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JULIA KRISTEVA: “FREUD, LINGUISTA TAUMATURGO. CAPÌ CHE SOLO LA PAROLA CI PUÒ SALVARE”
13.10.1997
Professoressa Kristeva, a partire da quali aspetti attuali della psicoanalisi possiamo, rileggendo Freud, cercare le sue concezioni del linguaggio?
Effettivamente, oggi è possibile leggere Freud a partire dall’attualità dell’esperienza analitica. Mi sembra che questa attualità si caratterizzi per l’apparizione di ciò che ho denominato - come nel titolo di un mio libro - “le nuove malattie dell’anima”. Con ciò voglio intendere l’idea che l’analista si confronta con qualcosa che è dell’ordine dell’irrappresentabile, con qualcosa che è al di qua del linguaggio. Intendo con questo, per esempio, le diverse sintomatologie che vanno dall’autismo alle varie affezioni psicosomatiche, ma anche i “borderline”, i ”falsi Self”, le “personalità come se”, ed altri disturbi narcisistici. Dall’altra parte esiste anche un altro aspetto di attualità che interessa molto le scienze umane di oggi: si tratta di una spinta cognitivista che esige di affrontare l’esperienza psichica imponendo sulla materialità del linguaggio delle strategie logiche, con o senza soggetto. Quindi, partendo da questa doppia attualità possiamo cercare di vedere quali siano state le concezioni freudiane del linguaggio di cui spesso si ha un’idea schematica, per cui, ad esempio, si pensa che ci sia un’unica concezione freudiana del linguaggio.
E quali sono le diverse concezioni del linguaggio di Freud?
Io sostengo che ve ne sono almeno tre. Il primo modello di linguaggio, così come Freud lo ha formulato, si trova nei suoi primi testi; penso in particolare a testi come “Zur auffassung der aphasien” (Per una concezione delle afasie) del 1891, penso anche al “Progetto di una psicologia” del 1895, e a qualche altro testo dello stesso periodo. Tutti questi testi procedono dalla constatazione di una inadeguatezza tra il sessuale e il verbale. Freud pensa che il desiderio sessuale non sia colto dal linguaggio: non solo il desiderio trova difficoltà ad entrare nel linguaggio ed è difficilmente interpretabile, ma si può dire che intelligenza e linguaggio da una parte, e desiderio sessuale dall’altra, siano asintotici.
Questa divergenza è forse dovuta, secondo lui, alla nevrosi, ma forse- andando indietro nel tempo a un dato somatico proprio dell’immaturità del bambino. Noi siamo degli esseri immaturi, e il linguaggio viene “après coup”, posteriormente.
Sempre a partire da questa inadeguatezza tra corpo e linguaggio - tra desiderio sessuale da una parte, ed intelligenza dall’altra - Freud constata un’assenza di traduzione o persino una traduzione lacunosa tra la rappresentazione inconscia e le parole. Questa idea lo condurrà ad approntare un modello - il primo, dal mio punto di vista - che chiamo modello “eterogeneo” del linguaggio, e che comprende due strati, di cui non si parla molto oggi; esso riguarda la sfasatura tra rappresentazione di parole e rappresentazione di cose”.
Può spiegarci la differenza tra queste rappresentazioni?
Questa distinzione si trova in un testo di Freud, l’“AppendiceC” alla Metapsicologia, anche se egli la elaborava già in Zur auffassung der aphasien. Nell’”Appendice C” egli parla di “rappresentazioni di parole”, che sono un insieme di rappresentazioni che riguardano essenzialmente l’immagine sonora della parola. Io pronuncio una parola, e lo psichismo registra un’immagine sonora;ma questa immagine sonora - che è l’essenziale della parola - non è la sola perché la rappresentazione di una parola comprende anche un’immagine di lettura, un’immagine di scrittura e un’immagine di movimento. La parola, come vedete, è un insieme complesso, ma è un insieme chiuso. La rappresentazione di parole è legata alla rappresentazione di oggetti oppure di cose; è l’altra componente, vale a dire un insieme aperto che comprende l’immagine visiva della parola: quando dico “tavolo” o quando dico “televisione”, vedo l’immagine visiva della televisione. Ma non c’è solo l’immagine visiva: ci sono anche le immagini tattili, posso toccare un televisore, esso ha un volume; e poi c’è l’immagine acustica, dato che dei suoni provengono da questo televisore, ecc. Quindi vediamo che l’apparato psichico, secondo Freud, centrato sulla rappresentazione di cose e sulla rappresentazione di parole, procede verso una rappresentazione eterogenea dello psichismo: perché ci sono due componenti essenziali, che sono le parole da una parte e le cose dall’altra.
Quanto al “Progetto di una psicologia”, esso è oggi un testo molto commentato, perché è legato alla neurobiologia, la quale fa oggi grandi progressi.
In questo “Progetto” Freud abbozza due sistemi: un sistema ”phi” - che è un sistema esterno e che mette l’essere umano in contatto con il mondo esterno - e un sistema “psi”, che è un sistema interno. Egli postula che ci sia una carica quantitativa, l’energia biologica, che può essere o ormonale, umorale o elettrica (oggi, a seconda dello sviluppo della neurobiologia, possiamo riempire queste proposte di Freud). Ora, questa carica quantitativa diventa qualitativa o psichica passando da un sistema ad un altro.
Dove si trova quindi il linguaggio?
Esso si situa tra la carica energetica e la percezione da un lato, e l’attività logica dall’altro. Quindi il linguaggio, situato tra questi due sistemi - l’attività logica e la percezione – favorisce la conoscenza e la coscienza.
Questo è molto interessante, perché si vede come il linguaggio, in Freud, sia situato tutto d’un tratto in una posizione cruciale tra la percezione e la logica; quindi esso non si riduce alla percezione, né alla logica, ma serve da intermediario tra le due. In questo primo modello freudiano appare una duplicità che io chiamo una concezione “sfogliata” ovvero stratificata del linguaggio.
Perché qui il linguaggio non viene ridotto ai nostri modelli attuali, basati sull’opposizione tra significante e significato; esso infatti, da una parte tocca verso il mondo esterno attraverso la sensazione, e dall’altra verso il mondo dell’intelligenza, perché trasmette il ricordo, la memoria - fino al sistema complicato delle concatenazioni logiche e, più oltre, metafisiche. Possiamo considerare estremamente interessante l’eterogeneità di questo modello, il quale va in una direzione opposta rispetto ad una certa corrente linguistica, - una corrente soprattutto lacaniana - la quale cerca di recuperare quel primo Freud all’interno del modello saussuriano del linguaggio.
C’è chi obietta che quelle teorie di Freud erano ispirate alla limitata neurologia del suo tempo?
In effetti, quel primo modello si basa su una teoria oggi superata, nel senso che Freud non disponeva di sufficiente precisione neurobiologica per raffinare il funzionamento della cellula cerebrale o delle sinapsi. Oggi invece, con i progressi delle neuroscienze, abbiamo delle concezioni molto più raffinate del funzionamento del sistema cerebrale o dell’insieme del sistema nervoso. Eppure, in tutte queste direzioni molto più moderne, e molto più nette di quelle dateci da Freud, è evidente uno iato che appare tra tutto quel che si può dire a livello neuronale da una parte, e il linguaggio dall’altra parte. Non riusciamo a colmare lo iato, la divergenza tra il substrato biologico e la manifestazione linguistica; quindi ci troviamo confrontati a questa doppia determinazione di fronte alle manifestazioni psicologiche, e in particolare di fronte ai sintomi psichiatrici o psicoanalitici.
Prendete il caso della depressione: se avete un fenomeno depressivo, è evidente che un certo numero di sintomi depressivi possono essere eliminati grazie all’intervento di neurolettici o persino di elettroshock: questo vuol dire che un certo funzionamento mentale è correggibile, manipolabile, attraverso il livello biologico. Questo tuttavia non esclude l’intervento a livello del linguaggio: tutto il lavoro che facciamo noi psicoanalisti è tale che esso può avere degli effetti fin nella cellula biologica. Per esempio, certe interpretazioni possono portare ad un funzionamento accelerato del cervello, ad una conduttibilità della sinapsi, e persino a cambiare il tasso della serotonina. In altri termini, qualunque sia il raffinamento del modello attuale, c’è in esso qualcosa che fa pensare al primo Freud: siamo sempre di fronte ad un modello doppio, stratificato. Quindi, cerco di resuscitare l’ambivalenza del modello freudiano, perché senza di essa si appiattisce il funzionamento mentale: o lo si riduce aduna biologia pura e semplice eliminando il fattore “significante”, oppure ci si accontenta unicamente di quest’ultimo e si dimentica la base biologica.
Passiamo a quello che lei chiama il secondo modello freudiano del linguaggio. Come si articola questo modello?
“Tale modello è più vicino al modello strutturale che poi svilupperà Lacan. Esso, in effetti, è un modello, direi, “ottimista” perché presuppone che l’associazione libera ci possa permettere di cogliere tutti i sintomi, e dunque che nel linguaggio potremo far apparire i traumi, la pulsione, e tutti i disturbi della vita sessuale e della vita psichica. Freud si accosta a questo modello “ottimistico” man mano che appronta il dispositivo della cura psicoanalitica, quando abbandona insomma la neurologia di cui parlavamo. Tra il 1892 e il 1900, infatti, Freud si convince in modo sempre più preciso che il racconto associativo è capace di tradurre i contenuti traumatici. Quindi egli baserà i dispositivi della cura nella narrazione, e partendo da questa cercherà di produrre un altro modello, considerato come il modello centrale di Freud sul linguaggio. A mio avviso, questo modello si caratterizza per il fatto che il linguaggio“ è costituito- cito Freud - da termini intermedi preconsci che permettono di porre l’inconscio sotto la dominazione del conscio”.
Il linguaggio possiede il potere di andare più in là del conscio perché si situa tra conscio e inconscio, e dunque ha questo potere straordinario di rendere consce le cose perché - facciamo riferimento al primo modello - è una costruzione eterogenea, dato che è nutrito di sensazioni, di percezioni, e si radica anche nel corpo. Dunque, anche qui abbiamo un modello intermedio tra inconscio da una parte, e coscienza dall’altra; per questo è il livello favorito, benefico, su cui si fonderà la cura. Questa concezione risponde al desiderio di Freud di estendere all’insieme dell’esperienza umana la portata di ciò che si potrebbe credere ristretto o addirittura patologico. Quindi in questa fase - lo si vede benissimo ne L’interpretazione dei sogni, quando cerca di comprendere quale sia la logica dell’inconscio - Freud opera una specie di assimilazione della logica inconscia alla logica del linguaggio primitivo: entrambi sarebbero logiche che, in particolare, disconoscono il ”no”, non conoscono la contraddizione.
Allora il contributo di Lacan secondo cui l’inconscio è strutturato come un linguaggio - mi pare essere una lettura più che mai attenta e fedele di questo secondo Freud; Lacan esplicita ciò che mi pare essere l’obiettivo essenziale di questo secondo Freud”. Ma questo non è l’ultimo modello del linguaggio elaborato da Freud. Vi è ancora quello derivato dalla sua fase “filogenetica”. Di che cosa si tratta?
Penso che possiamo datare dal 1912, o 1914, una svolta del pensiero freudiano. Questa svolta si radicalizzerà con la guerra, e con le sue risonanze sullo sviluppo della personalità e della teoria di Freud. “Totem e tabù” è un libro del 1912, ed insiste su qualcosa che ci appare molto affascinante ancora oggi. Freud suppone che ci sia un’orda primitiva, vale a dire l’umanità ad uno stadio arcaico, costituito dal raggruppamento dei fratelli, dato che le donne, in questa ottica, sono sempre oggetti di scambio; e questi fratelli desiderano dividersi le donne, ma non riescono a farlo perché il loro padre esercita la tirannia e detiene tutte le donne. In un primo momento, i fratelli, per poter accedere alle donne, non trovano altra soluzione che attaccare il padre - da qui quel desiderio di omicidio, ed anche la ripetizione di questo omicidio.
Poi, ad un dato momento di questa coazione a ripetere, si produce qualcosa di veramente particolare: è l’assimilazione o l’identificazione con questo padre attraverso il pasto totemico. Si mangerà il padre, lo si interiorizzerà, in modo che, per via orale, si installa anche un patto simbolico, e la tirannia del padre cessa di essere una tirannia, essa diviene un’autorità. I fratelli riconoscono che c’è una legge. Qui siamo al passaggio dalla pulsione come irrappresentabile – la pulsione di morte e la sua violenza - verso la costituzione di un patto simbolico. Il pasto totemico, infatti, ci conduce dall’atto alla simbolizzazione: si smette di fare semplicemente dei passaggi all’atto - degli omicidi - e ci si rappresenta qualcuno, ci si identifica con qualcuno. Partendo da qui si è capaci così anche di pensare, di parlare, di entrare nelle elaborazioni logiche- insomma, è la nascita della cultura.
Quello che mi preme sottolineare è che, raccontando questa favola, Freud si sia confrontato con l’”esterno” dello psichico. Questa connotazione caratterizza per l’appunto la terza concezione del linguaggio. Egli ci ha mostrato che non bisogna rinchiudersi in un panpsichismo, e che bisogna aprire la cura ad una dimensione per la quale egli non ha trovato altra parola che “filogenesi”. Ma ciò a cui egli mirava potrebbe essere chiamato con altri termini; prenderei per esempio il termine “storia monumentale” di Nietzsche, o il termine ”essere” di Heidegger. Freud voleva sfuggire insomma al panpsichismo, ad una storia ristretta ad una sola generazione, di breve durata; voleva condurre l’analista a pensare l’”essere”, l’esterno allo psichico. Questo è un avanzamento davvero interessante, il quale è stato purtroppo abbandonato da molti analisti, anche se Lacan lo ha ripreso in una maniera folgorante e senza molti sviluppi, quando indica che l’essere parlante è un “parlêtre”, un “parlessere”.
Studiosa di “segni” e inconscio
Julia Kristeva è nata il 24 giugno 1941 a Silven, Bulgaria. Nel 1963 si diploma in Filologia romanza all’Università di Sofia, Bulgaria. Nel 1964 prepara un dottorato in letteratura comparata all’Accademia delle Scienze di Sofia. Dopo il 1965 prosegue gli studi e lavoro di ricerca in Francia. Attualmente è professore all’Università di Parigi “Denis Diderot”.Dal 1978 esercita come psicoanalista. I suoi interessi scientifici vanno dalla linguistica alla semiologia, alla psicoanalisi, alla letteratura del XIX secolo.
Esponente di spicco della corrente strutturalista francese e in particolare del gruppo di “Tel Quel”, che ha sviluppato in Francia le ricerche iniziate dai formalisti russi negli anni Venti e continuate dal Circolo linguistico di Praga e da Jakobson, Julia Kristeva ritiene che la semiotica sia la scienza pilota nel campo delle cosiddette “scienze umane”.
Pervenuta oggi a un’estrema formalizzazione, in cui la nozione stessa di segno si dissolve, la semiotica si deve rivolgere alla psicoanalisi per rimettere in questione il soggetto senza di cui la lingua come sistema formale non si realizza nell’atto di parola, indagare la diversità dei modi della significazione e le loro trasformazioni storiche, e costituirsi infine come teoria generale della significazione, intesa non come semplice estensione del modello linguistico allo studio di ogni oggetto fornito di senso, ma come una critica del concetto stesso di semiosi. Tra le sue opere tradotte in italiano: “Ricerche per una semanalisi”, “Sole nero. Depressione e melanconia”, “Stranieri a se stessi”, “La rivoluzione del linguaggio poetico”, “Poteri dell’orrore”, “I samurai”.
Autore: Sergio Benvenuto
Fonte: L'Unità
vimeo.com/184148323 gen 2011 - 5 min |
“Dante e La politica oggi”
Lettera Aperta.
- Al Signor Sindaco del Comune di Firenze Matteo Renzi – Palazzo Vecchio.
- E p.c. ad altri, e all’On.le “The Nobel Foundation” - Literature – Box 5232, SE – 102 45 Stockholm – Svezia.
Firenze, oggi domenica 24 Giugno 2012 festa, ma non da sempre, di san Giovanni Battista patrono della città di Firenze: questo anche perché contro il volere del cielo, e di Dante (Inf., XIII, 143 – 150; Par., XVI, 46 – 48; Par., XIV, 103 – 108). Il problema già potrebbe essere dantesco, politico, ed attuale. Ma non fermiamoci qui.
Premessa introduttiva.
Monsignor ENRICO BARTOLETTI, il grande amico di papa PAOLO VI, “il Traghettatore della Chiesa in Italia dopo il Concilio Vaticano II”, in data 3 Giugno 1956, su sua inaspettata e sorprendente iniziativa volle regalarmi, con solenne dedica sul frontespizio il libro di ALFONSO GRATRY, “La sete e la sorgente” (Società Editrice Internazionale, Torino, 1949) profetizzandomi che, in vita mia, avrei fatto scoperte su Dante e sul suo medioevo paragonabili a quelle di HEINRICH SCHLIEMANN su Troia e la civiltà micenea. L’idea gli era venuta in mente il giorno prima, il 2 giugno, festa della Repubblica Italiana e giorno di nascita di Dante personaggio da me scoperto, appunto, successivamente proprio come lui mi aveva profetizzato. Superfluo ricordare che fino ad oggi, nonostante tutti i miei sforzi, nessuno ha progettato di unire la festa della nascita della Repubblica Italiana alla festa della nascita del Poeta della Patria, Dante. Ma potrebbe essere un sintomo dei nostri guai politico-culturali.
Il Bartoletti credo abbia fatto anche ad altri delle rivelazioni sul loro futuro, ed anche a qualcuno di Lucca, per cui avendo detto io adesso di quella, tanto positiva, fatta a me penso di non passare per matto. Finalmente io ritengo di aver raggiunto quelle importanti verità che il Bartoletti mi aveva preannunciato: però, diversamente da Schliemann, non mi vengono riconosciute ed è questo è il punto, il primo motivo, che cercherò di spiegare, per cui scrivo questa lettera inviandola anche a Stoccolma. Voglio battere i piedi per farmi sentire, per chiedere aiuto, cioè un appoggio ai responsabili della cultura letteraria e della politica e, tutto ciò, lo faccio semplicemente perché ho ragione. La mia è su una questione importantissima e dunque coinvolgente lo sviluppo della nostra cultura e civiltà. Le mie scoperte, anche solo enumerandole, dovrebbero apparire al lettore, per quanto non specializzato, intuitivamente così chiare, ragionevoli e rivoluzionarie, affascinanti anche sotto il profilo della LITURGIA CRISTIANA, da sorprenderlo. E questa sorpresa non solo nel vedere che le varie UNIVERSITÀ DEGLI STUDI se ne lavano le mani, ma anche nel constatare che nemmeno nei SEMINARI DIOCESANI della nostra Chiesa cattolica c’è una mentalità aperta ad apprezzarle. Quasi che la possibilità di ridestare un interesse per la nostra SACRA LITURGIA CRISTIANA approfittando di quello grandissimo mostrato da Dante in base a queste mie scoperte, fosse un problema da buttare dalla finestra.
Afferma Dante che la SACRA TEOLOGIA LITURGICA è così piena di tutta pace da non tollerare lite alcuna di argomentazioni (Convivio, II, XIV, 19; Convivio, II, XIII, 8). Essa cioè non tollererebbe, a questo suo più alto ed ultimo livello scientifico-medievale in cui si trova ubicata, di dover eventualmente sopportare la presenza, soprattutto, della SACRA TEOLOGIA RAZIONALISTA piena di argomentazioni logico-dialettiche stimolanti i distinguo e la disputa, per non dire incoraggianti una guerra di religione. Le guerre non possono essere fatte in presenza dell’ultima e più alta scienza, poiché assolutamente pacifica, e perciò essa sarebbe anche un antidoto per debellarle. E pensare che per tanto tempo, e cioè fino al momento in cui il caro professor CESARE VASOLI non indicò, per “Teologia” dantesca, il Vangelo, quando gli esegeti si trovavano d’avanti questo termine scientifico-medievale-dantesco di “Teologia”, per un malinteso omaggio alla teologia di san Tommaso d’Aquino, intesero proprio la sacra Teologia razionalista: ossia un atteggiamento della mente che mai avrebbe dovuto qualificare il decimo cielo Empireo, il domicilio che la Santissima Trinità, il Padre, il Bene, ha eletto per se stessa. E pensare che anche il CONCILIO VATICANO II già aveva visto nel possibile risveglio dei cristiani alla SACRA TEOLOGIA LITURGICA (Costituzione conciliare SACROSANCTUM CONCILIUM sulla sacra liturgia – 4 dicembre 1963) la strada maestra per uscire dallo stato spirituale ipotensivo, di stallo, in cui si trova da tempo la cristianità. La Teologia razionalista è anche idonea, per l’intenzione da cui è mossa, ad alimentare l’idea di una supremazia del cristianesimo rispetto altre religioni le quali perciò sono spinte ad uno scetticismo verso le nostre reiterate e discorsive dichiarazioni di pace. Se noi, dopo aver celebrato con un rito, con un inno e con un canto, le nostre feste liturgiche, dimostrassimo di venir fascinati anche dalla sacra Teologia liturgica delle altre religioni compresa quella pagano-classica proprio così come sapientemente insegna Dante, avremmo già fatto un grosso passo in avanti verso la pace, verso quell’ “Uomo planetario” alla idealizzazione razionale del quale, con tanto impegno anche politico, si era dedicato padre ERNESTO BALDUCCI.
Dante dimostra, con spirito conciliare, di accogliere anche la liturgia pagana nel momento in cui accetta che il rito della sua “Sottomissione alla Grazia divina” venga indicato da un pagano, suicida e favorevole al divorzio coniugale, Catone l’Uticense, e celebrato poi da un altro pagano e famoso saggio, Virgilio (Pur., I - GIOVANGUALBERTO CERI, “L’astrologia in Dante e la datazione del “viaggio” dantesco”, nella rivista “L’Alighieri” di Ravenna diretta da Aldo Vallone – n. 15 – gennaio – giugno 2000, Angelo Longo Editore, Ravenna, 2000, pp. da 27 – a 57). E il fatto che il cristianesimo possa riuscire a subordinare completamente ogni sua altra lodevole attività ed aspettativa, anche caritatevole, di pace e socialmente utile, all’intonazione di un inno e di un canto alla Divinità insieme alle altre religioni, è l’unica via empirico-intuitiva che può condurre alla pace interiore e nel mondo: in quanto tale via è immediatamente rivelatrice della presenza di una evidente e profonda intenzione orientata alla Comunione con tutti. Così la pensava anche padre GIOVANNI MARIA VANNUCCI (cfr. G. Vannucci, “Il libro della preghiera universale”, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1978). Il Balducci e il Vannucci, due toscani vissuti a Firenze che, per due strade diverse che andrebbero riunificate, cercarono di affermare il principio teologico-liturico-evangelico-dantiano della pace. La poesia del Nostro, se colta nella sua autentica realtà, ma questo potrà avvenire soltanto per convalida delle mie scoperte, a questo punto dobbiamo reputare che possa contribuire ancor oggi alla pace nel mondo e alla sua elevazione spirituale proprio per l’importanza che il Poeta riserva alla liturgia. Dunque quale ultima e più alta scienza, o superiore istanza, sia pur di carattere soggettivo ed intimo. Le conseguenze politiche in questo caso discenderebbero dall’alto, dal cielo.
È di tutta evidenza che quella sacra Teologia liturgica che Dante sapientemente incoraggia per arrivare a por fine ad ogni lite e discussione dovrà oggi scoprire anche una nuova armonia poetico-musicale e sapienziale: per intendersi, sulla scia, per esempio, di quella inaugurata dal Maestro della Cappella Sistina, LORENZO PEROSI, nonché sulla scia anche delle raccomandazioni di THOMAS MERTON il quale così scriveva: “Il prevalere della cattiva arte cosidetta “sacra” costituisce un grave problema spirituale, paragonabile, per esempio, al problema dell’inquinamento dell’aria in alcuni nostri grandi centri industriali. Gradire la cattiva arte sacra e sentirsi da essa aiutati nella preghiera, può essere un sintomo di disordine spirituale, magari inconsapevole e del quale si potrebbe anche non essere personalmente responsabili . Il male è però qui, ed è contagioso!” (Thomas Merton, Problemi dello spirito, Milano, Garzanti, 1960, p. 185). E si tratta sempre di un volume consigliato dal fiorentino mons. Enrico Bartoletti (nato a Carraia, sulla strada per le Croci di Calenzano un tempo entro il territorio di Firenze, e cioè là dove andava a raggiungerlo spesso, quando il Bartoletti c’era, don LORENZO MILANI Priore della vicina parrocchia di San Donato).
In Dante, per poter arrivare a stabilire quei giorni strategici, fondamentali, da lui indicati, come quello della festa odierna del 2 febbraio 2012 della presentazione di Gesù bambino al tempio in braccio alla Madonna, in cui la solennità e specificità di ciascuna festa liturgica sarebbe esplicativa del senso da attribuire al fenomeno, o al personaggio, è però necessario avvalersi, a monte, dell’astronomia-astrologia di CLAUDIO TOLOMEO. Per la difficoltà e complessità della materia per quanto attiene alle nostre Università degli Studi, e per la sua peccaminosità per quanto riguarda gli insegnamenti impartiti nei Seminari Diocesani della nostra Chiesa cattolica (cfr. CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, Divinazione e Magia – n. 2116 - Astrologia – Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1992, p. 527), questa stessa materia astronomico-astrologico-tolemai