

 

III^ STAZIONE
Gesù cade sotto la croce
 

 

 

"Ho inciampato
e la chiesa non mi sta
raccogliendo.
Solitudine a me dona,
a lei che avevo chiesto
Maternità"

 

 

Il castigo che ci dà la salvezza si è abbattuto su di Lui: per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
"Sono curvo e accasciato. Palpita il mio cuore, la forza mi abbandona, si spegne la luce nei miei occhi. Amici e compagni si scostano dalle mie piaghe, i miei vicini stanno a distanza; poiché io sto per cadere".

 

Perché la Chiesa di Papa Benedetto XVI e di Papa Francesco non hanno aiutato Padre Gino Burresi a rialzarsi dopo la caduta sotto la croce?

Perché  l'hanno tenuto a distanza per così tanti anni, fino alla sua morte?

Perché  i suoi vicini si sono scostati da lui?

 

Riccardo Sante Maria Fontana

 

 

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31 marzo 2020 2 31 /03 /marzo /2020 15:52

 

PADRE GINO BURRESI E' CARICATO DELLA CROCE

 

 

II^ STAZIONE
Gesù è caricato della croce
 
 
 

 

"Dopo averlo schernito, i soldati spogliarono Gesù della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Dice Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua"."

 

 

Beati coloro che hanno avuto il coraggio di toccare Gesù, dopo la sua condanna.

 

Ecco cosa scriveva Padre Gino Burresi a proposito del toccare Gesù e dell'essere da lui toccati:

"Se sono ricco del dono della fede non devo aver paura di toccare Gesù, ma farò come quella donna inferma da anni che Lo tocca e ne rimane guarita.

E neppure avrò paura che Gesù mi tocchi, anzi sarò molto contento che Gesù mi tocchi bene.

Mi tocchi bene affinché sia distrutto bene tutto ciò che mi rende indegno di Lui.

Via pertanto tutto quell'orgoglio in qualsiasi modo mi si presenti, sia sotto la pelle d'agnello, sia come torre campanaria di una superbia che non vuole mai il suo tramonto!"

 

 

 

https://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12429-toccati-gesu

 

 

 

Toccare ed essere toccati da Gesù

Che cos’è l’impurità? Quando una persona è impura, cioè indegna di stare con gli altri e con Dio? Quando una persona è “segnata” da una situazione malefica? E potremmo continuare a porre domande simili o parallele, perché da sempre questi interrogativi emergono nei nostri cuori nelle differenti situazioni della nostra vita. E le risposte che noi esseri umani abbiamo dato, e magari ancora diamo, non sempre riflettono la volontà del Creatore, i sentimenti di Dio. Purtroppo le vie religiose tracciate dall’umanità spesso riflettono non il pensiero di Dio, ma sono piuttosto il frutto di sentimenti umani per i quali si sono trovate giustificazioni fonte di alienazione o di separazione tra gli umani.

In questi percorsi, il sangue, segno della vita negli animali e negli umani, ha attirato fortemente l’attenzione su di sé. Ognuno di noi è nato nel sangue che fluisce dall’utero della madre e ognuno di noi muore quando il suo sangue non scorre più. Ecco dunque, al riguardo, la Legge e le leggi: il sangue che esce da una donna nel mestruo o alla nascita di un figlio la rende impura, così come ognuno quando muore entra nella condizione di impurità, perché preda della corruzione del proprio corpo. Il sangue rende impuri, rende indegni, e questa per una donna è una schiavitù impostale dalla sua condizione secondo la Legge, dunque – dicono gli uomini religiosi – da Dio. La donna impura per il mestruo o per la gravidanza non toccherà cose sante, non entrerà nel tempio (nel Santo) e per purificarsi dovrà offrire un sacrificio; anche chi toccherà una donna impura sarà reso impuro (cf. Lv 12,1-8; 15,19-30), impuro come un lebbroso e chi lo tocca, impuro come un morto e chi lo tocca. Di qui ecco barriere, muri, separazioni innalzati tra persona e persona, ecco l’imposizione dell’esclusione e dell’emarginazione. Certo, “a fin di bene”, per evitare il contagio, per instaurare un regime di immunitas: ma al prezzo della creazione di uno steccato e dell’indegnità-impurità posta come sigillo su alcune persone! Anche le misure di precauzione finiscono per diventare una condanna…

Ma Gesù è venuto proprio per far cadere queste barriere: egli sapeva che non è possibile che il sangue di un animale offerto in sacrificio possa togliere il peccato e rendere puri, mentre il sangue di una donna versato per il naturale ciclo mestruale o il corpo di un morto di cui occorre avere cura possano generare impurità, indegnità di stare con gli altri e davanti a Dio. Per questo i vangeli mettono in evidenza che Gesù non solo curava e guariva i malati, gli impuri, come i lebbrosi o come le donne colpite da emorragia, ma li toccava e da essi si faceva toccare. Gesù abolisce ogni sorta di separazione voluta dalla logica sacrale, poiché egli non era un uomo sacrale come i sacerdoti, essendo un ebreo laico, non di stirpe sacerdotale, e poiché vedeva nelle leggi della sacralità una contraddizione alla carità, alla relazione così vitale per noi umani. Amare l’altro vale più dell’offerta a Dio di un sacrificio (cf. Mc 12,33; 1Sam 15,22), essere misericordiosi è vivere il precetto, il comandamento dato dal “Dio misericordioso (rachum) e compassionevole (channun)” (Es 34,6). In Gesù c’era la presenza di Dio, dunque lui era “il Santo di Dio” (Mc 1,24; Lc 4,34; Gv 6,69), ma egli non temeva di contrarre l’impurità; al contrario, egli proclamava e mostrava che la santità di Dio santifica anziché rendere impuri, consuma e brucia il peccato e l’impurità, perché è una santità che è misericordia (cf. Os 11,9: “Io sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira”). In questa azione di Gesù, inoltre, è impossibile non vedere una liberazione della donna da schiavitù e alienazioni imposte dalla cultura dominhttps://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12429-toccati-gesuante.

Per questo Gesù lasciava che i malati lo toccassero, avessero contatto con il suo corpo (cf. Mc 6,56; Mt 14,36), per questo egli toccava i malati: tocca il lebbroso per guarirlo (cf. Mc 1,41 e par.), tocca gli orecchi e la lingua del sordomuto per aprirli (cf. Mc 7,33), tocca gli occhi del cieco per ridargli la vista (cf. Mc 8,23.25), tocca i bambini e impone le mani su di loro (cf. Mc 10,13.16 e par.), tocca il morto per risuscitarlo (cf. Lc 7,14); e a sua volta si lascia toccare dai malati, da una prostituta, dai discepoli, dalle folle… Toccare, questa esperienza di comunicazione, di con-tatto, di corpo a corpo, azione sempre reciproca (si tocca e si è toccati, inscindibilmente!), questo comunicare la propria alterità e sentire l’altrui alterità… Toccare è il senso fondamentale, il primo a manifestarsi in ciascuno di noi, ed è anche il senso che più ci coinvolge e ci fa sperimentare l’intimità dell’altro. Toccare è sempre vicinanza, reciprocità, relazione, è sempre un vibrare dell’intero corpo al contatto con il corpo dell’altro.

Le due azioni di Gesù riportate da Marco nel brano evangelico di questa domenica sono unite tra loro proprio dal toccare: Gesù è toccato da una donna emorroissa e tocca il cadavere di una bambina. Due azioni vietate dalla Legge, eppure qui messe in rilievo come azioni di liberazione e di carità. Questo toccare non è un’azione magica, bensì eminentemente umana, umanissima: “Io tocco, dunque sono con te!”. Mentre Gesù passa con la forza della sua santità in mezzo alla gente, una donna malata di emorragia vaginale pensa di poter essere guarita toccando anche solo il suo mantello, il tallit, lo scialle della preghiera. Ciò avviene puntualmente, e allora la donna, impaurita e tremante, nella convinzione di aver fatto un gesto vietato dalla Legge, un atto che rende impuro Gesù, una volta scoperta scoperta confessa “il peccato” da lei commesso. Ma Gesù, che con il suo sguardo la cerca tra la folla, udita la confessione le dice con tenerezza e compassione: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”. Egli si comporta così non per infrangere la Legge, ma perché risale alla volontà di Dio, senza fermarsi alla precettistica umana. E se Dio era sceso per liberare il suo popolo in Egitto, terra impura, abitata da gente impura, anche Gesù sente di poter stare tra impuri e di poterli incontrare, dando loro la liberazione. Per questo egli ha sentito uscire da sé “un’energia” (dýnamis) quando la donna l’ha toccato, perché la sua santità passava in quella donna impura.

Subito dopo Gesù viene condotto nella casa del capo della sinagoga Giairo, dove giace la sua figlioletta di dodici anni appena morta. Portando con sé solo Pietro, Giacomo e Giovanni, appena entrato in casa sente strepito, lamenti e grida per quella morte; allora, cacciati tutti dalla stanza, in quel silenzio prende la mano della bambina e le dice in aramaico: “Talità kum”, “Ragazza, io ti dico: Alzati!”. Anche qui la santità di Gesù vince l’impurità del cadavere, vince la possibile corruzione e comunica alla bambina una forza che è resurrezione, possibilità di rimettersi in piedi e di riprendere vita. Nella sua attenzione umanissima, poi, Gesù ordina che a quella bambina sia dato da mangiare, quasi che lei stessa abbia faticato per rispondere alla santità di Gesù, il quale le comunica quell’energia divina di cui è portatore.

Toccare l’altro è un movimento di compassione;
toccare l’altro è desiderare con lui;
toccare l’altro è parlargli silenziosamente con il proprio corpo, con la propria mano;
toccare l’altro è dirgli: “Io sono qui per te”;
toccare l’altro è dirgli: “Ti voglio bene”;
toccare l’altro è comunicargli ciò che io sono e accettare ciò che lui è;
toccare l’altro è un atto di riverenza, di riconoscimento, di venerazione.

Dalla contemplazione di questa pagina del vangelo ci viene rivelato che la nostra carne, il nostro corpo non era indegno di Dio: per questo il Figlio di Dio si fece carne (cf. Gv 1,14), non in modo apparente ma in modo reale e autentico. È la nostra carne che è diventata la carne di Dio, e Gesù, il Figlio, l’ha assunta non come un peso da cui liberarsi tornando al Padre, ma come un mezzo per incontrare l’umanità, per essere nostro fratello in piena solidarietà, uguale a noi in tutto eccetto che nel peccato. È grazie a questa carne che Gesù ha potuto toccare ed essere toccato, vivere il sentimento della misericordia e della compassione e rivelarci la vicinanza e la tenerezza di Dio. Anche noi come suoi discepoli e sue discepole, anche la chiesa deve “osare la carne” e saper abbracciare, toccare, curare la “carne di Cristo”nei sofferenti, nei malati, nei peccatori, in tutti i corpi degli uomini e delle donne che, con grida forti o mute, invocano la salvezza delle loro vite.

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31 marzo 2020 2 31 /03 /marzo /2020 15:20

PADRE GINO BURRESI VIENE PROCESSATO

 

Se Gesù è stato processato una sola volta, Padre Gino Burresi ha subito più di un processo, ovvero un processo a più riprese.

C'è stato un vero accanimento contro di lui.

Però c'è stato anche qualcuno che ha speso una buona parola per lui, ma non è stato ascoltato.

Padre Gino Burresi citava spesso un proverbio cinese che dice che "una buona parola riscalda un uomo per tre inverni."

 

Riccardo Sante Maria  Fontana

 

Fabrizio De André - Inverno ~Con Testo Lyrics HD~ - YouTube

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31 marzo 2020 2 31 /03 /marzo /2020 14:55

 

https://www.tempi.it/questo-e-il-luogo-dove-gesu-e-stato-processato/

 

«Questo è il luogo dove Gesù è stato processato»

Da pochi giorni sono visitabili i resti del palazzo di Erode a Gerusalemme. Intervista all’archeologo statunitense Shimon Gibson, che ci spiega cosa spinge gli studiosi a ritenerlo il luogo del processo a Cristo

Una stazione della via Crucis a Gerusalemme

Da neanche una settimana nella città vecchia di Gerusalemme, accanto alla porta di Giaffa, sono visibili al pubblico per la prima volta i resti del palazzo di Erode il Grande, scoperti nel 2000 durante gli scavi alla Torre di David. Avvolto per anni nel mistero, quel palazzo (costruito nel 25 a.C.) sarebbe stato occupato all’epoca in cui visse Gesù dal procuratore romano a Gerusalemme Ponzio Pilato, e proprio qui Cristo potrebbe essere stato processato e condannato alla crocifissione. Ne è convinto per esempio l’archeologo statunitense Shimon Gibson, da anni impegnato a Gerusalemme in diversi scavi: «Mancano le iscrizioni che confermino con certezza cosa sia successo in quel luogo, ma tutti gli indizi, archeologici, storici ed evangelici, fanno pensare che fosse proprio questo il luogo del processo a Gesù», dice. Gibson, docente di Archeologia all’Università del North Carolina e capo del dipartimento archeologico dell’Università della Terra Santa, racconta a tempi.it il lungo lavoro con cui ha unito uno per uno, in quindici anni, i tasselli della ricerca storica fino a convincersi che il palazzo di Erode «sia il luogo dove Gesù è stato processato».

 

Lei ha svolto un’ampia indagine, incrociando testi evangelici e di storici. Quali indizi l’hanno convinta?
Tito Flavio Giuseppe (37-100 d.C.), uno storico romano di origine ebraica, nel 70 d.C. scriveva: «Pilato, dopo aver sentito che costui (Gesù) era accusato dagli uomini di più alto rango, lo aveva condannato». Il più celebre Tacito, intorno al 115 d.C., cioè 80 anni circa dopo la morte di Cristo conferma: «Cristo era stato condannato alla pena di morte durante il regno di Tiberio, per sentenza del procuratore Ponzio Pilato, e la rovinosa superstizione (il cristianesimo, ndr) fu momentaneamente soffocata». Passiamo alla descrizione nei documenti dei luoghi di questa condanna. Anzitutto sappiamo, da tutti i Vangeli, che dopo l’arresto al Getsmani Gesù fu portato nella casa del sacerdote Caifa per essere interrogato. Nel vangelo di Giovanni (18; 15-19) si apprende che «lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno». L’esatta locazione della casa di Caifa non è nota: tuttavia, la tarda tradizione bizantina l’ha collocata nella zona occidentale della città, proprio non lontano dai resti del palazzo abitato dall’allora governatore romano. Il vangelo di Marco non dice molto sul luogo in cui si tenne il processo, se non che la folla «accorse» da Pilato, «mentre egli sedeva in tribunale» (Mc, 15; 8). Matteo aggiunge però che Pilato «sedeva sul suo scranno in tribunale», in greco il “bema”. È un primo indizio. Lo scranno di Pilato potrebbe essere della stessa specie di quello usato dal figlio di Erode il Grande, il tetrarca Filippo, descritto dallo storico romano Flavio Giuseppe che raccontava si trovasse nel palazzo di Erode: «Il trono su cui sedeva quando emetteva giudizi lo seguiva ovunque egli andasse».

Gerusalemme_cartina_Shimon Gibson
Una cartina elaborata dal professor Gibson mostra sull’angolo a sinistra l’area del palazzo di Erode, comprendente un praetorium. Con i trattini viene indicato il probabile percorso della via verso il Golgota
 

Passiamo al secondo indizio.
Nel Vangelo di Marco si ha l’impressione che il processo a Gesù si sia tenuto in un’area all’aperto, dato che leggiamo: «Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la corte» (Mc 15; 16). La stessa impressione si ha nel testo di Matteo: «Allora i soldati condussero Gesù nel pretorio, e radunarano attorno tutta la coorte» (Mt 27; 27). Alcuni studiosi hanno in passato ritenuto che il pretorium fosse un edificio interno. Ma una coorte romana in media raggruppava 600 soldati e sarebbe servito un luogo più ampio, aperto. In effetti, secondo Flavio Giuseppe il palazzo di Erode aveva un’area residenziale verso nord, protetta da tre alte torri (i resti di una delle quali sono oggi stati recuperati) e da un muro di difesa, con un largo e meraviglioso giardino, e un accampamento militare, cioè proprio un “praetorium”. Accanto al palazzo sono stati ritrovati i resti di una porta, che io ritengo essere quella “degli Esseni”: una porta che avrebbe rappresentato una via d’accesso speciale per il re Erode, poi per il Governatore, e per i soldati e accanto alla quale sono stati ritrovati i resti di un’ampia corte dove potrebbe essersi radunata la folla all’epoca del processo. Il palazzo consisteva di due ali gemelle, cioè due palazzi squadrati. Le zone di servizio, come le cucine o i magazzini, si trovavano a nord del palazzo nell’area attualmente occupata dalla corte della cittadella e corrispondono con i resti visibili oggi. Il palazzo era elevato proprio su un imponente piattaforma, parte della quale ora è stata scoperta con gli scavi archeologici sotto il Giardino Armeno. Si tratta di un terzo importante indizio.

Perché?
I governatori romani, nei territori controllati, dispensavano la giustizia in un’arena pubblica, come una corte, o una piazza adiacente il praetorium, con uno scranno del giudice posto su una piattaforma rialzata, cui si accedeva da una scalinata. È questo che in latino viene definito “tribunale”, con la stessa parola usata nei vangeli. Il palazzo di Erode calzerebbe perfettamente a questa descrizione del tribunale, ma anche a quella evangelica. Il vangelo di Giovanni offre infatti ulteriori informazioni sul luogo in cui si è tenuto il processo: «Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi (i sacerdoti, ndr) non vollero entrare per non contaminarsi. Uscì dunque Pilato verso loro»; «Pilato allora rientrò nel pretorio» (Gv 18; 28-29). Ci suggerisce che il processo ebbe luogo in uno spazio aperto dove si trovava la folla dei Giudei infiammata, con Pilato che interrogava Gesù all’interno del palazzo, al piano del pretorio, dove Cristo fu anche flagellato. Poi Giovanni aggiunge: «Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale (in greco “bema”, cioè lo scranno), nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà». Gabbatà, secondo lo storico Flavio Giuseppe, in aramaico significava “luogo elevato”, ed è così che egli descriveva il tribunale usato dai romani proprio in una parte del palazzo di Erode. Uno strato di roccia su una parte del sito corrisponde esattamente al luogo elevato descritto come tribunale dallo storico e dall’evangelista Giovanni. Litòstroto in greco significa invece pavimento lastricato di pietre. Il luogo scoperto oggi contiene proprio una corte interna pavimentata in pietre. In effetti il palazzo sarebbe stato il luogo ideale per condurre un processo pubblico, seppur sommario, perché l’accampamento militare o “praetorium” e le tre torri consentivano ai romani di monitorare la folla accalorata radunata nella vicina corte. Molto probabilmente Gesù fu caricato della croce nel praetorium accanto al palazzo, e da lì condotto verso la Porta Gennath o del Giardino, da cui fu fatto salire al Golgota.

Tuttavia nella via crucis attuale, sin dal medioevo si considera come tribunale il luogo chiamato “Fortezza Antonia”. Perché secondo lei non sarebbe quello giusto?
È molto difficile che fosse quello dal momento che serviva principalmente come torre di osservazione militare. Si affacciava sul Monte Tempio, l’attuale spianata delle moschee, e i soldati potevano da lì tenere sempre d’occhio la folla dei fedeli, per evitare insurrezioni o proteste. La torre era sì elevata, ma era troppo stretta per servire da residenza del governatore e da quartier generale dei soldati. Della struttura non è sopravvissuto quasi nulla se non la base in roccia, che ho misurato personalmente: 90 metri per 40, contro i 140 metri per 140 del palazzo di Erode che hanno convinto maggiormente la quasi unanimità degli archeologi.

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31 marzo 2020 2 31 /03 /marzo /2020 09:06

I^ STAZIONE

Gesù dinanzi al sinedrio e a Pilato è condannato a morte
 
 

 

"Venuta mattina, tutti i gran sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire e, legatolo, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato.
Pilato, sapendo che Gesù era un galileo, lo inviò dal Re Erode per farlo giudicare, ma Erode riconoscendo Gesù un falso Re, dopo avergli messo un mantello color porpora sopra le spalle, lo rimandò da Pilato.
Pilato, dal pretorio, fece condurre fuori Gesù, che portava la corona di spine e il mantello di porpora, e sedette nel tribunale. Era la preparazione della Pasqua. Disse ai Giudei: "ecco il vostro re!". Ma quelli gridarono: "Via, via, crocifiggilo". E insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita, e abbandonò Gesù alla loro volontà."

 

 

Carissimi!

Ho intenzione di ripercorre questa Via Crucis con il vostro aiuto. Per ogni stazione potete inviare, come commento o tramite contatti, le vostre riflessioni, che provvederò ad aggiungere qui e nelle seguenti stazioni.

Possono essere anche dei ricordi di quando

partecipavamo ogni anno alle vie crucis al Santuario di San Vittorino.

C'è qualcuno che vuole condividerli qui con me?

Io li aspetto con fiducia.

Il testo della canzone lo inserirò alla fine, quando avrò recepito il vostro contributo alla via crucis.

Grazie.

Riccardo Sante Maria Fontana

 

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  • : RIABILITAZIONE POST MORTEM DI PADRE GINO BURRESI
  • : Riabilitazione post mortem di Padre Gino Burresi Firma la Petizione https://petizionepubblica.it/pview.aspx?pi=IT85976 "Sono dentro, donna o uomo che vive li nel seno di questa chiesa. Da me amata, desiderata e capita... Sono dentro. Mi manca aria, Aspetto l'alba, Vedo tramonto. La chiesa dei cardinali madri per gioielli, matrigne per l'amore. Ho inciampato e la chiesa non mi sta raccogliendo. Solitudine a me dona, a lei che avevo chiesto Maternità. E l'anima mia, Povera, Riconosce lo sbaglio di aver scelto il dentro e, Vorrei uscire ma dentro dovrò stare, per la madre che non accetta, Il bene del vero che ho scoperto per l'anima mia. Chiesa, Antica e poco nuova, Barca in alto mare, Getta le reti Su chi ti chiede maternità. Madre o matrigna, per me oggi barca in alto mare che teme solo di Affondare! Matrigna." Commento n°1 inviato da Giò il 2/04/2011 alle 14h27sul post: http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-la-chiesa-di-oggi-ci-e-madre-o-matrigna-67251291
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