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5 aprile 2020 7 05 /04 /aprile /2020 07:30

 

AL CORONAVIRUS LA PALMA DELLA VITTORIA

 

 

 

Cari visitatori!

 

Auguro a tutti voi una buona Domenica delle Palme.

 

La auguro proprio a tutti, nessuno escluso.

 

E in quel "tutti" sono compresi i praticanti, i non praticanti, i cristiani, i protestanti, gli atei eccetera eccetera.

 

Perché il coronavirus ci ha riuniti tutti nello stesso destino.

 

Chi non andava a messa e per questo era considerato un peccatore, oggi non lo è più, perché anche i praticanti adesso sono nella condizione di non poterci andare.

 

Sulla mancanza delle messe a causa del Covid- 19 sono forse più i non praticanti o addirittura gli atei a farsi delle domande.

 

Dal canto mio, pur rispettando i divieti e le restrizioni dettati dai decreti governativi, a cui si è spontaneamente sottoposta anche la Chiesa cattolica, non posso tuttavia non pensare alla perdita di potere spirituale che la Chiesa potrebbe registrare in futuro.

 

Mi spiego meglio. E per fare questo parto dal comando rivolto da Gesù ai suoi apostoli:

 

Andate, guarite e predicate (Gesù di Nazareth)

 

Ora cito un passaggio tratto dal "Manuale di guarigione spirituale"

 

"Purtroppo la Chiesa, con il passare dei secoli, si è sempre più focalizzata sulla diffusione del messaggio cristiano, accantonando ciò che può giustamente essere chiamato il Ministero della Guarigione.

 

Questo fatto, nel tempo, ha creato l’erronea idea che il Potere Guaritore di Dio sia stato accessibile solo ai pochi, e privilegiati, che sono vissuti ai tempi di Gesù.


Non è qui il caso di valutare quanto l’inadempimento di questo comandamento, dato dallo stesso Gesù Cristo sia stato dannoso, è sufficiente guardarsi intorno per scoprire quanti malati confidino soltanto nell’abilità del medico curante, quanto la loro vita sia tinta da timori e come la loro anima ospiti ben altro della pace che Gesù promise a chi avrebbe confidato il Lui (Gv. 14:27 – 16:33)."

 

Proprio prendendo le mosse da queste citazioni, mi viene naturale chiedermi dov'è rimasto il coraggio che Gesù chiede alla Sua Chiesa.

 

Se i successori degli apostoli, vescovi e cardinali, vivessero in uno stato di grazia tale, da poter essere superiori alle malattie, potendole guarire con il potere loro conferito da Gesù:

 

"Andate, guarite e predicate",

 

perché allora avere paura?

 

Se analizzate bene la preghiera di Giò del 2 aprile 2011, rivolta alla Chiesa, che potete leggere qui a fianco, capirete che essa è adatta anche ai nostri tempi cadenzati dal coronavirus.

 

"Sono dentro, donna o uomo che vive li nel seno di questa chiesa. Da me amata, desiderata e capita... Sono dentro. Mi manca aria, Aspetto l'alba, Vedo tramonto. La chiesa dei cardinali madri per gioielli, matrigne per l'amore. Ho inciampato e la chiesa non mi sta raccogliendo. Solitudine a me dona, a lei che avevo chiesto Maternità. E l'anima mia, Povera, Riconosce lo sbaglio di aver scelto il dentro e, Vorrei uscire ma dentro dovrò stare, per la madre che non accetta, Il bene del vero che ho scoperto per l'anima mia. Chiesa, Antica e poco nuova, Barca in alto mare, Getta le reti Su chi ti chiede maternità. Madre o matrigna, per me oggi barca in alto mare che teme solo di Affondare! Matrigna."

 

Parafrasandola potrei dire:

 

Gesù si trova dentro la Chiesa.

Egli è un uomo o una donna come noi.

Egli ama, desidera e capisce la Sua Chiesa.

A causa del coronavirus è costretto a vivere chiuso nel tabernacolo e Gli manca l'aria.

Non sa nemmeno più se la Sua Chiesa lo farà risorgere o lo lascerà chiuso nel sepolcro oltre l'alba che dovrebbe scorgere alla Sua Resurrezione.

Il Coronavirus potrebbe segnare il tramonto della Sua Chiesa, se questa non reagisce col potere di guarigione che Lui le ha dato.

Ma i cardinali pensano più a non perdere le loro ricchezze anziché farsi pescatori di uomini.

 

Nella Via Crucis a Piazza San Pietro Gesù cadrà sotto la croce, ma Papa Francesco è troppo debole per aiutarLo a rialzarsi.

E così Gesù continuerà a restare solo, senza nemmeno più la compagnia dell'umanità, per la quale Egli ha chiesto alla Chiesa di esserle materna.

 

Gesù, che vorrebbe uscire e farsi donare agli altri tramite la Chiesa, deve rimanere prigioniero, perché la Chiesa, come una barca spinta in alto mare dalle onde del coronavirus, non getta le reti per fare una pesca miracolosa, portando in salvo chi le chiede maternità, ma ha solo paura di affondare, perché  non sente più Gesù vicino a sé.

La Chiesa deve quindi domandarsi se vuole essere una Madre o una matrigna.

 

Vi saluto e vi ringrazio dell'attenzione.

 

Riccardo Sante Maria Fontana

Renato Zero - Il coraggio delle idee - YouTube

 

 

 

 

 

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4 aprile 2020 6 04 /04 /aprile /2020 18:19

UNA POESIA DEDICATA ALL'ULIVO BENEDETTO

 

 

Domenica delle Palme senza palme e ulivi: perché il Covid-19 provoca anche questo.

Domani la Chiesa, nel rispetto del decreto governativo e delle varie circolari ministeriali, continuerà a celebrare a porte chiuse le messe, rinunciando alla consueta benedizione e distribuzione degli ulivi.

«Le disposizioni della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti prevedono che quest’anno la commemorazione dell’ingresso del Signore a Gerusalemme nelle chiese parrocchiali va fatta adottando la terza forma prevista dal Messale Romano: quindi soltanto con l’antifona di ingresso propria, senza processione o ingresso solenne, neanche all’interno della chiesa, e di conseguenza senza l’utilizzo dei rami di ulivo o di palma.

 

I parroci sono chiamati ad osservare questa scelta, e dunque a non organizzare alcun tipo di distribuzione dell’ulivo, neanche tramite buste o sacchetti: infatti, se già in tempi ordinari questo modo di distribuire l’ulivo è inadatto, in quanto slegato dalla commemorazione rituale dell’ingresso in Gerusalemme, tanto più oggi sarebbe inappropriato, visto che non è possibile fare né la processione né l’ingresso solenne».

 

L'Ulivo Benedetto

 

Oh, i bei rami d’ulivo! chi ne vuole?
Son benedetti, li ha baciati il sole.
In queste foglioline tenerelle
vi sono scritte tante cose belle.
Sull’uscio, alla finestra, accanto al letto
metteteci l’ulivo benedetto!
Come la luce e le stelle serene:
un po’ di pace ci fa tanto bene.

 

Giovanni Pascoli

Entriamo a Gerusalemme - YouTube

 

 

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3 aprile 2020 5 03 /04 /aprile /2020 21:43

 

https://www.ilgiornale.it/news/vi-racconto-mia-quaresima-nell-era-dell-happy-hour.html

 

Vi racconto la mia Quaresima nell’era dell’happy hour

di Camillo Langone

 

In un’epoca in cui si parla più del Ramadan che dei quaranta giorni di penitenza dei cattolici, c’è ancora qualcuno che rispetta il precetto del digiuno: il venerdì pane e acqua senza gas

 

Sì, sono un anormale. Non che abbia mai avuto dubbi in proposito, sono da sempre consapevole di essere un po’ strano: il calcio non mi interessa, non possiedo un’automobile, non guardo la televisione e le sere d’inverno, quando in Val Padana l’umido minaccia di entrare nelle ossa, esco in tabarro.

 

Ve lo ricordate? Il rustico mantello nero sfoggiato da Verdi e da Guareschi, che io ho arricchito con un bel collo di astrakan, tanto per dare un dispiacere agli animalisti. Da quando è iniziata la quaresima la gente mi guarda strano, più strano del solito. Il motivo è che ogni venerdì digiuno a pane e acqua, cosa piuttosto difficile da nascondere avendo il sottoscritto una discreta vita sociale.

Se un eremita digiuna quaranta giorni e quaranta notti, come Gesù nel deserto, non se ne accorge nessuno. Se io la sera entro in vineria e al posto delle ostriche francesi o dei prediletti formaggi erborinati chiedo una fetta di pane e un bicchier d’acqua del rubinetto, ecco che faccio la figura dell’eccentrico, dell’esibizionista. Venerdì prossimo verranno a trovarmi dei signori da Bergamo, dobbiamo metterci d’accordo per l’organizzazione di un convegno. Arriveranno in tarda mattinata, già pregustando la cucina parmigiana, e non posso mica deluderli, all’una mi toccherà portarli in trattoria. Dietro mio consiglio i bergamaschi ordineranno salami strolghini e tortelli di zucca (se è ancora buona, altrimenti di erbette o di patate) e Lambrusco e Sangiovese e Nocino, io invece una bottiglia di acqua naturale, perché l’aggiunta di anidride carbonica mi sembra una pericolosa deroga al digiuno stretto. Dubito che San Francesco bevesse acqua gasata: non che io voglia imitarlo, delle stimmate faccio volentieri a meno, ma quando si fa qualcosa è giusto farlo senza trucchi.

Devo stare attento a questi dettagli, già mi hanno riferito voci di calunniatori, orribili persone secondo le quali io faccio il furbo e una volta tornato a casa, al riparo da sguardi indiscreti, mi metto a stappare barbere e affettar culatelli. Praticamente mi accusano di prendere in giro Cristo. Meno male che non me lo dicono in faccia, non potrei garantire una reazione pacifica: è il Natale che rende più buoni, la Quaresima semmai rende più mistici, che non è la stessa cosa, santa Giovanna d’Arco parlava con l’arcangelo Michele e subito dopo impugnava lo spadone, e lo usava. Mi innervosiscono anche quelli che mi chiedono perché lo faccio, però tocca rispondere, insegnare agli ignoranti è la seconda opera di misericordia spirituale. Gli italiani sono in maggioranza ateo o ateosimili, non contano le statistiche, il numero dei battesimi, dei matrimoni religiosi, dei funerali in chiesa, contano la soppressione per sete della disabile Eluana Englaro (nell’Italia cattolica sarebbe stata impedita da una sollevazione popolare) e, nel suo piccolo, lo stupore che il mio digiuno suscita.

Il digiuno quaresimale non è nulla di straordinario, è semplicemente un precetto, un dovere del cristiano, lo si trova nel catechismo, nel codice di diritto canonico, nei libri dei Padri della Chiesa, nelle vite dei Santi, lo si trova ovunque salvo che nella testa e nella pancia di alcuni milioni di cattolici-fai-da-te, ex cattolici e semicattolici seguaci di una religione personale che se ne frega del Vangelo e del Papa preferendo ascoltare il cardinale Martini e la voce dei propri colesterolici comodi. Perfino una studentessa di teologia mi ha guardato come fossi matto o lefebvriano: matto può darsi, lefebvriano no di sicuro, mi fa senso la maligna ambiguità di chi ha tradito la Chiesa in nome della fedeltà alla Chiesa. È scritto, non me lo sono mica inventato io: «Si osservi l’astinenza dalle carni in tutti i singoli venerdì dell’anno; l’astinenza e il digiuno, invece, il mercoledì delle Ceneri e il venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo». Se poi qualche prete omette di ricordarlo, la domenica dal pulpito, è un problema suo, io me lo ricordo perfettamente. Anche perché è bellissimo. Il digiuno quaresimale è talmente bello che forse è da sconsigliare a chi soffre di tendenze anoressiche, potrebbe prenderci troppo gusto.

Il primo giorno ti sembra di impazzire e aspetti la mezzanotte per avventarti sul cibo più grasso e insano che trovi in frigorifero ma già il venerdì successivo le cose vanno meglio, percepisci che stai disintossicando il corpo e l’anima. Sia chiaro, non basta il digiunino senza carne che è il minimo sindacale (in giro si friggono cotolette che rinunciarvi non è un sacrificio, è un premio). Certi fioretti sono più patetici che ascetici, c’è una mia amica con tanti rotoli di ciccia che in quaresima rinuncia ai dolci e nel suo caso non è un digiuno, è una dieta. Per non parlare delle quaresime alternative predicate da vescovi e preti con l’ansia da aggiornamento: l’astinenza dagli sms, l’astinenza da facebook... Ideuzze modaiole che nascono e muoiono sui media. Bisogna ascoltare la Madonna che da Medjugorje invoca il digiuno pane e acqua, ventiquattr’ore senza niente altro. E allora sì che cambi, che ti elevi, liberandoti dalle zavorre del ticket restaurant, dal panino prosciutto mozzarella indigeribile, dallo spumantino acido che brucia lo stomaco, dal caffè che raschia i nervi. Non si può servire Dio e Trippona contemporaneamente. Nessuno ha mai avuto visioni celesti dopo essersi riempito fino all’orlo di polenta e costine, casomai incubi. Io non aspiro a tanto, però il venerdì percepisco che tutte le energie di solito impegnate nella digestione affluiscono altrove, dallo stomaco allo spirito. Con effetti sul mondo circostante. Una giornalista del Corriere della Sera mi ha telefonato il mercoledì delle Ceneri all’ora di pranzo, scusandosi per il momento inopportuno. Nessun problema, ho risposto, oggi digiuno a pane e acqua, nemmeno mi siedo a tavola. Dall’altra parte c’è stato un lungo silenzio imbarazzato. L’avrò traumatizzata ma adesso sa che anche nel 2009, anche in Italia, ci sono persone che ogni tanto cercano di seguire Cristo. Magari adesso digiuna anche lei.

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3 aprile 2020 5 03 /04 /aprile /2020 17:52

 

IL SUICIDIO DI GIUDA SECONDO MARIA VALTORTA

 

VOLUME X CAPITOLO 605

 

DCV. Disperazione e suicidio di Giuda Iscariota. Avrebbe ancora potuto salvarsi se si fosse pentito.

   31 marzo 1944. Venerdì di Passione, ore 2 ant.ne

 1 Ecco la mia penosissima visione di queste prime ore del Venerdì di Passione, presentatamisi mentre facevo l'Ora di Maria Desolata, perché avevo pensato che passare la notte, che precede la Professione, in compagnia della Vergine dei Sette Dolori fosse la più bella preparazione alla Professione.
 2 Vedo Giuda. È solo. Vestito di giallo chiaro e con un cordone rosso alla vita. Il mio interno ammonitore mi avverte che da poco è stato catturato Gesù e che Giuda, fuggito subito dopo la cattura, è ora in preda ad un contrasto di pensieri. Infatti l'Iscariota pare una belva furente e braccata da una muta di mastini. Ogni sospiro di vento fra le fronde, il frusciare che fa un qualche che per le vie, il gemito di una fontanella, lo fanno sussultare e volgersi con sospetto e terrore, come si sentisse raggiunto da un giustiziere. Gira il capo tenendolo basso, a collo torto, gira gli occhi come chi vuol vedere e ha paura di vedere e, se un giuoco di luna crea un'ombra dalla parvenza umana, egli sbarra gli occhi, fa un salto indietro, diventa anche più livido di quanto non sia, si arresta un istante e poi fugge a precipizio, tornando sui suoi passi, scantonando per altre viuzze, sinché un altro rumore, un altro giuoco di luce, lo fa arretrare e fuggire in altra direzione.
   Nel suo andare pazzo va così verso l'interno della città. Ma un clamore di popolo l'avverte che è presso alla casa di Caifa, e allora, portandosi le mani al capo e curvandosi come se quei gridi fossero altrettante pietre che lo lapidino, fugge, fugge. E nel fuggire prende una stradetta che lo porta diritto verso la casa dove fu consumata la Cena. Se ne accorge, quando è davanti ad essa, per una fontanella che geme a quel punto della via. Il piangere dell'acqua, che goccia e cade nel piccolo bacino di pietra, e un fischio debole di vento, che insinuandosi per la via stretta fa come un represso lamento, gli devono sembrare il pianto del Tradito e il lamento del Suppliziato. Si tappa gli orecchi per non udire e scappa ad occhi chiusi per non vedere quella porta, da cui poche ore avanti è passato col Maestro e dalla quale egli è uscito per andare a prendere gli armati per catturarlo.
 3 Nel correre, così alla cieca, va a urtare contro un cane randagio, il primo cane che vedo da quando ho le visioni, un grosso cane grigio e irsuto, che con un ringhio si scansa, pronto a slanciarsi contro il suo disturbatore. Giuda apre gli occhi e incontra le due pupille fosforescenti che lo fissano e vede il biancore delle zanne scoperte che pare abbiano un riso diabolico. Dà un urlo di terrore. Il cane, che forse lo crede un urlo di minaccia, si avventa, e i due rotolano nella polvere: Giuda sotto, paralizzato dalla paura, il cane sopra. Quando la bestia lascia la preda, giudicata forse indegna di una lotta, Giuda sanguina per due o tre morsi e il suo mantello presenta dei vasti strappi.
   Un morso lo ha proprio addentato alla guancia, nel preciso posto dove egli ha baciato Gesù. La guancia sanguina, e sangue brutta la veste giallognola di Giuda al collo. Gli fa come un collare di sangue, imbibendo di sé il cordone rosso che stringe al collo la veste, facendolo più rosso ancora. Giuda, portandosi la mano alla guancia e guardando il cane che si allontana, ma lo guata dall'insenatura di una porta, mormora: «Belzebù!», e con un nuovo urlo fugge inseguito dal cane per qualche tempo. Fugge sino al ponticello che è prossimo al Getsemani. Qui, sia perché stanco di inseguirlo, sia perché fosse idrofobo e l'acqua lo allontani, il cane lascia la preda e torna indietro ringhiando. Giuda, che si era gettato nel torrente per prendere pietre da scagliare al cane, quando lo vede allontanare si guarda intorno, si vede con l'acqua sino a metà polpaccio. Senza curarsi della veste, che sempre più si bagna, si curva sull'acqua e beve come fosse preso da arsione di febbre, e si lava la guancia che sanguina e deve dolere.
 4 Al lume di un primo svegliarsi di alba risale il greto. Dal­l'altra parte, come avesse ancora paura del cane e non osasse tornare verso la città. Fa qualche metro e si trova nell'ingresso dell'orto degli Ulivi. Grida: «No! No!», riconoscendo il posto. Ma poi, non so per quale forza irresistibile o per quale sadismo satanico e criminale, avanza in quel luogo. Cerca il posto dove è avvenuta la cattura. La terra del sentiero scompigliata da molte pedate, l'erba calpestata in un dato punto e del sangue per terra, forse quello di Malco, lo avvisano che lì egli ha indicato ai carnefici l'Innocente.
   Guarda, guarda… e poi ha un urlo roco e fa un balzo indietro. Grida: «Quel sangue, quel sangue!…», e lo indica… a chi? col braccio teso e l'indice puntato. Nella luce che aumenta il suo volto è terreo e spettrale. Pare un pazzo. Ha gli occhi sbarrati e lucidi come per delirio, i capelli scompigliati dalla corsa e dal terrore sembrano stare irti sul capo, la guancia che va enfiando gli torce la bocca in un ghigno. La veste strappata, insanguinata, bagnata, motosa, perché la polvere si è appiccicata al bagnato ed è divenuta fango, lo fa simile ad un accattone. Il manto, pure lacero e motoso, gli pende giù da una spalla come uno straccio, e in questo egli si impiglia quando, continuando a gridare: «Quel sangue, quel sangue!», arretra come se quel sangue divenisse un mare che monta e sommerge.
   Giuda cade riverso e si ferisce al capo, dietro al capo, contro una pietra. Ha un gemito di dolore e di paura. «Chi è?», grida. Deve aver pensato che qualcuno l'abbia fatto cadere per colpirlo. Si volge con terrore. Nessuno! Si alza. Ora il sangue goccia anche sulla nuca. Il cerchio rosso si allarga sulla veste.
   Non cade in terra, perché è poco. La veste lo beve. Ora il capestro rosso pare già al collo.
 5 Cammina. Ritrova le tracce del fuocherello acceso da Pietro ai piedi di un ulivo. Ma egli non sa che è opera di Pietro e deve credere che lì fu Gesù. Grida: «Via! Via!», e con ambe le mani, tese avanti a sé, pare respingere un fantasma che lo tormenta. Scappa. E va a finire proprio contro il masso dell'Agonia.
   Ormai l'alba è netta e permette vedere bene e subito. Giuda vede il mantello di Gesù rimasto piegato sul masso. Lo conosce. Vuole toccarlo. Ha paura. Stende e ritira la mano. Vuole. Disvuole. Ma quel manto lo affascina. Geme: «No. No». Poi dice: «Sì, per Satana! Sì. Voglio toccarlo. Non ho paura! Non ho paura!». Dice che non ha paura, ma batte i denti dal terrore, e il rumore che fa sul suo capo un ramo d'ulivo, mosso dal vento e urtante contro un tronco vicino, lo fa urlare di nuovo. Pure si sforza e afferra il mantello. E ride. Un riso da pazzo, da demonio. Un riso isterico, spezzato, lugubre, che non finisce mai, perché ha vinto la sua paura.
   E lo dice: «Non mi fai paura, Cristo. Più paura. Avevo tanta paura di Te perché ti credevo un Dio e un forte. Ora non mi fai più paura perché non sei Dio. Sei un povero pazzo, un debole. Non ti sei saputo difendere. Non mi hai incenerito come non hai letto nel mio cuore il tradimento. Le mie paure!… Che stolto! Quando parlavi, anche ieri sera, io credevo Tu sapessi. Nulla sapevi. Era la mia paura che dava tono di profezia alle tue comuni parole. Sei un nulla. Ti sei lasciato vendere, indicare, prendere come un sorcio nella tana. Il tuo potere! La tua origine! Ah! Ah! Ah! Buffone! Il forte è Satana! Più forte di Te. Ti ha vinto! Ah! Ah! Ah! Il Profeta! Il Messia! Il Re d'Israele! E mi hai tenuto soggetto per tre anni! Con la paura sempre nel cuore! E dovevo mentire per ingannarti con finezza quando volevo godere la vita! Ma anche avessi rubato e fornicato senza tutta l'astuzia che usavo, Tu non mi avresti fatto nulla. Imbelle! Pazzo! Vigliacco! Toh! Toh! Toh! Ho avuto torto a non fare a Te quel che faccio al tuo manto per vendicarmi del tempo in cui mi hai tenuto schiavo della paura. Paura di un coniglio!… Toh! Toh! Toh!».
 6 Ad ogni «toh!» Giuda morde e cerca strappare la stoffa del manto. Lo spiegazza fra le mani. Ma nel farlo lo apre e appaiono le macchie che lo bagnano. Giuda si ferma nella sua furia. Fissa quelle macchie. Le tocca. Le fiuta. Sono sangue…-Spiega tutto il mantello. È ben visibile l'impronta lasciata dalle due mani sanguinose quando si premevano la stoffa sul viso.
   «Ah!… Sangue! Sangue! Il suo… No!». Giuda lascia cadere il mantello e guarda intorno. Anche contro il masso, là dove Gesù si è appoggiato con la schiena quando l'Angelo lo confortava, vi è uno scuro di sangue che secca. «Là!… Là!… Sangue! Sangue!…». Abbassa gli occhi per non vedere, e vede l'erba tutta rossa del sangue gocciato su essa. Questo, per la rugiada che lo ha tenuto sciolto, pare appena gocciato. È rosso e brilla al primo sole. «No! No! No! Non voglio vedere! Non posso vedere quel sangue! Aiuto!», e porta le mani alla gola e annaspa come se stesse affogando in un mare di sangue. «Indietro! Indietro! Lasciami! Lasciami! Maledetto! Ma questo sangue è un mare! Copre la Terra! La Terra! La Terra! E sulla Terra non c'è posto per me, perché io non posso vedere quel sangue che la copre. Sono il Caino dell'Innocente!».
 L'idea del suicidio credo sia venuta in questo momento in quel cuore. Il volto di Giuda fa paura.
 7 Si butta dal balzo e fugge per l'uliveto senza tornare per la via già fatta. Pare un inseguito dalle fiere. Torna in città. Si avvolge nel mantello come può e cerca coprirsi la ferita e il volto per quanto può.
   Si dirige al Tempio. Ma, mentre va a quella volta, ad un incrocio di via si trova di fronte alle canaglie che trascinano Gesù da Pilato. Non può ritirarsi, perché altra folla lo preme alle spalle, accorrendo a vedere. E, alto come è, domina per forza e vede. E incontra lo sguardo di Cristo… I due sguardi si allacciano un momento. Poi Cristo passa, legato, percosso. E Giuda cade riverso come svenuto. La folla lo calpesta senza pietà, né egli reagisce. Deve preferire essere calpestato da tutto un mondo anziché incontrare quello sguardo.
 8 Quando la canea deicida è passata col Martire e la via è vuota, si rialza e corre al Tempio. Urta e quasi rovescia una guardia messa alla porta del recinto. Altre guardie accorrono per interdire al forsennato di entrare. Ma egli, come un toro furente, sgomina tutti. Uno, che gli si aggrappa per impedirgli di penetrare nell'aula del Sinedrio, dove sono ancora tutti raccolti a discutere, viene afferrato per la gola, strozzato e gettato, se non morto certo moribondo, giù dai tre scalini.
   «Il vostro denaro, maledetti, non lo voglio», egli urla, ritto in mezzo all'aula, al posto dove prima era Gesù. Pare un demone sbucato dall'inferno. Insanguinato, spettinato, acceso dal delirio, con la bava alla bocca, le mani ad artiglio, egli urla e pare che abbai tanto la sua voce è stridula, roca, ululante. «Il vostro denaro, maledetti, non lo voglio. Mi avete perduto. Mi avete fatto commettere il più grande peccato. Come voi, come voi sono maledetto! Ho tradito il Sangue innocente. Ricada su voi quel Sangue e la mia morte. Su voi… No! Ah!…». Giuda vede il pavimento bagnato di sangue. «Anche qui, anche qui è sangue? Da per tutto! Da per tutto è il suo Sangue! Ma quanto Sangue ha l'Agnello di Dio per coprirne così la Terra e non morirne? Ed io l'ho sparso! Per istigazione vostra. Maledetti! Maledetti! Maledetti in eterno! Maledizione a queste mura! Maledizione a questo Tempio profanato! Maledizione al Pontefice deicida! Maledizione ai sacerdoti indegni, ai dottori falsi, ai farisei ipocriti, ai giudei crudeli, agli scribi subdoli! Maledizione a me! A me maledizione! A me! Tenete il vostro denaro e vi strozzi l'anima nella gola come a me il capestro», e getta la borsa in faccia a Caifa e va con un urlo, mentre le monete suonano spargendosi al suolo dopo aver colpito a sangue la bocca di Caifa.
   Nessuno osa trattenerlo.
 9 Esce. Corre per le vie. E fatalmente torna ad incrociare altre due volte Gesù, che va e viene da Erode.
   Abbandona il centro della città, prendendo a casaccio per le viette più misere, e va a finire da capo contro la casa del Cenacolo. È tutta chiusa. Come abbandonata. Si ferma. La guarda. «La Madre!», mormora. «La Madre!…». Resta in sospeso… «Ho anche io una madre! E ho ucciso un figlio a una madre! Pure… Voglio entrare… Rivedere quella stanza. Là non c'è sangue…».
   Dà un picchio alla porta. Un altro… Un altro… La padrona di casa viene ad aprire e socchiude l'uscio. Una fessura… E vedendo quell'uomo stravolto, irriconoscibile, getta un urlo e tenta rinchiudere l'uscio. Ma Giuda con una spallata lo spalanca e, travolgendo la donna esterrefatta, passa oltre.
   Corre verso la porticina che mette nel Cenacolo. L'apre. Entra. Un bel sole entra dalle finestre spalancate. Giuda tira un respiro di sollievo. Si inoltra. Qui tutto è calmo e silenzioso. Le stoviglie sono ancora come furono lasciate. Si capisce che per ora nessuno se ne è occupato. Si potrebbe credere che si sia per mettersi a tavola.
   Giuda va verso la tavola. Guarda se vi è vino nelle anfore. Ce ne è. Beve avidamente dall'anfora stessa, che solleva a due mani. Poi si lascia cadere seduto e appoggia il capo sulle braccia conserte sulla tavola. Non si accorge che si è seduto proprio al posto di Gesù e che ha di fronte il calice usato per l'Eucarestia. Sta fermo qualche tempo. Finché l'ansito del gran correre si placa. Poi alza il capo. E vede il calice. E riconosce dove si è seduto.
   Si alza come spiritato. Ma il calice lo affascina. Un poco di vino rosso è ancora nel fondo e il sole, percuotendo il metallo (pare argento), accende quel liquido. «Sangue! Sangue! Sangue anche qui! Il suo Sangue! Il suo Sangue!… "Fate questo in memoria di Me!… Prendete e bevete. Questo è il mio Sangue… Il Sangue del nuovo testamento che sarà sparso per voi…". Ah! maledetto me! Per me non può più esser sparso per remissione del mio peccato. Non chiedo perdono perché Egli non mi può perdonare. Via, via! Non c'è più un posto dove il Caino di Dio possa conoscere quiete. A morte! A morte!…».
 10Esce. Si trova di fronte Maria, ritta sulla porta della stanza dove Gesù l'ha lasciata. Ella, udendo un rumore, si è affacciata sperando forse vedere Giovanni, che manca da tante ore. È pallida come un svenata. Ha degli occhi che il dolore fa ancor più simili a quelli del Figlio. Giuda incontra quello sguardo che lo guarda con la stessa accorata e cosciente cognizione con cui Gesù lo ha guardato per via, e con un «Oh!» spaurito si addossa al muro.
   «Giuda!», dice Maria. «Giuda, che sei venuto a fare?». Le stesse parole di Gesù. E dette con amore doloroso. Giuda le ricorda e urla.
   «Giuda», ripete Maria, «che hai tu fatto? A tanto amore hai risposto tradendo?». La voce di Maria è carezza che trema.
   Giuda fa per scappare. Maria lo chiama con una voce che avrebbe dovuto convertire un demonio: «Giuda! Giuda! Fermati! Fermati! Ascolta! Io te lo dico in suo Nome: pentiti, Giuda. Egli perdona…». Giuda è fuggito.
   La voce di Maria, il suo aspetto è stato il colpo di grazia, ossia di disgrazia perché egli le resiste.
   Va a precipizio. Incontra Giovanni che corre verso la casa a prendere Maria. La sentenza è pronunciata. Gesù sta per andare al Calvario. È ora che la Madre sia condotta dal Figlio.
   Giovanni riconosce Giuda per quanto ben poco resti del bel Giuda di poco tempo prima. «Tu qui?», gli dice Giovanni con palese ribrezzo. «Tu qui? Maledizione a te, uccisore del Figlio di Dio! Il Maestro è condannato. Giubila, se puoi. Ma sgombra la via. Vado a prendere la Madre. Che Ella, l'altra tua Vittima, non ti incontri, rettile».
 11Giuda fugge. Si è avvolto il capo nei brandelli del manto, lasciando unicamente uno spiraglio per gli occhi. La gente, la poca gente che non è verso il Pretorio, lo scansa come vedesse un pazzo. E tale sembra.
   Vaga per la campagna. Il vento porta ogni tanto un'eco del clamore che proviene dalla turba che segue imprecando Gesù. Ogni volta che tale eco giunge a Giuda, egli urla come uno sciacallo.
   Io credo che sia realmente impazzito, perché batte la testa ritmicamente contro i muretti di pietra. Oppure è divenuto idrofobo perché, quando vede un liquido purché sia — acqua, latte portato in un recipiente da un bambino, olio che geme da un otre — urla, urla e grida: «Sangue! Sangue! Il suo Sangue!». Vorrebbe bere ai ruscelli e alle fonti. Non può, perché l'acqua gli pare sangue, e lo dice: «È sangue! È sangue! Mi affoga! Mi brucia! Ho il fuoco! Il suo Sangue, che ieri mi ha dato, è divenuto fuoco in me! Maledizione a me e a Te!».
 12Sale e scende per i colli che circondano Gerusalemme. E l'occhio, irresistibilmente, gli va al Golgota. E due volte vede da lungi il corteo snodarsi nella salita. Guarda e urla.
   Eccolo alla cima. Anche Giuda è in cima di un piccolo colle coperto d'ulivi. Vi è penetrato aprendo una chiudenda rustica come ne fosse padrone o per lo meno molto pratico. Già ho l'impressione che Giuda non avesse molti riguardi per l'altrui proprietà. Ritto sotto un ulivo al limite di un balzo, guarda verso il Golgota. Vede drizzare le croci e comprende che Gesù è crocifisso. Non può vedere né udire. Ma il delirio o un malefizio di Satana gli fan vedere e udire come fosse sulla cima del Calvario.
   Guarda, guarda come allucinato. Si dibatte: «No! No! Non mi guardare! Non mi parlare! Non lo sopporto. Muori, muori, maledetto! Ti chiuda la morte quegli occhi che mi fan paura, quella bocca che mi maledice. Ma anche io ti maledico. Perché non mi hai salvato».
   Il volto è talmente stralunato che non si può più guardare. Due fili di bava scendono dalla bocca urlante. La guancia morsa è livida e enfiata, e il viso ne appare storto. I capelli appiccicati, la barba, molto scura, cresciuta sulle guance in quelle ore, mette un bavaglio lugubre sulle gote e sul mento. Gli occhi poi!… Roteano, si torcono, sono fosforescenti. Da vero demonio.
 13Strappa dalla sua cintura il cordone di grossa lana rossa che lo cinge con tre giri. Ne prova la solidità avvinghiandolo intorno ad un ulivo e tirando con tutta la sua forza. Resiste. È forte.
   Sceglie un ulivo atto alla bisogna. Ecco. Questo, proteso oltre la balza con la sua chioma spettinata, va bene. Monta sull'albero. Assicura solidamente un cappio al ramo più robusto e sporgente nel vuoto. Ha già fatto il nodo scorsoio. Guarda un'ultima volta al Golgota. Poi infila la testa nel nodo scorsoio. Ora pare avere due collane rosse alla radice del collo. Si siede sulla balza. Poi di colpo si lascia scivolare nel vuoto.
   Il nodo lo stringe. Si dibatte qualche minuto. Strabuzza gli occhi, diviene nero d'asfissia, apre la bocca, le vene del collo si gonfiano e si fanno nere. Tira quattro o cinque calci per aria, nelle ultime convulsioni. Poi la bocca si apre e ne pende la lingua scura e bavosa, e i globi oculari restano scoperti, sporgenti, mostranti il bulbo bianchiccio iniettato di sangue. L'iride scompare in alto. È morto.
   Il forte vento, che si è alzato per l'imminente bufera, ciondola il macabro pendolo e lo fa roteare come un orrido ragno appeso al filo della ragnatela.
   La visione finisce così. E mi auguro a avermi a dimenticare presto tutto ciò, perché le assicuro che è visione orrenda.
           

14Dice Gesù:
   «Orrenda, ma non inutile. Troppi credono che Giuda abbia commesso cosa da poco. Alcuni giungono anzi a dire che egli è un benemerito perché senza di lui la Redenzione non sarebbe venuta e che, perciò, egli è giustificato al cospetto di Dio.
   In verità vi dico che, se l'Inferno non fosse già esistito, ed esistito perfetto nei suoi tormenti, sarebbe stato creato per Giuda ancor più orrendo e eterno, perché di tutti i peccatori e i dannati egli è il più dannato e peccatore, né per lui in eterno vi sarà ammolcimento di condanna.
   Il rimorso l'avrebbe anche potuto salvare, se egli avesse fatto del rimorso un pentimento. Ma egli non volle pentirsi e, al primo delitto di tradimento, ancora compatibile per la grande misericordia che è la mia amorosa debolezza, ha unito bestemmie, resistenze alle voci della Grazia che ancora gli volevano parlare attraverso i ricordi, attraverso i terrori, attraverso il mio Sangue e il mio mantello, attraverso il mio sguardo, attraverso le tracce dell'istituita Eucarestia, attraverso le parole di mia Madre.
   Ha resistito a tutto. Ha voluto resistere. Come aveva voluto tradire. Come volle maledire. Come si volle suicidare.
 15È la volontà quella che conta nelle cose. Sia nel bene che nel male.
   Quando uno cade senza volontà di cadere, Io perdono. Vedi Pietro. Ha negato. Perché? Non lo sapeva esattamente neppure lui. Vile Pietro? No. Il mio Pietro non era vile. Contro la coorte e le guardie del Tempio aveva osato ferire Malco per difendermi e rischiare d'essere ucciso per questo. Era poi fuggito. Senza averne volontà di farlo. Aveva poi negato. Senza averne volontà di farlo. Ha saputo poi ben restare e procedere sulla sanguinosa via della Croce, sulla mia Via, fino a giungere alla morte di croce. Ha saputo poi molto bene testimoniare di Me, sino ad esser ucciso per la sua fede intrepida. Io lo difendo il mio Pietro. Il suo è stato l'ultimo smarrimento della sua umanità. Ma la volontà spirituale non era presente in quel momento. Ottusa dal peso dell'umanità, dormiva. Quando si destò, non volle restare nel peccato e volle esser perfetta. Io l'ho perdonato subito.
 16Giuda non volle. Tu dici che pareva pazzo e idrofobo. Lo era di rabbia satanica.
   Il suo terrore nel vedere il cane, bestia rara, in Gerusalemme in specie, venne dal fatto che si attribuiva a Satana, da tempi immemorabili, quella forma per apparire ai mortali. Nei libri di magia è detto tuttora che una delle forme preferite da Satana per apparire è quella di un cane misterioso o di un gatto o di un capro. Giuda, già preda del terrore nato dal suo delitto, convinto d'esser di Satana per il suo delitto, vide Satana in quella bestia randagia.
   Chi è colpevole, in tutto vede ombre di paura. È la coscienza che le crea. Satana poi aizza queste ombre, che potrebbero ancora dare pentimento ad un cuore, e ne fa larve orrende che portano alla disperazione. E la disperazione porta all'ultimo delitto: al suicidio.
   A che pro gettare il prezzo del tradimento quando questo spogliamento è solo frutto dell'ira e non è corroborato da una retta volontà di pentimento? Allora spogliarsi dai frutti del male diviene meritorio. Ma così come egli fece, no. Inutile sacrificio.
 17Mia Madre, ed era la Grazia che parlava e la mia Tesoriera che largiva perdono in mio Nome, glielo disse: "Pentiti, Giuda. Egli perdona…".
   Oh! se lo avrei perdonato! Se si fosse gettato ai piedi della Madre dicendo: "Pietà!", Ella, la Pietosa, lo avrebbe raccolto come un ferito e sulle sue ferite sataniche, per le quali il Nemico gli aveva inoculato il Delitto, avrebbe sparso il suo pianto che salva e me lo avrebbe portato, ai piedi della Croce, tenendolo per mano perché Satana non lo potesse ghermire e i discepoli colpirlo, portato perché il mio Sangue cadesse per primo su lui, il più grande dei peccatori. E sarebbe stata, Ella, Sacerdotessa mirabile sul suo altare, fra la Purezza e la Colpa, perché è Madre dei vergini e dei santi, ma anche Madre dei peccatori.
 Ma egli non volle. 
 18Meditate il potere della volontà di cui siete arbitri assoluti. Per essa potete avere il Cielo o l'Inferno. Meditate cosa vuol dire persistere nella colpa.
   Il Crocifisso, Colui che sta con le braccia aperte e confitte per dirvi che vi ama, e che non vuole, non può colpirvi perché vi ama, e preferisce negarsi di potervi abbracciare, unico dolore del suo esser confitto, anziché aver libertà di punirvi, il Crocifisso, oggetto di divina speranza per coloro che si pentono e che vogliono lasciare la colpa, diviene per gli impenitenti oggetto di un tale orrore che li fa bestemmiare e usare violenza verso se stessi. Uccisori del loro spirito e del loro corpo per la loro persistenza nella colpa. E l'aspetto del Mite, che si è lasciato immolare nella speranza di salvarli, assume l'apparenza di uno spettro di orrore.
 19Maria, ti sei lamentata di questa visione. Ma è il Venerdì di Passione, figlia. Devi soffrire. Alle sofferenze per le sofferenze mie e di Maria devi unire le tue per l'amarezza di vedere i peccatori rimanere peccatori. È stata sofferenza nostra, questa. Deve esser tua. Maria ha sofferto, e soffre ancora, di questo, come delle mie torture. Perciò tu devi soffrire questo. Ora riposa. Fra tre ore sarai tutta mia e di Maria. Ti benedico, violetta della mia Passione e passiflora di Maria».

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3 aprile 2020 5 03 /04 /aprile /2020 09:13

 

PADRE GINO BURRESI E MARIA VALTORTA

 

Maria Valtorta

#

 

Cari visitatori, quando frequentavo negli anni 80 assieme a tanti di voi il Santuario Nostra Signora di Fatima a San Vittorino, una volta, mentre aspettavo il mio turno per avere un colloquio con Padre Gino Burresi nella stanzetta, dove una grata separava il Padre da noi  penitenti, ne uscì fuori, dopo aver conferito con Padre Gino, un signore toscano che si dichiarò essere un suo amico.

Per chi non lo sapesse anche Padre Gino era toscano, nato a Gambassi Terme in provincia di Firenze.

Scambiai con quel signore qualche parola e il discorso cadde poi su Maria Valtorta e sul Poema dell'Uomo Dio, da questa scritto in base alle  rivelazioni da lei ricevute.

Riguardo a quest'opera quel signore toscano mi disse che Padre Gino considerava tutto vero il contenuto di questo poema.

Mi disse queste testuali parole: "Padre Gino ha detto che è tutto vero".

Lo ricordo come fosse successo ieri.

Per questo motivo me lo procurai e lo lessi tutto diverse volte nella mia vita.

Era proprio il periodo in cui incontrai due miracolati di Padre Gino al santuario: uno era un signore belga che mi raccontò la sua guarigione dalla paralisi avvenuta durante la benedizione dei malati al santuario, l'altra era una signora svizzera protestante, guarita anch'essa dalla paralisi sempre a San Vittorino, che poi si convertì al cattolicesimo.

Colloquiai con loro nella loro lingua madre, il fiammingo e il tedesco, per cui sono certo di averli compresi bene.

E' un grande peccato che a Padre Gino Burresi non sia stato più consentito di esercitare il suo ministero di direzione spirituale delle anime e di dispensare le grazie in qualità di intercessore presso la Madonna di Fatima, da lui tanto amata.

Padre Gino è stato tenuto in disparte per decenni.

Con il decreto vaticano di condanna del 27 maggio 2005 egli è stato addirittura giudicato non idoneo ad esercitare le funzioni sacerdotali che gli sono state revocate da Papa Benedetto XVI ai tempi in cui il Cardinale Levada era il Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede.

Ma già dal 6 giugno 1988 Padre Gino Burresi fu allontanato dal santuario di San Vittorino in seguito alle accuse di 11 dei suoi ex seminaristi.

Nel 2010 io creai questo blog nelsegnodizarri e subito lo dedicai a una marcia per la liberazione di Padre Gino Burresi, inviando molte mie mail in giro per il mondo, alla ricerca di persone che mi aiutassero a liberare Padre Gino dall'isolamento, nel quale era finito dopo la condanna ufficiale del 2005, avvenuta un mese dopo la salita del Cardinale Joseph Ratzinger al soglio petrino in qualità di Papa assumendo il nome di Benedetto XVI.

Inviai le mie mail anche a Montignoso, ai Servi del Cuore Immacolato di Maria, di cui Padre Gino Burresi è stato il fondatore e presso i quali egli era ospitato dopo la condanna.

A febbraio 2011 scrissi sul blog un articolo "La Chiesa di oggi ci è madre o matrigna?", nel quale citavo anche Fratel Gino.

Il 2 aprile 2011 ricevevo la preghiera di Giò postata proprio su quell'articolo e credetti che l'autore di quel commento fosse proprio Padre Gino Burresi, che implorava la Chiesa di gettare le reti su chi le chiede maternità.

Si tratta di una preghiera molto forte, in cui il naturale risentimento si trasforma in qualcosa di costruttivo, attraverso la manifestazione del desiderio di Giò di vedere nella Chiesa la piena realizzazione dell'istituzione da lui desiderata, amata e capita.  Il pensiero di vedere la Chiesa come una barca che teme di affondare gliela mostra come una matrigna e non come una madre che si batte con coraggio per proteggere suo figlio.

L'avere condannato Padre Gino Burresi proprio nel periodo più difficile per il papato di Benedetto XVI, attaccato da più parti a livello mondiale per avere coperto gli scandali della pedofilia, fa di Padre Gino Burresi, considerato un mistico a livello mondiale, il capro espiatorio più eclatante di tutti i peccati di pedofilia nel mondo e spiana a Papa Benedetto XVI la strada  verso un papato considerato come spartiacque tra la sporcizia nella Chiesa prima del suo avvento al soglio di Pietro  e le pulizie  pasquali iniziate dal Cardinale Joseph Ratzinger nella via crucis del 2005, poco prima della sua elezione a papa.

E Padre Gino Burresi, stigmatizzato, immagine di Gesù, ricorda proprio il sacrificio pasquale di Nostro Signore a Gerusalemme.

Penso pertanto che la preghiera di Giò del 2 aprile 2011 sia una una preghiera a tre mani, quella di Giò, di Padre Gino Burresi e di Gesù.

E'  giunta pertanto l'ora della loro riabilitazione post mortem, per far loro vedere finalmente l'alba della Chiesa e non il suo tramonto.

Ecco perché come testo della riabilitazione post mortem di Padre Gino Burresi ho inserito solo la preghiera di Giò e la mia risposta e la sua replica.

Lì dentro c'è tutto.

Non c'è bisogno di scrivere altro.

Riccardo Sante Maria Fontana

 

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3 aprile 2020 5 03 /04 /aprile /2020 08:55

Flagellazione

Gesù viene tradotto da quattro soldati nel cortile oltre l'atrio. In esso, tutto selciato di marmi colorati, è al centro un'alta colonna simile a quella del porticato. A un tre metri dal suolo essa ha un braccio di ferro sporgente per almeno un metro e terminante in anello.

 

Secondo le rivelazioni di Maria Valtorta

A questa viene legato Gesù con le mani congiunte sull'alto del capo, dopo che fu fatto spogliare. Egli resta unicamente con delle piccole brache di lino e i sandali. Le mani legate ai polsi vengono alzate sino all'anello, di modo che Egli, per quanto sia alto, non poggia al suolo che la punta dei piedi... E deve essere tortura anche questa posizione.

Dietro a Lui si colloca uno dalla faccia di boia dal netto profilo ebraico, davanti a Lui un altro dalla faccia uguale. Sono armati del flagello fatto di sette strisce di cuoio legate ad un manico e terminanti in un martelletto di piombo. Ritmicamente, come per un esercizio, si danno a colpire. Uno davanti, l'altro di dietro, di modo che il tronco di Gesù è in una ruota di sferze e di flagelli. I quattro soldati, a cui è consegnato, indifferenti, si sono messi a giocare a dadi con altri tre soldati sopraggiunti.

E le voci dei giocatori si cadenzano sul suono dei flagelli che fischiano come serpi e poi suonano come sassi gettati sulla pelle tesa di un tamburo, percuotendo il povero corpo così snello e di un bianco d'avorio vecchio e che diviene prima zebrato di un rosa sempre più vivo, poi viola, poi si orna di rilievi d'indaco gonfi di sangue, e poi si crepa e rompe lasciando colare sangue da ogni parte. E infieriscono specie sul torace e l'addome, ma non mancano i colpi dati alle gambe e alle braccia e fin sul capo, perché non vi fosse brano di pelle senza dolore.

E non un lamento... Se non fosse sostenuto dalla fune cadrebbe. Ma non cade e non geme. Solo la testa gli pende, dopo colpi e colpi ricevuti, sul petto, come per svenimento. " Ohe! Fermati! Deve essere ucciso da vivo" urla e motteggia un soldato...

Che sia morto? Possibile?... "Ora ci penso io" dice un soldato. E lo mette seduto con la schiena alla colonna. Dove Egli era solo grumi di sangue... Poi va ad una fontanella che chioccola sotto al portico, empie un mastello d'acqua e la rovescia sul capo e sul corpo di Gesù.
... Ma Gesù inutilmente punta al Suolo i pugni nel tentativo di drizzarsi... un altro soldato con l'asta della sua alabarda mena una bastonata al viso e coglie Gesù fra lo zigomo destro e il naso, che si mette a sanguinare.

Vestiti. Non è decenza stare così. Ridono tutti in cerchio intorno a Lui. Egli ubbidisce senza parlare. Ma mentre si china un soldato dà un calcio alle vesti e le sparpaglia e ogni volta che Gesù le raggiunge, andando barcollante dove esse cadono, un soldato le spinge o le getta in altra direzione. E Gesù, soffrendo acutamente, le insegue senza una parola, mentre i soldati lo deridono oscenamente.

Può finalmente rivestirsi. E rimette anche la veste bianca, rimasta pulita in un angolo. Pare voglia nascondere la sua povera veste rossa, solo ieri tanto bella ed ora lurida di immondizie e macchiata del sangue sudato nel Getsemani. Anzi, prima di mettersi la tunichella corta sulla pelle, con essa si asciuga il volto bagnato e lo deterge così da polvere e sputi. Ed esso, il povero, santo volto, appare pulito, solo segnato da lividi e piccole ferite. E si ravvia i capelli caduti scomposti, e la barba, per un innato bisogno di essere ordinato nella persona.

E poi si accoccola al sole. Perché trema, il mio Gesù... La febbre comincia a serpeggiare in Lui con i suoi brividi. E anche la debolezza del sangue perduto, del digiuno, del molto cammino, si fa sentire...

Gli legano di nuovo le mani. E la corda toma a segare là dove è già un rosso braccialetto di pelle scorticata. "E ora? Che ne facciamo? Io mi annoio!"... dice un soldato. E corre fuori, in un retrostante cortile certo, dal quale torna con un fascio di rami di biancospino selvatico, ancora flessibili perché la primavera tiene relativamente morbidi i rami, ma ben duri nelle spine lunghe e acuminate. Con la daga levano foglie e fioretti, piegano a cerchio i rami e li calcano sul povero capo. Ma la barbara corona ricade sul collo...

La levano e sgraffiano le guance, rischiando di accecarlo, e strappano i capelli nel farlo. La stringono. Ora è troppo stretta e per quanto la pigino, conficcando gli aculei nel capo, essa minaccia di cadere. Via di nuovo strappando altri capelli. La modificano di nuovo. Ora va bene. Davanti è un triplice cordone spinoso. Dietro, dove gli estremi dei tre rami si incrociano, è un vero nodo di spini che entrano nella nuca.

"Non basta la corona a fare un re. Ci vuole porpora e scettro... mettono il sudicio straccio rosso sulle spalle di Gesù e prima di mettergli fra le mani la canna gliela danno sul capo inchinandosi e salutando: "Ave, re dei Giudei" e si sbellicano dalle risa.

Tratto da "Il poema dell'Uomo-Dio" di Maria Valtorta Volume nono, pag.278 - Centro Editoriale Valtortiano..

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2 aprile 2020 4 02 /04 /aprile /2020 16:14

 

Gesù Muore sulla Croce

La luce, prima viva fin oltre misura, si va facendo verdastra. E i volti prendono bizzarri aspetti. I soldati, sotto i loro elmi e nelle loro corazze, prima lucenti ed ora divenute come appannate nella luce verdastra e sotto il cielo di cenere, mostrano i duri profili.

 

Secondo le rivelazioni di Maria Valtorta

I giudei, per la maggioranza bruni di pelle e capelli e barba, paiono degli annegati tanto il loro volto si fa terreo. Le donne sembrano statue di neve azzurrastra per il pallore esangue che la luce accentua.

Gesù sembra illividire sinistramente come per inizio di decomposizione, quasi fosse già morto. La testa gli comincia a pendere sul petto. Le forze mancano rapidamente. Trema nonostante la febbre che lo arde. E nella sua debolezza mormora il nome che prima ha solo detto nel fondo del cuore: "Mamma!" "Mamma!". Lo mormora piano, come in un sospiro, quasi fosse già in un lieve delirio che gli impedisca di trattenere quanto la volontà vorrebbe trattenere. E Maria ogni volta ha un atto infrenabile di tendere le braccia come per soccorrerlo.

E la gente crudele ride di questi spasimi di chi muore e di chi spasima... i sacerdoti e gli scribi. E poiché i soldati vorrebbero respingerli, reagiscono dicendo: "Noi che dobbiamo verificare che giustizia sia fatta fino in fondo. E da lontano, in questa luce strana, non possiamo vedere".

... molti cominciano a impressionarsi della luce che sta lasciando il mondo, e qualcuno ha paura. Anche i soldati accennano al cielo e ad una specie di cono che pare di lavagna tanto è cupo, e che si leva come un pino da dietro una vetta. Sembra una tromba marina. Si alza e pare che generi nubi sempre più nere, quasi fosse un vulcano eruttante fumo e lava.

È in questa luce crepuscolare e paurosa che Gesù dà a Maria Giovanni e Giovanni a Maria. Curva il capo, poiché la Madre si è fatta più sotto la croce per vederlo meglio, e dice: "Donna: ecco tuo figlio. Figlio: ecco tua Madre".

Maria ha il volto ancor più sconvolto dopo questa parola che è il testamento del suo Gesù, che non ha nulla da dare alla Madre se non un uomo, Egli che per amore dell'Uomo la priva dell'Uomo-Dio, nato da Lei. Ma cerca, la povera Madre, di non piangere che mutamente, perché non può, non può non piangere...
Le stille del pianto gemono nonostante ogni sforzo per trattenerle, anche se la bocca ha il suo straziato sorriso, fissato sulle labbra per Lui, per confortare Lui...

Le sofferenze sono sempre più forti. Il corpo ha i primi inarcamenti propri della tetania e ogni clamore di folla li esaspera. La morte delle fibre e dei nervi si estende dalle estremità torturate al tronco, rendendo sempre più difficoltoso il moto respiratorio... Il volto di Cristo passa alternativamente da vampe di rossore intensissimo a pallori verdastri di morente per dissanguamento. La bocca si muove con maggiore fatica perché i nervi sovraffaticati del collo e del capo stesso, che hanno per decine di volte fatto da leva al corpo tutto, puntandosi sulla sbarra traversa della croce, propagano il crampo anche alle mascelle. La gola, enfiata dalle carotidi ingorgate, deve dolere ed estendere il suo edema alla lingua che appare ingrossata e lenta nei movimenti. La schiena, anche nei momenti che le contrazioni tetanizzanti non la curvano ad arco completo dalla nuca alle anche, appoggiate come punti estremi al tronco della croce, si arcua sempre più in avanti, perché le membra divengono sempre più pesanti del peso delle carni morte.

La gente vede poco e male queste cose perché la luce è ormai di un cenere cupo, e solo chi è ai piedi della croce può vedere bene.

Gesù si affloscia, un certo momento, tutto in avanti e in basso, come già morto, non ansa più, la testa gli pende inerte in avanti, il corpo, dalle anche in su, è tutto staccato facendo angolo con le braccia alla croce. Maria ha un grido: "È morto" Un grido tragico che si propaga nell'aria nera. E Gesù appare realmente morto...

"Non è possibile" urlano dei sacerdoti e dei giudei. "È una finta per farci andare via. Soldato: pungilo con la lancia. È una buona medicina per ridargli voce". E poiché i soldati non lo fanno, una scarica di pietre e di zolle di terra volano verso la croce, colpendo il Martire e ricadendo sulle corazze romane... certo qualche sasso ha colpito a segno, forse sulla ferita di una mano, o sul capo stesso, perché miravano in alto. Gesù ha un gemito pietoso e rinviene. Il torace torna a respirare con fatica e la testa a muoversi da destra a manca cercando un luogo dove posarsi per soffrire meno, senza trovare altro che maggior pena.

A gran fatica puntandosi una volta ancora sui piedi torturati, trovando forza nella sua volontà, unicamente in quella, Gesù si irrigidisce sulla croce, torna eretto come fosse un sano nella sua forza completa, alza il volto guardando con occhi bene aperti il mondo steso ai suoi piedi, la città lontana, che appena si intravede come un biancore incerto nella foschia, e il cielo nero dal quale ogni azzurro ed ogni ricordo di luce sono scomparsi. E a questo cielo chiuso, compatto, basso, simile ad una enorme lastra di lavagna scura, Egli grida a gran voce, vincendo con la forza della volontà: "Eloi, Eloi, lamma scebacteni"(io sento dire così).

... Un soldato va ad un vaso dove hanno messo dell'aceto col fiele, perché col suo amaro aumenti la salivazione nei suppliziati. Prende la spugna immersa nel liquido, la infila su una canna sottile eppure rigida che è già pronta lì presso, e porge la spugna al Morente. Gesù si tende avido verso la spugna che viene. Pare un infante affamato che cerchi il capezzolo materno.

...Gesù, che ha succhiato avidamente l'aspra e amara bevanda, torce il capo avvelenato dal disgusto di essa. Deve, oltretutto, essere come del corrosivo sulle labbra ferite e spaccate. Si ritrae, si accascia, si abbandona.

Tutto il peso del corpo piomba sui piedi e in avanti. Sono le estremità ferite quelle che soffrono la pena atroce dello slabbrarsi sotto il peso di un corpo che si abbandona. Non più un movimento per sollevare questo dolore. Dal bacino in su tutto è staccato dal legno, e tale resta.

È uno strazio... E Giovanni piange liberamente. Gesù deve sentire quel pianto. Ma non dice niente. Penso che la morte imminente lo faccia parlare come in delirio e neppure sappia quanto dice e, purtroppo, neppure comprenda il conforto materno e l'amore del Prediletto.

Poi, ecco, l'ultimo spasimo di Gesù. Una convulsione atroce, che pare voglia svellere il corpo infisso, con i tre chiodi, dal legno, sale per tre volte dai piedi al capo, scorre per tutti i poveri nervi torturati; solleva tre volte l'addome in una maniera anormale, poi lo lascia dopo averlo dilatato come per sconvolgimento dei visceri, ed esso ricade e si infossa come svuotato; alza, gonfia e contrae tanto fortemente il torace che la pelle si infossa fra coste e coste che si tendono, apparendo sotto l'epidermide e riaprendo le ferite dei flagelli; fa rovesciare violentemente indietro, una due, tre volte il capo, che percuote contro il legno, duramente; contrae in uno spasimo tutti i muscoli del volto, accentuando la deviazione della bocca a destra, fa spalancare e dilatare le palpebre sotto cui si vede roteare il globo oculare e apparire la sclerotica. Il corpo si tende tutto; nell'ultima delle tre contrazioni è un arco teso, vibrante, tremendo a vedersi, e poi un grido potente, impensabile in quel corpo sfinito, si sprigiona, lacera l'aria, il "grande grido" di cui parlano i Vangeli e che è la prima parte della parola "Mamma "... E più nulla...

La testa ricade sul petto, il corpo in avanti, il fremito cessa, cessa il respiro. È spirato.

La Terra risponde al grido dell'Ucciso con un boato pauroso. Sembra che da mille buccine dei giganti traggano un unico suono e su questo tremendo accordo ecco le note isolate, laceranti dei fulmini che rigano il cielo in tutti i sensi, cadendo sulla città, sul Tempio, sulla folla... Credo che ci saranno stati dei fulminati perché la folla è colpita direttamente. I fulmini sono l'unica luce saltuaria che permetta di vedere.

E poi subito, e mentre durano ancora le scariche delle saette la terra si scuote in un turbine di vento ciclonico. Il terremoto e l'aeromoto si fondono per dare un apocalittico castigo ai bestemmiatori. La vetta del Golgota ondeggia e balla come un piatto in mano di un pazzo, nelle scosse sussultorie e ondulatorie che scuotono talmente le tre croci che sembra le debbano ribaltare.

...I ladroni urlano di terrore, la folla urla ancora di più e vorrebbe scappare. Ma non può. Cadono le persone l'una sull'altra, si pestano, precipitano nelle spaccature del suolo, si feriscono, rotolano giù per la china, impazziti.

Tratto da "Il poema dell'Uomo-Dio" di Maria Valtorta Volume nono, - Centro Editoriale Valtortiano..

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2 aprile 2020 4 02 /04 /aprile /2020 16:03

 

Gesù sulla Croce

Gesù. Egli si stende mite sul legno... Si corica e mette il capo dove gli dicono di metterlo. Apre le braccia come gli dicono di farlo, stende le gambe come gli ordinano. Si è solo preoccupato di accomodarsi per bene il suo velo.

 

Secondo le rivelazioni di Maria Valtorta

Due Carnefici gli si siedono sul petto per tenerlo fermo. Un terzo gli prende il braccio destro tenendolo con una mano sulla prima porzione dell'avambraccio e l'altra al termine delle dita. Il quarto, che ha già in mano il lungo chiodo acuminato... appoggia la punta del chiodo al polso, alza il martello e dà il primo colpo... Il chiodo penetra spezzando muscoli, vene, nervi, frantumando ossa.

La mano destra è inchiodata. Si passa alla sinistra. Il foro non corrisponde al carpo. Allora prendono una fune, legano il polso sinistro e tirano fino a slogare la giuntura e a strappare tendini e muscoli... inchiodano dove possono, ossia fra il pollice e le altre dita, proprio al centro del metacarpo. Qui il chiodo entra più facilmente, ma con maggiore spasimo perché deve recidere nervi importanti, tanto che le dita restano inerti mentre le altre della destra hanno contrazioni e tremiti che denunciano la loro vitalità.

Ora è la volta dei piedi. A un due metri e più dal termine della croce è un piccolo cuneo, appena sufficiente ad un piede. Su questo vengono portati i piedi per vedere se va bene la misura. E dato che è un poco in basso e i piedi arrivano male, stiracchiano per i malleoli il povero Martire. Il legno scabro della croce sfrega così sulle ferite, smuove la corona che si sposta strappando nuovi capelli e minaccia di cadere.

Ora quelli che erano seduti sul petto di Gesù si alzano per spostarsi sui ginocchi... E pesano sui ginocchi scorticati, e premono sui poveri stinchi contusi mentre gli altri due compiono l'operazione, molto più difficile, dell'inchiodatura di un piede sull'altro, cercando di combinare le due giunture dei tarsi insieme... il piede sottoposto si sposta per la vibrazione del chiodo, e lo devono schiodare quasi perché, dopo essere entrato nelle parti molli, il chiodo, già spuntato per avere perforato il piede destro, deve essere portato un poco più in centro. E picchiano, picchiano, picchiano...

Ora la croce è strascinata presso il buco, e rimbalza, scuotendo il povero Crocifisso, sul suolo ineguale. Viene issata la croce che sfugge per due volte a coloro che la alzano e ricade una volta di schianto, un'altra sul braccio destro della stessa, dando un aspro tormento a Gesù perché la scossa subita smuove gli arti feriti. Ma quando poi la croce viene lasciata cadere nel suo buco, e prima di essere assicurata con pietre e terriccio ondeggia in tutti i sensi, imprimendo continui spostamenti al povero Corpo sospeso a tre chiodi, la sofferenza deve essere atroce.

Tutto il peso del corpo si sposta in avanti e in basso, e i buchi si allargano, specie quello della mano sinistra, e si allarga il foro nei piedi mentre il sangue spiccia più forte. E se quello dei piedi goccia lungo le dita per terra e lungo il legno della croce, quello delle mani segue gli avambracci, perché sono più alti al polso che all'ascella, per forza della posizione, e riga anche le coste scendendo dall'ascella verso la cintura. La corona, quando la croce ondeggia prima di essere fissata, si sposta perché il capo ribatte all'indietro, conficcando nella nuca il grosso nodo di spini che termina la pungente corona, e poi torna ad adagiarsi sulla fronte e graffia, graffia senza pietà.

Finalmente la croce è assicurata e non c'è che il tormento dell'essere appeso. Issano anche i ladroni, i quali, una volta messi verticalmente, urlano come fossero scotennati vivi per la tortura delle funi che segano i polsi e fanno divenire nere le mani, con le vene gonfie come corde. Gesù tace. La folla non tace più, invece. Ma riprende il suo vocio infernale.

Ora la cima del Golgota ha il suo trofeo e la sua guardia d'onore. Al limite più alto (lato A) la croce di Gesù. Al lato B e C le altre due. Mezza centuria di soldati con le armi al piede tutto intorno alla vetta, dentro a questo cerchio d'armati i dieci appiedati che giocano a dadi le vesti dei condannati. Ritto in piedi, fra la croce di Gesù e quella di destra, Longino. E pare monti la guardia d'onore al Re Martire. L'altra mezza centuria, in riposo, è, agli ordini dell'aiutante di Longino, sul sentiero di sinistra e sulla piazzuola più bassa, in attesa di essere adoperata se ce ne sarà bisogno. Nei soldati c'è l'indifferenza quasi totale. Solo qualcuno alza ogni tanto il volto ai crocifissi.

Longino invece osserva tutto con curiosità e interesse, confronta, e mentalmente giudica. Confronta i crocifissi, e specie il Cristo, e gli spettatori. Il suo occhio penetrante non perde un particolare. E per vedere meglio fa solecchio con la mano perché il sole gli deve dare noia.

È infatti un sole strano. Di un giallo rosso d'incendio. E poi pare che l'incendio si spenga di colpo per un nuvolone di pece che sorge da dietro le catene giudee e che corre veloce per il cielo, scomparendo dietro ad altri monti. E quando il sole ritorna fuori è così vivo che l'occhio non lo sopporta che male.

Altri sacerdoti: "Blasfemo! Figlio di Dio, Tu? E scendi di lì allora. Fulminaci se sei Dio. Non ti temiamo e sputiamo verso Te." Altri che passano e scrollano il capo: "Non sa che piangere. Salvati se è vero che sei l'Eletto!" Gesù parla per la prima volta: ""Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!"

Questa preghiera vince ogni timore in Disma. Osa guardare il Cristo e dice: "Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno. Io è giusto che qui soffra. Ma dammi misericordia e pace oltre la vita. Una volta ti ho sentito parlare, e folle ho respinto la tua parola. Ora me ne pento. E dei miei peccati me ne pento davanti a Te, Figlio dell'Altissimo. Io credo che Tu venga da Dio. Io credo nel tuo potere. Io credo nella tua misericordia. Cristo perdonami in nome di tua Madre e del tuo Padre Santissimo".

Gesù si volge e lo guarda con profonda pietà ed ha un sorriso ancora bellissimo sulla povera bocca torturata. Dice: "Io te lo dico: oggi tu sarai meco in Paradiso".

Tratto da "Il poema dell'Uomo-Dio" di Maria Valtorta Volume nono, - Centro Editoriale Valtortiano..

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2 aprile 2020 4 02 /04 /aprile /2020 15:47

 

Gesù sul Golgota

Quattro nerboruti uomini che, per l'aspetto, mi paiono giudei, e giudei degni della croce più dei condannati, certo della stessa categoria dei flagellatori, saltano da un sentiero sul luogo del supplizio.

 

Secondo le rivelazioni di Maria Valtorta

Sono vestiti di tuniche corte e sbracciate, ed hanno in mano chiodi, martelli e funi che mostrano con lazzi ai tre condannati. La folla si agita in un delirio crudele.

Il centurione offre a Gesù l'anfora, perché beva la mistura anestetica di vino mirrato. Ma Gesù la rifiuta. I due ladroni invece ne bevono molta. Poi l'anfora dall'ampia bocca svasata viene posta presso un grosso sasso, quasi sullo scrimolo della cima.

Viene dato l'ordine ai condannati di spogliarsi. I due ladroni lo fanno senza nessun pudore. Anzi si divertono a fare atti osceni verso la folla e specie verso il gruppo sacerdotale tutto candido nelle sue vesti di lino e che è piano piano tornato sulla piazzetta più bassa usando della sua qualità per insinuarsi lì.

Ai sacerdoti si sono uniti due o tre farisei e altri prepotenti personaggi che l'odio fa amici. E vedo persone di conoscenza, come il fariseo Giocana e Ismaele, lo scriba Sadoch, Eli di Cafarnao.

I carnefici offrono tre stracci ai condannati perché se li leghino all'inguine. E i ladroni li pigliano con più orrende bestemmie. Gesù, che si spoglia lentamente per lo spasimo delle ferite, lo ricusa. Forse pensa conservare le corte brache che ha tenute anche nella flagellazione. Ma quando gli viene detto di levarsi anche le stesse, Egli tende la mano per mendicare lo straccio dei boia a difesa della sua nudità. È proprio l'Annichilito fino a dover chiedere uno straccio ai delinquenti.

Maria ha visto e si è sfilata il lungo e sottile telo bianco che le vela il capo sotto al manto oscuro e nel quale Ella ha già versato tanto pianto. Se lo leva senza far cadere il manto, lo da a Giovanni perché lo porga a Longino per il Figlio. Il centurione prende il velo senza fare ostacolo, e quando vede che Gesù sta per denudarsi del tutto, stando voltato non verso la folla ma verso la parte vuota di popolo, mostrando così la sua schiena rigata di lividi e di vesciche, sanguinante di ferite aperte o dalle croste oscure, gli porge il lino materno.

Gesù lo riconosce. Se ne avvolge a più riprese il bacino assicurandoselo per bene perché non caschi... E sul lino, fino allora solo bagnato di pianto, cadono le prime gocce di sangue, perché molte delle ferite, appena coperte di coagulo, nel chinarsi per levarsi i sandali e deporre le vesti si sono riaperte, e il sangue riprende a sgorgare.

Ora Gesù si volge verso la folla. E si vede così che anche il petto, le braccia, le gambe sono tutte state colpite dai flagelli. All'altezza del fegato è un enorme livido e sotto l'arco costale sinistro vi sono nette sette righe in rilievo, terminate da sette piccole lacerazioni sanguinanti fra un cerchio violaceo... un colpo feroce di flagello in quella zona tanto sensibile del diaframma. I ginocchi, contusi dalle ripetute cadute iniziate, subito dopo la cattura e terminate sul Calvario, sono neri di ematoma e aperti sulla rotula, specie il destro, in una vasta lacerazione sanguinante.

Il suo tronco è avorio venato di zaffiri. Le sue gambe, perfette colonne di candido marmo su basi d'oro. La sua maestà è come quella del Libano; imponente egli è più dell'alto cedro. La sua lingua è intrisa di dolcezza ed egli è tutta delizia" e ridono e urlano anche: "II lebbroso! Il lebbroso! Hai dunque fornicato con un idolo se Dio ti ha così colpito? Hai mormorato contro i santi di Israele come Maria di Mosè se sei stato così punito? Oh! Oh! Il Perfetto! Sei il Figlio di Dio? Ma no! L'aborto di Satana sei! Almeno egli, Mammona, è potente e forte. Tu... sei uno straccio impotente e schifoso".

I ladroni sono legati sulle croci e vengono portati al loro posto uno a destra, uno a sinistra, rispetto al posto destinato a Gesù. Urlano, imprecano, maledicono e specie quando le croci vengono portate presso il buco e li sconquassano, facendo segare i polsi dalle funi, le loro bestemmie a Dio, alla Legge, ai romani, ai giudei, sono infernali.

Tratto da "Il poema dell'Uomo-Dio" di Maria Valtorta Volume nono, - Centro Editoriale Valtortiano..

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2 aprile 2020 4 02 /04 /aprile /2020 15:38

LA MADRE
Lo raggiunge proprio mentre Gesù si volge verso la Madre che solo ora vede venire verso di Lui, perché procede così curvo e ad occhi quasi chiusi che è come fosse cieco, e grida: "Mamma!"
È la prima parola da quando è torturato che esprima il suo soffrire. Perché in quel grido c'è la confessione di tutto e ogni suo tremendo dolore di spirito, di morale e di carne.
È il grido straziato e straziante di un bambino che muore solo, fra aguzzini fra le peggiori torture... e che giunge ad avere paura anche del suo proprio respiro.
È il lamento di un fanciullo delirante che è straziato da visioni d'incubo... E vuole la mamma, la mamma, perché solo il suo bacio fresco calma l'ardore della febbre, la sua voce fuga i fantasmi, il suo abbraccio fa meno paurosa la morte...

Maria si porta la mano al cuore come ne avesse una pugnalata e ha un lieve vacillamento. Ma si riprende, affretta il passo e mentre va a braccia tese verso la sua Creatura straziata grida: "Figlio!" Ma lo dice in maniera tale che chi non ha cuore di iena se lo sente fendere per quel dolore.

Vedo che anche fra i romani vi è un moto di pietà... eppure sono uomini d'arme, non nuovi alle uccisioni, segnati da cicatrici... Ma la parola: "Mamma!" e "Figlio!" sono sempre quelle e per tutti coloro che, ripeto, non sono peggio delle iene, e sono dette e comprese dovunque, e dovunque sollevano onde di pietà...

Il Cireneo ha questa pietà... E poiché vede che Maria non può abbracciare il suo Figlio per via della croce e dopo avere teso le braccia le lascia ricadere persuasa di non poterlo fare si affretta a levare la croce e lo fa con delicatezza di padre, per non urtare la corona o strofinare sulle piaghe.

Ma Maria non può baciare la sua Creatura... Anche il tocco più lieve sarebbe tortura sulle carni lacerate e Maria se ne astiene e poi... i sentimenti più santi hanno un pudore profondo. E vogliono rispetto o almeno compassione. Qui e curiosità e sopratutto scherno. Si baciano solo le due anime angosciate.

Il corteo che si rimette in moto sotto la spinta delle ondate di popolo furente che preme dal fondo li divide, respingendo la Madre contro il monte, allo scherno di tutto un popolo... Ora dietro a Gesù è il Cireneo con la croce. E Gesù, libero di quel peso, procede meglio. Ansa fortemente, si porta sovente la mano al cuore, come avesse un grande dolore, una ferita lì, alla regione sterno-cardiaca, e, ora che può, non avendo più le mani legate, si respinge i capelli caduti in avanti, tutti collosi di sangue e sudore, fin dietro le orecchie, per sentire aria sul volto cianotico, si slaccia il cordone del collo, per la sofferenza del respiro... Ma può camminare meglio.

Maria si è ritirata con le donne. Si accoda al corteo quando è passato, e poi, per una scorciatoia, si dirige alla vetta del monte, sfidando gli improperi della plebe cannibalesca. Ora che Gesù è libero si compie abbastanza presto l'ultimo anello del monte e già si è prossimi alla cima tutta piena di popolo urlante.

Tratto da "Il poema dell'Uomo-Dio" di Maria Valtorta Volume nono, - Centro Editoriale Valtortiano..

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  • : RIABILITAZIONE POST MORTEM DI PADRE GINO BURRESI
  • : Riabilitazione post mortem di Padre Gino Burresi Firma la Petizione https://petizionepubblica.it/pview.aspx?pi=IT85976 "Sono dentro, donna o uomo che vive li nel seno di questa chiesa. Da me amata, desiderata e capita... Sono dentro. Mi manca aria, Aspetto l'alba, Vedo tramonto. La chiesa dei cardinali madri per gioielli, matrigne per l'amore. Ho inciampato e la chiesa non mi sta raccogliendo. Solitudine a me dona, a lei che avevo chiesto Maternità. E l'anima mia, Povera, Riconosce lo sbaglio di aver scelto il dentro e, Vorrei uscire ma dentro dovrò stare, per la madre che non accetta, Il bene del vero che ho scoperto per l'anima mia. Chiesa, Antica e poco nuova, Barca in alto mare, Getta le reti Su chi ti chiede maternità. Madre o matrigna, per me oggi barca in alto mare che teme solo di Affondare! Matrigna." Commento n°1 inviato da Giò il 2/04/2011 alle 14h27sul post: http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-la-chiesa-di-oggi-ci-e-madre-o-matrigna-67251291
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